I giganti-mulini a vento protagonisti di un episodio del Don Chisciotte |
![]() Tra il XV e il XVIII secolo, invece, diversi autori di letteratura riprendono queste figure fantastiche con un taglio decisamente umoristico. Con i ciclopi greci e i giganti della mitologia, i "nuovi" colossi hanno in comune soltanto la statura. Sono in fondo creature gioviali e simpatiche, che spesso vivono pacificamente tra gli uomini, anche se loro insolite dimensioni finiscono per provocare disastri. Nel mostro bonario questi autori scoprono un ottimo ingrediente per dar sapore alla loro satira. Il gigante diventa una caricatura ingrandita dell'uomo comune, con tutti i difetti fisici e morali enfatizzati e meglio visibili sin nei minimi dettagli, come davanti a un microscopio. I denti, i peli, i capelli, persino i seni delle donne giganti descritte nei Viaggi di Gulliver, inquadrati in un primissimo piano risultano nello stesso tempo ridicoli e disgustosi. Morgante, di Luigi Pulci Su richiesta della famiglia dei Medici, Luigi Pulci (1432-1484) compose tra il 1460 e il 1470 il poema Morgante. Qui si narrano le gesta comiche e cavalleresche di questo gigante benevolo e del suo amico Margutte, anche lui sproporzionato. Nel corso di mille strampalate avventure, Morgante conosce Carlo Magno, Orlando, Rinaldo e altri protagonisti dell'epica carolingia, si fa cristiano, combatte i mori. Non c'è dubbio che il Morgante costituì una delle principali fonti di ispirazione per il Baldus di Folengo e per il Gargantua di Rabelais. Baldus: i mostri di Teofilo Folengo Teofilo Folengo (1491-1544) era un frate benedettino autore del poema latino Baldus firmato con lo pseudonimo di Merlin Cocai. Baldus è un bislacco condottiero discendente di Rinaldo. I suoi compagni di viaggio sono il gigante Fracasso, il mostro Falchetto e Cingar il brigante. Si tratta di un'epopea goliardica e picaresca che ha nel Morgante del Pulci il precedente più illustre. Folengo si diverte a disegnare un profilo caricaturale di un'umanità fatta di clero e contadini, e tale comicità prende forma seguendo le avventure dei protagonisti in un latino vivace, tra il maccheronico e l'aulico. I giganti del Baldus e del Morgante si ritroveranno poi nel Gargantua di Rabelais. Gargantua Gargantua è protagonista di diverse opere popolaresche francesi del Cinquecento, come Le grandi e inestimabili cronache del grande ed enorme gigante Gargantua (1532). L'anonimo autore potrebbe essere lo stesso François Rabelais (1494-1553) che successivamente, in varie riprese, pubblicò le divertentissime avventure di Gargantua e Pantagruel, un classico della letteratura francese. Rabelais, in ogni caso, aveva sicuramente ben presente questo scritto anonimo, così come il Morgante di Pulci e il Baldus di Teofilo Folengo. Figlio del re di Utopia Grandgousier, Gargantua è un gigante bonario, eroe di straordinarie abbuffate. Per ricevere l'istruzione adeguata si reca a Parigi, dove incorre in una serie di vicissitudini esilaranti. In seguito combatte con successo contro l'esercito di re Picrochole, perfido nemico di Utopia. Il figlio di Gargantua è Pantagruel, anche lui enorme e oltremodo goloso. Don Chisciotte e i giganti Tra il 1598 e il 1615 Miguel Cervantes de Saavedra (1547-1616) scrive il Don Chisciotte, originariamente intitolato El ingenioso hidalgo don Qujote de la Mancha, l'opera di prosa più importante della letteratura spagnola. Tra le pagine più memorabili va ricordato l'episodio in cui il condottiero scorge trenta o quaranta giganti che agitano minacciosi le loro lunghissime braccia. Naturalmente Don Chisciotte non può che ingaggiare una dura battaglia con questi terribili "mostri", uscendone inevitabilmente malconcio. Ma durante l'aspro conflitto con questi mostri creati dalla mente del condottiero, il lettore assiste alla scena attraverso gli occhi del più savio scudiero Sancio Pancia, che vedono soltanto dei normali e semplici mulini a vento. I giganti nei Viaggi di Gulliver L'inglese Jonathan Swift (1667-1745) è celebre per questo grande affresco satirico della società del suo tempo. Per burlarsi dei suoi contemporanei Swift utilizza diversi espedienti allegorici, come il viaggio tra diversi paesi immaginari e il gioco sulle dimensioni dei popoli che li abitano. Nella prima delle quattro parti dell'opera, Lemuel Gulliver (l'alter-ego di Swift) approda a Lilliput, dove gli uomini sono alti pochi centimetri. Nella seconda, invece, visita Brobdingnag, il paese dei giganti. Costoro sono forse meno malvagi dei Lillipuziani, ma Gulliver non può che rimanere atterrito alla loro vista. Tra l'altro, il protagonista capita nelle mani di una scimmietta, che per lui è uno scimmione, perché a Brobdingnag tutto risulta gigantesco. Per certi versi si può osservare come questo episodio anticipi di due secoli il personaggio di King Kong, uno dei pochi mostri cinematografici che non trasse origine dalla letteratura, benché ideato dallo scrittore Edgar Wallace (1875-1932). (LB) Letture: Dal Morgante di Luigi Pulci, canto primo: 20. (...) Di sopra alla badia v'era un gran monte dove abitava alcun fero gigante, de' quali uno avea nome Passamonte, l'altro Alabastro, e 'l terzo era Morgante: con certe frombe gittavan da alto, ed ogni dì facevan qualche assalto. (...) 23. quand'io ci venni al principio abitare; queste montagne, ben che sieno oscure come tu vedi, pur si potea stare sanza sospetto, ché l'eran sicure; sol dalle fiere t'avevi a guardare: fernoci spesso di strane paure. Or ci bisogna, se vogliamo starci, dalle bestie dimestiche guardarci. 24. Queste ci fan più tosto stare a segno: sonci appariti tre feri giganti, non so di qual paese o di qual regno; ma molto son feroci tutti quanti. La forza e 'l mal voler giunta allo 'ngegno sai che può il tutto; e noi non siàn bastanti: questi perturban sì l'orazion nostra, ch'io non so più che far, s'altri nol mostra. 25. Gli antichi padri nostri nel deserto, se le loro opre sante erano e giuste, del ben servir da Dio n'avean buon merto; né creder sol vivessin di locuste: piovea dal ciel la manna, questo è certo; ma qui convien che spesso assaggi e guste sassi che piovon di sopra quel monte, che gettano Alabastro e Passamonte. 26. Il terzo, che è Morgante, assai più fero, isveglie e pini e' faggi e' cerri e gli oppi, e gettagli insin qui, questo è pur vero: non posso far che d'ira non iscoppi." Mentre che parlan così in cimitero, un sasso par che Rondel quasi sgroppi, che da' giganti giù venne da alto, tanto che e' prese sotto il tetto un salto. 27. "Tirati drento, cavalier, per Dio!" disse l'abate "ché la manna casca." Rispose Orlando: "Caro abate mio, costui non vuol che 'l mio caval più pasca: veggo che lo guarrebbe del restio; quel sasso par che di buon braccio nasca." Rispose il santo padre: "Io non t'inganno: credo che 'l monte un giorno gitteranno." |
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