L'Enciclopedia dei Mostri: AB, CDE, FG, HIJKL, MNO, PQRS, TUVWXYZ
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I MOSTRI DALLA A ALLA Z: 
Arpie 

Un'arpia con caratteristiche di divinità infernale
La parola arpia deriva dal greco arpazo, ovvero "rapisco". 
Figlie di Echidna e Tifeo, erano tre sorelle: Aello, Ocipete e Celeno (quest'ultima, secondo Omero si sarebbe chiamata Podarge). Figure mostruose della mitologia greca, le arpie impersonavano i venti marini tempestosi, ed era proprio durante le burrasche che, sotto forma di venti, entravano in azione rapendo i naufraghi. 
Successivamente acquistarono carattere di divinità infernali, che rapivano le anime dei morenti e le trasportavano nell'aria. Successivamente hanno acquisito consistenza corporea e sono state raffigurate come uccelli col volto di donna.

Nell'Odissea incontriamo le arpie nella loro accezione arcaica di venti forieri di tempeste marine, di rapitrici che "...travolgono (...) senza gloria" le navi:

" ...ecco che le fanciulle le Arpie rapirono in aria,
e in balia delle Erinni odiose le diedero.
" (Odissea, XX, 77-78)

Contro le Arpie hanno lottato gli Argonauti, i primi marinai mitici. Sconfitte da due di loro - Zeto e Calai, figli del vento di Borea - si rifugiarono nelle Strofadi dove le incontra Enea, approdato su queste isole dopo tre giorni di naufragio:

"(...) Strofadi grecamente nominate
Son certe isole in mezzo al grande Jonio,
Da la fera Celeno e da quell'altre
Rapaci e lorde sue compagne arpie
Fin d'allora abitate...
" (Eneide, III, 354-358)

E Virgilio continua:

"(...) Altro di queste
Più sozzo mostro, altra più dira peste
Da le tartaree grotte unqua non venne.
Sembran vergini a' volti, uccegli e cagne
A l'altre membra; hanno di ventre un fedo
Profluvio, ond'è la piuma intrisa ed irta,
Le man d'artigli armate, il collo smunto,
La faccia per la fame e per la rabbia
Pallida sempre, e raggrinzita e magra...
" (Eneide, III, 361-368)

L'Ariosto ne fa una descrizione molto simile, però, per lui, le arpie erano sette (invece di tre) e simboleggiavano le sette pestilenze per i sette peccati mortali:

"...Erano sette in una schera, e tutte
Volto di donne avean pallide e smorte,
Per lunga fame attenuate e asciutte
Orribili a veder più che la morte:
L'alaccie grandi avean deformi e brutte,
le man rapaci, e l'ugne incurve e torte;
Grande e fetido il ventre, e lunga coda
Come di serpe che s'aggira e snoda...
" (Orlando Furioso, XXXIII, 120)

La visione di Dante delle arpie è tutta ispirata all'Eneide. Esse vivono e nidificano, infatti, nella selva dei suicidi, che avendo fatto violenza su se stessi in modo innaturale "sradicandosi" dalla vita, nell'inferno dantesco, sono condannati a sopportare la condizione innaturale di uomini-albero. Condizione, questa, che Virgilio aveva invece riservato a Polidoro, per non aver ricevuto degna sepoltura dopo essere stato ucciso.
Anche la descrizione è molto simile a quella dell'Eneide:

"...Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto l'gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani...
" (If. XIII, 13-15)

(MdR)

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