■ Si può usare il doppio
imperfetto per i periodi ipotetici? ■ Si può dire “se lo sapevo andavo”? ■ Meglio dire “se me lo dicevi” o “se me ‘avessi detto”?
● se non annaffi i fiori → muoiono (ma se si vuole sottolineare la possibilità si può anche dire se non annaffiassi i fiori morirebbero).
Se però la stessa frase si volge al passato non è più un periodo ipotetico della realtà: una cosa già avvenuta non si può modificare, dunque diventa un’ipotesi dell’irrealtà che si esprime necessariamente (non è più una scelta) con il condizionale più il congiuntivo:
● se non avessi innaffiato i fiori sarebbero morti (cosa impossibile dato che li hai annaffiati).
Tuttavia questo costrutto è spesso sostituito con la forma piuttosto diffusa nel parlato del doppio imperfetto:
● se non bagnavi i fiori morivano.
Questo costrutto non è propriamente corretto né elegante, tuttavia è molto diffuso al punto che nei registri popolari o nel parlato familiare è ormai ammissibile, il che non vale per i registri formali o per la scrittura di testi ufficiali.
Dunque le espressioni come “se lo sapevo non venivo” o “se me lo dicevi prima ti operavo io” (Enzo Jannacci), possono essere colloquiali e colorite per rendere l’italiano parlato, ma da evitare nei registri alti.
■ Perché il verbo
avere è un ausiliare? ■ Il verbo avere vive anche autonomamente
o si usa solo per i tempi composti? ■ Quali sono le forme del verbo avere che
prendono l’H? ■ Come si coniuga il verbo avere? ■ Solo i verbi transitivi si
appoggiano all’ausiliario avere? ■ Si dice ho corso o sono corso? ■ Si dice ha piovuto
o è piovuto?
Il verbo avere (insieme al verbo essere) si dice ausiliare perché aiuta (dal latino auxiliaris, “che aiuta”) a comporre i tempi composti di altri verbi.
Però può vivere anche autonomamente:
● ho (= “possiedo”) una casa; ● ho (= “ho preso”) il maglione…
Come ausiliare si unisce a tutti i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) nel formare i verbi composti delle forme attive, ma può reggere anche vari verbi intransitivi (ho congiurato, ho litigato), e altri che possono avere il doppio ausiliare. Tra questi ci sono quelli che indicano fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, grandinare, tuonare, lampeggiare, albeggiare…) per cui si può dire sia ha nevicato sia è nevicato, e altri che si possono usare sia transitivamente sia intransitivamente: ho corso per tutto il tempo e sono corso a casa, ha prevalso e è prevalso, ho vissuto e sono vissuto…
La coniugazione
La coniugazione di avere è irregolare perché cambia la radice e av-ere diventa per esempio ab-bia, e rafforza quattro forme aggiungendo l’acca (ho, ha, hai, hanno).
Di seguito la coniugazione in tutti suoi modi e tempi, fondamentale anche per la formazione dei tempi composti di tutti i verbi che vogliono avere come ausiliare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io ho
io avevo
io ebbi
tu hai
tu avevi
tu avesti
egli ha
egli aveva
egli ebbe
noi abbiamo
noi avevamo
noi avemmo
voi avete
voi avevate
voi aveste
essi hanno
essi avevano
essi ebbero
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io ho avuto
io avevo avuto
io ebbi avuto
tu hai avuto
tu avevi avuto
tu avesti avuto
egli ha avuto
egli aveva avuto
egli ebbe avuto
noi abbiamo avuto
noi avevamo avuto
noi avemmo avuto
voi avete avuto
voi avevate avuto
voi aveste avuto
essi hanno avuto
essi avevano avuto
essi ebbero avuto
futurosemplice
futuroanteriore
io avrò
io avrò avuto
tu avrai
tu avrai avuto
egli avrà
egli avrà avuto
noi avremo
noi avremo avuto
voi avrete
voi avrete avuto
essi avranno
essi avranno avuto
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io abbia
che io abbia avuto
che io avessi
che io avessi avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Condizionale
presente
passato
io avrei
io avrei avuto
tu avresti
tu avresti avuto
egli avrebbe
egli avrebbe avuto
noi avremmo
noi avremmo avuto
voi avreste
voi avreste avuto
essi avrebbero
essi avrebbero avuto
Imperativo
(io) …
(tu) abbi
(egli) abbia
(noi) abbiamo
(voi) abbiate
(essi) abbiano
Infinito presente: avere Infinito passato: avere avuto Gerundio presente: avendo Gerundio passato: avendo avuto Participo presente: avente Participio passato: avuto.
