■ Le coniugazioni dei verbi sono 3? ■ Si possono dividere i verbi in 4 coniugazioni? ■ Che differenza c’è nel classificare i verbi in 3 oppure 4 coniugazioni?
Tradizionalmente i verbi (a parte gli ausiliari essere e avere) si dividono in tre coniugazioni a seconda della desinenza dell’infinito: la prima coniugazione comprende i verbi che terminano in -are (amare), la seconda in -ere (temere), e la terza in –ire (servire) e possono essere regolari (come i paradigmi di questi tre) o presentare delle irregolarità.
Ma va detto che questo è solo un modo di classificarli, e non è il solo.
Un altro criterio può essere quello di dividerli in quattro tipologie: quelli che terminano in -are (es. amare), quelli in -ere (temere), quelli in –ire (servire) e quelli che terminano in altro modo, per esempio trarre, comporre, tradurre…
A seconda del criterio impiegato si può dire per esempio che dire e fare, che derivano dal latino dicere e facere, appartengono alla seconda coniugazione, come porre, tradurre e simili. Oppure si può dire che questi ultimi si raggruppano a parte, e che fare appartiene alla prima coniugazione (finisce in –are) e si comporta irregolarmente, esattamente come dire che viene classificato nella terza (in –ire).
Insomma: le coniugazioni (che siano 3 o 4) non esistono nella realtà, sono solo degli schemi pratici per classificare e inquadrare le flessioni dei verbi. Alcuni sono regolari: mantengono sempre la stessa radice e le desinenze che si applicano sono sempre le stesse; ma molto spesso sono irregolari, seguono degli schemi diversi, cambiano la radice (and-are → vad-o), la vocale tematica (d-a-re diventa d-e-sse al congiuntivo) o assumono desinenze non applicabili al modo in cui terminano.
Per semplicità, tratteremo i verbi a seconda delle desinenze dividendoli in quattro categorie, ma la cosa importante non è quella di etichettarli, ma di saperli coniugare correttamente anche quando si comportano irregolarmente.