L'Enciclopedia dei Mostri: AB, CDE, FG, HIJKL, MNO, PQRS, TUVWXYZ
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I MOSTRI DALLA A ALLA Z: 
Polifemo

Odisseo con i suoi compagni acceca Polifemo, da un vaso greco.
Polifemo è il celebre ciclope omerico in cui si imbatte Odisseo con i suoi compagni, alcuni dei quali finiscono tra le sue fauci. Nel passo dell'Odissea risulta evidente che Polifemo, come gli altri giganti che vivevano nel circondario, non hanno nulla a che vedere con i ciclopi preolimpici: Polifemo era infatti figlio della ninfa Tòosa e di Poseidone.
A dire il vero, non c'è nessun riferimento al fatto che questo gigante possedesse un occhio al centro della fronte, avrebbe potuto anche essere semplicemente orbo, e avrebbe potuto possedere un solo occhio perché l'altro lo aveva perso. Anche l'iconografia non ci aiuta a sciogliere questo dubbio: esistono molte raffigurazioni di questi personaggi sia con due normalissimi occhi sia con uno solo. Tuttavia, il fatto che Omero parli della terra dei Ciclopi, fa pensare a una vera e propria stirpe di mostri con caratteristiche ben omogenee:

105 Di là navigammo avanti, sconvolti nel cuore,
  e dei Ciclopi alla Terra, ingiusti e violenti,
  venimmo, i quali fidando nei numi immortali,
  non piantano pianta di loro mano, non arano;

(...)

  Non hanno assemblee di consiglio, non leggi,
  ma degli eccelsi monti vivono sopra le cime
  in grotte profonde; fa legge ciascuno
115 ai figli e alle donne, e l'uno dell'altro non cura
.
  (Odissea, IX, 105-115, trad. Rosa Calzecchi Onesti)

In ogni caso Polifemo è un mostro gigantesco e terribile che finirà accecato da Odisseo che, grazie alla sua astuzia, ancora una volta riuscirà a fuggire.

(AZ)


Letture: da L'Odissea
libro IX, trad. di Rosa Calzecchi Onesti


  Così dicevo: nulla rispose nel suo cuore spietato,
  ma con un balzo sui miei compagni le mani gettava
  e afferrandone due, come cuccioli a terra
290 li sbatteva, scorreva fuori il cervello e bagnava la terra.
  E fattili a pezzi, si preparava la cena;
  li maciullava come leone montano; non lasciò indietro
  né interiora, né carni, né ossa o midollo.

(...)

  Quando il Ciclope ebbe riempito il gran ventre,
  carne umana mangiando e latte puro bevendo,
  si distese nell'antro, sdraiato in mezzo alle pecore.
  E io pensai nel mio cuore magnanimo
300 d'avvicinarmi e la spada puntuta dalla coscia sguainando,
  piantarla nel petto, dove il fegato s'attacca al diaframma,
  cercando a tastoni; ma mi trattenne un altro pensiero.
  Infatti noi pure là perivamo di morte terribile:
  non potevamo certo dall'alta apertura
305 a forza di braccia spostare l'enorme roccia, che vi aveva
  addossata.

(...)

  Mangiato, spinse fuori dall'antro le pecore pingui,
  senza fatica togliendo l'enorme masso: ma subito
  ve lo rimise, come se alla faretra rimettesse il coperchio. 

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