■ Perché si dice che il gerundio è un modo indefinito? ■ Quali sono i tempi del gerundio? ■ “Laureandi” è un gerundio o un sostantivo? ■ Come si può meglio esplicitare una frase come “sbagliando si impara”? ■ Come si concorda il gerundio con il soggetto? ■ Qual è l’errore più diffuso nell’utilizzo del gerundio? ■ Quando si usa il gerundio? ■ Quali sono esempi di frasi con il gerundio? ■ Meglio dire “essendo notte ho dormito” o “poiché era notte ho dormito”?
Il gerundio è un modo indefinito o indeterminato (come l’infinito e il participio), perché non si coniuga con le persone dei verbi (io, tu..).
Ha due tempi: il presente (es. mangiando) che esprime contemporaneità con la principale (mangio/mangiavo/mangerò sedendo a tavola = mentre sono seduto) e il passato (avendo mangiato) che esprime invece anteriorità (mi sento/mi sentivo/mi sentirò sazio, avendo mangiato = dopo aver mangiato).
Talvolta il gerundio presente assume il valore di aggettivo o di sostantivo, per esempio: i laureandi (coloro che si devono laureare), mentre come forma verbale si usa molto spesso davanti al verbo stare, per esempio in locuzioni come: sto arrivando (sto per arrivare) o sto mangiando (in questo momento mangio).
Come forma verbale può esprimere un significato di causa, di
mezzo, di tempo o anche un’ipotesi:
● mangiando in fretta (= poiché mangiava in fretta, casua) si è strozzato; ● sbagliando (= per mezzo degli errori) si impara; ● passeggiando per Roma (= mentre passeggiavo, tempo) ho fatto acquisti; ● progettando il viaggio (= se si progetta, ipotesi) si possono ottimizzare i tempi.
Passando alle questioni di stile, va detto che si tende a evitare il gerundio nella scrittura, perché spesso non è molto elegante ed è preferibile esplicitare il suo significato con locuzioni più chiare e lineari: “Essendo notte, siamo andati a dormire” è un costrutto grammaticalmente corretto, ma è più elegante rendere questa espressione esplicita, per esempio con: “Poiché era notte siamo andati a dormire”.
ATTENZIONE In altri casi il ricorso al gerundio viene fatto spesso in modo errato: uno degli errori più diffusi è quello della mancata concordanza con il soggetto, per esempio:
Maria è arrivata e, scendendo dal treno, ho notato che
aveva una grossa valigia
è un’espressione infelice e da evitare. Cosa significa questa frase? Se il soggetto del gerundio non è espresso, si riferisce automaticamente a quello della principale (io ho notato), dunque scendendo dal treno grammaticalmente si riferisce a me (il soggetto) e non a Maria. Rendendo la frase con una forma esplicita è tutto più chiaro: Maria è arrivata e, mentre scendeva dal treno, ho notato che aveva una grossa valigia. Perciò, se a scendere dal treno non sono io, ma Maria, bisogna usare la forma esplicita, oppure specificare il soggetto più chiaramente: Maria è arrivata e, scendendo lei dal treno, ho notato che aveva una grossa valigia. Ma questa seconda forma non è molto elegante, rispetto a quella esplicita più lineare e discorsiva.
■ Perché il
participio è un modo indeterminato? ■ Quali sono i tempi del participio? ■
Perché si dice i bambinisono andati (participio plurale) ma i bambini hanno mangiato (participio
singolare)? ■ Il participio è solo una forma verbale? ■ Amante è un sostantivo o un participio presente?
Il participio è un modo indefinito o indeterminato (come l’infinito e il gerundio) perché non ha una persona di riferimento, anche se nel passato si può concordare nel genere e nel numero in alcuni casi.
Ha due tempi:
● il presente, per esempio amante, cioè “colui che ama”, ● e il passato, per esempio amato, che si usa nei tempi composti dei verbi appoggiandosi agli ausiliari avere o essere: ho mangiato, sono andato.
Quando il participio passato forma i tempi composti con l’ausiliare essere, di solito concorda con il nome a cui si riferisce per genere e numero, per esempio:
● il bambino è andato dalla mamma; ● la bambina è andata; ● i bambini sono andati; ● le bambine sono andate.
Ciò vale anche per le forme passive: ● il melone è mangiato; ● i meloni sono mangiati; ● la mela è mangiata; ● le mele sono mangiate.
Con l’ausiliare avere rimane invece invariato:
● il cane ha mangiato; ● i cani hanno mangiato; ● la gatta ha mangiato; ● le gatte hanno mangiato.
Un participio, preso da solo, non è solo un verbo, diventa anche nome o aggettivo: passante (cioè “colui che passa”) è anche una persona che transita, oppure un passante ferroviario, così come un colorante (ciò che colora) può essere una vernice. Lo stesso vale per il participio passato: il passato è ciò che è già trascorso, e colorato è anche un aggettivo.
■ Perché l’infinito è un modo indeterminato? ■ Quali sono i tempi dell’infinito? ■ Quando si può usare l’infinito al posto dell’imperativo? ■ Quali sono esempi di frasi con l’infinito negativo al posto dell’imperativo? ■ Quali sono esempi di frasi con l’infinito presente? ■ Quali sono esempi di frasi con l’infinito passato?
L’infinito è un modo indefinito o indeterminato (come il participio e il gerundio), e cioè non ha una persona di riferimento.
I suoi tempi sono due: il presente (es. mangiare), che è la forma del verbo che rappresenta il lemma o la voce riportata nei dizionari come paradigma, e il passato (avere mangiato) che è composto dall’ausiliare (essere o avere) e dal participio passato.
Nelle frasi dipendenti questi tempi si concordano con quelli
della principale a seconda della contemporaneità o posteriorità dell’azione, e
l’infinito presente si trova in
espressioni come:
● credo di mangiare sano (contemporaneità nel presente); ● credevo di mangiare sano (contemporaneità nel passato); ● spero di arrivare puntuale (posteriorità rispetto al presente); ● speravo di arrivare puntuale (posteriorità rispetto al passato).
L’infinito passato si trova invece in espressioni come:
● credo (adesso) di aver mangiato sano (prima); ● spero di essere arrivato puntuale (poco fa).
Nelle frasi negative l’infinito presente viene usato come imperativo: non fumare, e può avere lo stesso valore anche in locuzioni indeterminate come lasciare libero il passaggio, rifare la camera.
■ Cos’è il modo imperativo? ■ Come si coniuga l’imperativo? ■ Perché non c’è la prima persona del modo imperativo? ■ Si può usare l’indicativo futuro al posto dell’imperativo? ■ Che differenza c’è tra “vada” congiuntivo e “vada” imperativo? ■ Nelle frasi negative si può usare l’infinito al posto dell’imperativo (es. non fare!)? ■ Nei verbi come andare, fare, stare, dare e dire l’imperativo si scrive con l’apostrofo (da’, fa’, sta’…)? ■ Perché nei composti di dire si dice per esempio benediceva, ma all’imperativo diventa “benedici” invece di “benedi’”? ■ Quali sono esempi di frasi con l’imperativo?
Il modoimperativo si usa per esprimere ordini o per esortare (seguimi!), e ha solo un tempo: il presente (avrebbe poco senso impartire degli ordini che riguardano il passato).
Poiché un comando può riguardare non solo un’azione immediata (alzati subito) ma può riferirsi a qualcosa che si dovrà svolgere in futuro (parti domani!), è possibile utilizzare con lo stesso valore anche l’indicativo futuro (partiraidomani! che si può alternare a parti domani!).
La coniugazione dell’imperativo presenta alcune anomalie. Per prima cosa non possiede la prima persona singolare: ha poco senso anche ordinare qualcosa a sé stessi e quando lo si fa di solito si usa la seconda persona, es.: “Corri! Ripeteva a sé stesso” (dunque ci si può esortare da soli dicendo: mangia!, ma non: “mangio!”). Negli ordini rivolti alla prima persona plurale (noi) e anche alla terza persona singolare e plurale (egli, essi) coincide con il congiuntivo presente: partiamo! (noi); esca! (egli); vadano (essi).
Infine, per esprimere un comando al negativo, nella seconda persona singolare (tu) l’imperativo si forma usando non seguito dal verbo all’infinito: non mangiare! (tu).
Nella tabella che segue: la coniugazione dell’imperativo degli ausiliari essere e avere e il paradigma dei verbi regolari in –are, –ere e –ire.
essere
avere
amare
temere
servire
(io) …
(io) …
(io) …
(io) …
(io) …
(tu) sii
(tu) abbi
(tu) am-a
(tu) tem-i
(tu) serv-i
(egli) sia
(egli) abbia
(egli) am-i
(egli) tem-a
(egli) serv-a
(noi) siamo
(noi) abbiano
(noi) am-iamo
(noi) tem-iamo
(noi) serv-iamo
(voi) siate
(voi) abbiate
(voi) am-ate
(voi) tem-ete
(voi) serv-ite
(essi) siano
(essi) abbiano
(essi) am-ino
(essi) tem-ano
(essi) serv-ano
Nel caso dei verbi come andare,dare, fare e stare la seconda persona dell’imperativo è di solito tronca (cade la i finale) e dunque si scrive con l’apostrofova’, da’ (ma circola anche dà), fa’ esta’ (e non vai, fai, stai, mentre dai è diventato un’intercalare esortativo quando si dà del tu):
esempio: va’ di là, fa’ presto, da’ qui, sta’ fermo.
Anche l’imperativo di dire è tronco: di’, ma mentre i suoi composti seguono sempre la coniugazione del verbo progenitore (e benediceva è la forma più corretta rispetto a benediva, perché segue il modello “diceva”) l’unica eccezione è che all’imperativo non vale, e nel caso di benedire si dice benedici senza troncamento (e non benedi’), così come si dice: contraddici, disdici, maledici, predici, ridici…
■ Perché si dice “voglio che sia” ma “vorrei che fosse”? ■ Si può dire “desidererei che sia”? ■ Meglio dire “mi piacerebbe che sia”
o “mi piacerebbe che fosse”?
Quando si usa il congiuntivo, per esprimere la contemporaneità nel presente con la principale si usa di solito il congiuntivo presente, per esempio:
● immagino che tu sappia ● voglio che sia.
Ma quando nella principale c’è un condizionale (e non un indicativo) di un verbo di volontà o desiderio, per esprimere la contemporaneità nel presente non si usa il congiuntivo presente, ma il congiuntivo imperfetto.
Dunque si dice:
vorrei che tu fossi
e non:
vorrei che tu sia.
Riassumendo: si dice voglio che sia, ma vorrei che fosse, come cantava Mina.
■ Perché si dice “so che è” ma “non so se sia””? ■ Perché si dice “sono sicuro che è” ma “non sono sicuro che sia”? ■ Meglio dire “non ti ho raccontato perché ha fatto tardi” o “non ti ho raccontato perché abbia fatto tardi”?
L’indicativo si usa per esprimere certezze e il congiuntivo è invece più adatto per esprimere il mondo della possibilità, dunque davanti a verbi come dire, affermare, constatare, dichiarare, vedere, sentire, accorgersi, scoprire, spiegare… seguiti da che si usa sempre l’indicativo:
● ho visto e sentito che Marco ha fatto un tuffo ●ti ho detto che ho preso il tram ●si è accorto che era in ritardo…
Tuttavia, in alcuni casi, si può usare il congiuntivo in presenza di una negazione che cambia le cose, per esempio:
so che ha (e mai abbia) un vestito
nuovo
al negativo si può esprimere preferibilmente con:
non sose abbia un vestito nuovo (è più corretto ed elegante di non so se ha un vestito nuovo).
In questo costrutto il che si trasforma in se, e il verbo sapere, al negativo, perde la sua oggettività e si trasforma in un verbo che esprime un’incertezza. Lo stesso vale per un’espressione come:
sono sicuro che ti sei sbagliato
che al negativo si può rendere meglio con:
non sono sicuroche ti sia sbagliato.
Ciò non vale solo per le frasi introdotte da che, ma anche da altre congiunzioni, per esempio:
●ti ho raccontato perché ho deciso di non andare al lavoro ●non ti ho raccontato perché avessi deciso/hodeciso di non andare al lavoro.
La scelta del congiuntivo in questi casi non è obbligatoria, ma più elegante.
■ Si dice “penso che è” o “penso che sia”? ■ Quando si usa il congiuntivo e quando l’indicativo? ■ Perché si dice “ho notato che è”
ma “dubito che sia? ■ Perché si dice “sono partito dopo che è arrivato” ma “sono partito prima che arrivasse? ■ Perché si dice “mi tira la palla perché sono vicino” ma “mi tira la palla perché
io faccia canestro?
Si può dire in tutti e due i modi. E poiché il congiuntivo è soprattutto il modo verbale indicato per l’incertezza, la possibilità e l’impossibilità, la prima frase esprime un dubbio (lascia intendere che potrei sbagliarmi e che potrebbe non essere così), mentre la seconda è perentoria e lascia intendere che è di scuro così come penso (penso = è vero, è senza dubbio così).
Per fugare un po’ di dubbi e incertezze su quando usare il congiuntivo e quando usare l’indicativo si possono prendere in considerazione le seguenti frasi:
ho notato → chesei furbo
dubito → che tu sia furbo
mangia → quando ha fame
mangia → primachepassi la fame
mi tira la palla → perché vuole giocare
mi tira → la palla perché io faccia gol
Anche se la struttura di queste frasi è molto simile, negli esempi a sinistra le frasi dipendenti dalla principale (quelle dopo la freccia) sono espresse obbligatoriamente con il modo indicativo, negli altri tre di destra è invece obbligatorio l’uso del congiuntivo.
La scelta del modo corretto a seconda dei casi, semplificando, dipende da almeno tre fattori:
● dal tipo di verbo della reggente che può esprimere oggettività o certezza (indicativo), oppure dubbio, possibilità o convinzione soggettiva (congiuntivo); ● daltipo di frase dipendente (causale, temporale, finale…); ● dallecongiunzioni che legano la dipendente con la principale (quando, perché…).
Poiché l’indicativo è il modo della certezza e dell’oggettività, e il congiuntivo della possibilità, dell’impossibilità e della soggettività (volontà, desiderio, sentimenti personali), si dice:
ho notato chesei bravo, ma dubito che tu sia bravo.
Anche il tipo di frase dipendente aiuta a capire quale modo usare, e le frasi temporali (quelle che rispondono alla domanda: “Quando?”) di solito vogliono l’indicativo (parti quando sei pronto) a meno che non siano introdotte dall’espressione “prima che” che vuole obbligatoriamente il congiuntivo: parto (quando?)primachesia tardi (dunque: “Sono partito dopo che è arrivato” ma “sono partito prima che arrivasse).
Nell’ultimo esempio del nostro elenco, infine, la scelta di indicativo o congiuntivo dipende dal significato di perché: nel primo caso esprime una causa e introduce una frase dipendente causale (mi tira la palla → perché vuole giocare) che vuole l’indicativo; nel secondo caso è sostituibile da affinché (= allo scopo di, al fine di) ed esprime una dipendente finale che vuole il congiuntivo: mi tira la palla → perché(= affinché) io faccia canestro.
■ È vero che non si può
MAI dire “se sarebbe”? ■ Nelle ipotesi si può dire “se sarebbe”? ■ Nelle interrogative indirette (mi domando se…) si può dire “se
sarebbe”? ■ Nelle frasi concessive introdotte da “anche
se…” si può dire “se sarebbe”?
Nelle ipotesi, cioè nei periodi ipotetici, non si può mai e poi mai usare il se + condizionale (se sarebbe), è uno degli errori più diffusi da evitare. Si dice:
se fosse vero (e mai se sarebbe vero) sarebbe bello; se potessi (e mai se potrei) lo farei; se venisse (e mai se verrebbe) vedrebbe con i suoi occhi.
In questi casi il condizionale si usa nella principale (sarebbe bello), mentre l’ipotesi si formula sempre con se + congiuntivo.
Tuttavia, fuori dai periodi ipotetici e dalle ipotesi, seseguito dal condizionale è corretto nelle frasi concessive perlopiù davanti all’espressione “anche se”, per esempio:
anche se sarebbe giusto fare una pausa, continuiamo! anche se potrebbe funzionare, meglio non perderci tempo. anche se avrebbe potuto evitare quell’errore, non ci ha pensato…
Si può usare anche nelle interrogative indirette:
mi chiedo se sarebbe giusto… non so se potrebbe andare bene… mi domando se sarebbe opportuno…
■ Cosa sono le frasi condizionali? ■ Cosa sono la protasi e l’apodosi? ■ Cosa sono i periodi ipotetici? ■ Cos’è il periodo ipotetico della realtà? ■ Cos’è il periodo ipotetico della possibilità? ■ Cos’è il periodo ipotetico dell’impossibilità? ■ Come si combina il condizionale con il congiuntivo nei periodi ipotetici? ■ Quali sono esempi di frasi con periodi ipotetici?
Il condizionale si impiega soprattutto nelle ipotesi, e il suo nome deriva proprio dal fatto che è un modo per esprimere una conseguenza che si verifica solo a certe condizioni:
volerei (conseguenza) → se (= a condizione che) fossi un gabbiano.
Il più delle volte la condizione è espressa da se, ma non necessariamente, a volte può essere espressa anche da che, qualora, laddove, caso mai, semmai, purché, nell’eventualità di, nell’ipotesi che, a patto che, a condizione che, ammesso che…
Per esempio: ● vorresti una casa che (= se) non avesse il balcone? ● Perdoneresti un amico qualora (= se) ti tradisse? ● Mangerei qualunque cosa purché (= se) non contenesse carne. ● Ti aiuterei laddove (= se) ci fosse la necessità.
Questo tipo di frasi si chiamano condizionali e sono formate da un’ipotesi (in grammatica si chiama protasi) e da una conseguenza (detta apodosi). Molto spesso la condizione introdotta da se (o dalle altre parole) precede l’ipotesi (se potessi → andrei in vacanza), ma non sempre (si può anche dire: andrei in vacanza → se potessi).
Queste frasi ipotetiche, che prendono il nome di periodi ipotetici, richiedono il condizionale (nella principale) associato al congiuntivo (nella subordonata) solo quando esprimono qualcosa di possibile o di impossibile, mentre quando l’ipotesi è certa si formulano con l’indicativo, per esempio:
● se metti la cravatta sei elegante (o se continua a piovere rimango a casa) esprime qualcosa dato come certo (periodo ipotetico della realtà → indicativo + indicativo);
● se mettessi la cravatta sarestielegante (o se continuasse a piovere rimarrei in casa) esprime invece qualcosa dato come possibile (potrebbe anche non accadere: periodo ipotetico della possibilità → condizionale + congiuntivo);
● se avessi messo la cravatta sarestielegante (o se avesse continuato a piovere sarei rimasto in casa) esprime infine qualcosa di impossibile (dato che non è accaduto: periodo ipotetico dell’impossibilità → condizionale + congiuntivo).
■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -are? ■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -ere? ■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -ire? ■ Come si coniugano gli ausiliari essere e avere al condizionale? ■ Come si coniuga la forma passiva del condizionale dei verbi regolari? ■ Quanti sono i tempi del condizionale? ■ Come cambia la vocale tematica dei verbi regolari in -are al condizionale?
La coniugazione del condizionale ha solo due tempi:
● il presente (tempo semplice) ● e il passato (tempo composto dall’ausiliare essere/avere + il participio passato).
Per stabilire se un verbo vuole come ausiliare essere o avere bisogna sapere che tutti i verbi transitivi(quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) si appoggiano all’ausiliare avere, mentre per i verbi intransitivi non c’è una regola fissa (andare, per es., si appoggia a essere: sarei andato, ma litigare vuole avere: avrei litigato) e dunque, in caso di dubbi non resta che consultare un dizionario.
Va poi ricordato che nel caso dell’ausiliare essere il participio si concorda nel numero e nel genere (per cui io sarei stato diventa noi saremmo statial plurale, io sarei statae noi saremmo statenel femminile), mentre con il verbo avere rimane invariato (noi avremmo avuto).
Il condizionale di esseree avere
presente
passato
presente
passato
io sarei
io sarei stato
io avrei
io avrei avuto
tu saresti
tu saresti stato
tu avresti
tu avresti avuto
egli sarebbe
egli sarebbe stato
egli avrebbe
egli avrebbe avuto
noi saremmo
noi saremmo stati
noi avremmo
noi avremmo avuto
voi sareste
voi sareste stati
voi avreste
voi avreste avuto
essi sarebbero
essi sarebbero stati
essi avrebbero
essi avrebbero avuto
I verbi regolari in –are
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –are (sul modello di lodare) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di lodare
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io lod-erei
io avrei lodato
io sarei lodato
io sarei stato lodato
tu lod-eresti
tu avresti lodato
tu saresti lodato
tu saresti stato lodato
egli lod-erebbe
egli avrebbe lodato
egli sarebbe lodato
egli sarebbe stato lodato
noi lod-eremmo
noi avremmo lodato
noi saremmo lodati
noi saremmo stati lodati
voi lod-ereste
voi avreste lodato
voi sareste lodati
voi sareste stati lodati
essi lod-erebbero
essi avrebbero lodato
essi sarebbero lodati
essi sarebbero stati lodati
Come si può notare, nella coniugazione del
condizionale dei verbi in –are la
vocale tematica dell’infinito a si trasforma in e:
lod-a-re, am-a-re
e parl-a-re si trasformano in lod-e-rei, am-e-rei, parl-e-rei
e così via (lod-e-resti, am-e-resti e parl-e-resti) senza
particolari difficoltà.
Le uniche particolarità che vale la pena precisare sono che:
● i verbi che terminano in –ciare e –giare al condizionale mantengono il suono dolce, ma perdono la i, quindi: comin-ciare oman-giare si trasformano in comin-cerei e man-gerei (e non comincierei e mangierei), comin-ceresti, man-geresti e così via; ● i verbi che terminano in –care e –gare, invece, per mantenere il suono duro, al condizionale prendono la h: gio-care o pa-gare si trasformano in gio-cherei e pa-gherei (e non gio-cerei e pa-gerei), gio-cheresti, pa-gheresti e così via.
I verbi regolari in –ere
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –ere (sul modello di temere) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di temere
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io tem-erei
io avrei temuto
io sarei temuto
io sarei stato temuto
tu tem-eresti
tu avresti temuto
tu saresti temuto
tu saresti stato temuto
egli tem-erebbe
egli avrebbe temuto
egli sarebbe temuto
egli sarebbe stato temuto
noi tem-eremmo
noi avremmo temuto
noi saremmo temuti
noi saremmo stati temuti
voi tem-ereste
voi avreste temuto
voi sareste temuti
voi sareste stati temuti
essi tem-erebbero
essi avrebbero temuto
essi sarebbero temuti
essi sarebbero stati temuti
In sintesi, i
verbi che terminano in –ere nella coniugazione al
condizionale mantengono la vocale tematica e: corr-e-re si trasforma
in corr-e-rei, corr-e-resti e così via.
I verbi regolari in –ire
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –ire (sul modello di sentire) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di sentire
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io sent-irei
io avrei sentito
io sarei sentito
io sarei stato sentito
tu sent-iresti
tu avresti sentito
tu saresti sentito
tu saresti stato sentito
egli sent-irebbe
egli avrebbe sentito
egli sarebbe sentito
egli sarebbe stato sentito
noi sent-iremmo
noi avremmo sentito
noi saremmo sentiti
noi saremmo stati sentiti
voi sent-ireste
voi avreste sentito
voi sareste sentiti
voi sareste stati sentiti
essi sent-irebbero
essi avrebbero sentito
essi sarebbero sentiti
essi sarebbero stati sentiti
Riassumendo, i verbi che terminano in –ire nella coniugazione al condizionale mantengono la vocale tematica i: sal-i-re e fin-i-re si trasformano in sal-i-rei, sal-i-resti, fin-i-rei, fin-i-resti e così via.
■ Cos’è il modo condizionale? ■ Quando si usa il modo condizionale? ■ Il condizionale si
può usare da solo nelle frasi autonome? ■ Il condizionale si può usare nelle frasi subordinate? ■ Nei
periodi ipotetici il condizionale forma la frase reggente o quella subordinata?
■ Ci sono casi in cui si può usare il condizionale al posto del congiuntivo?
Il modo condizionale si chiama così perché serve prevalentemente per esprimere qualcosa che può realizzarsi solo a certe condizioni, e i suoi tempi sono solo due, il presente e il passato:
● (in questo momento) non avrei fame → se mangiassi un panino (condizione); ● (ieri) non avrei avuto fame → se avessi mangiato un panino (condizione).
Il condizionale nelle frasi autonome e indipendenti
Molto spesso il condizionale si usa in frasi reggenti che richiedono un frase subordinata al congiuntivo (la condizione), cioè nel periodo ipotetico. Ma non è sempre così, il condizionale si può usare anche da solo, nelle proposizioni autonome, e in genere rappresenta il modo della gentilezza: invece di impartire un ordine con l’imperativo (un modo decisamente più prepotente), per esempio: passami il sale!, si può dire più educatamente: mi passeresti il sale?
Più precisamente, il condizionale usato autonomamente può di volta in volta esprimere:
● una richiesta di cortesia (mi diresti che ore sono?); ● un desiderio o un’intenzione (berrei una birra); ● un dubbio o un’opinione (dove potrei andare? Non avrei saputo cosa fare); ● un’affermazione attenuata o dubitativa (andrei a casa); ● una supposizione (l’assassino sarebbe il maggiordomo).
L’uso del condizionale nelle frasi principali e dipendenti
Oltre a questi usi autonomi, il condizionale si può trovare nel periodo sia all’interno di frasi principali sia all’interno di quelle subordinate o dipendenti, e si può alternare con l’indicativo oppure con il congiuntivo.
Nei periodi ipotetici può formare la frase reggente da cui dipende la subordinata al congiuntivo:
● volerei (principale) → se avessi le ali; ● sarei andato in vacanza → se avessi potuto; ● rimarrei in casa → qualora piovesse.
Altre volete si trova invece nelle frasi subordinate:
● mi domando (principale) → se verresti con me (interrogativa indiretta); ● ti telefono perché vorrei chiederti un favore (causale); ● il gatto che sarebbe sul tetto (relativa);
e in alcuni casi può alternarsi non solo all’indicativo, ma anche al congiuntivo:
● credo che sarebbe meglio riflettere (invece di credo sia meglio riflettere); ● pensavo che sarebbe stato sbagliato (invece di pensavo che fosse sbagliato).
■ In che cosa è irregolare il congiuntivo di andare, dare, fare e stare? ■ Come cambia la radice tematica di dare
e stare nel congiuntivo? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si coniugano come i verbi
progenitori? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si
coniugano come i verbi progenitori? ■ Come si coniugano al congiuntivo andare,
dare, fare e stare?
Il congiuntivo presente dei verbi regolari in –are si forma con la vocale tematica “i” (lod-are → che iolod-i), mentre verbi in –ere e –ire prendono la vocale tematica “a”: temere → che io tem-a e non temi e servire → che io serv-a e non servi.
Però: i verbi andare, dare, fare e stare, sono irregolari, e si comportano come se fossero verbi –ere/ire, cioè sono eccezioni che vogliono la vocale tematica –a (e mai la –i!): che io vada, dia, faccia e stia.
Inoltre, al congiuntivo imperfetto, dare e stare cambiano la vocale tematica che da a si trasforma in e: che iodessi e stessi.
Queste sono le irregolartà da ricordare, insieme a un’altra precisazione importante.
I composti di dare e stare non si comportano come il verbo progenitore, e diventano regolari:
● circondare, restare o estradare diventano che io circondi, che io resti, che io estradi e che io circondassi/restassi/estradassi (e non circondessi, restessi ed estradessi); ● nel caso di prestare si dice che io presti e che io prestassi (e non prestia o prestessi) e lo stesso vale per restare, contrastare o sovrastare.
I composti di fare, al contrario, si coniugano come il verbo progenitore per cui si dice: ● che io disfaccia e disfacessi ● che io soddisfaccia e soddisfacessi
anche se le forme disfi, disfassi, soddisfi e soddisfassi si sono ormai affermate, ma non sono eleganti, ed è meglio evitarle. A parte questi casi, per tutti gli altri composti questi distaccamenti dal paradigma del verbo originario non sono tollerabili, per cui si dice:
● assuefaccia e assuefacessi ● contraffaccia e contraffacessi ● liquefaccia e liquefacessi ● rifaccia e rifacessi ● sopraffaccia e sopraffacessi.
Di seguito le tabelle con le coniugazioni di tutte le forme.
■ Da dove nascono gli errori “fantozziani” sul congiuntivo che spingono a dire “facci” o “batti” al posto di “faccia” e “batta”? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -are al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi irregolari andare, dare, fare e stare al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -ere e -ire al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -are ■ Al congiuntivo imperfetto i verbi dare e stare mantengono la stessa radice in A o la cambiano in E? ■ Al congiuntivo i dice “stassi” e “dassi” o “stessi” e “dessi”?
“Ma mi facci il piacere” diceva Totò al posto di “faccia”, ironizzando su uno degli errori più diffusi in fatto di congiuntivo. Anche il personaggio di Fantozzi incarna la caricatura dell’uomo medio che sbaglia sistematicamente tutti i congiuntivi (“venghi” invece di venga) e una delle scenette più celebri è quella della partita a tennis nella nebbia con il ragionier Filini, il cui dialogo suona pressappoco così:
– Batti! – Ma… mi dà del tu? – No, batti lei! – Ah, congiuntivo!
Questi congiuntivi maccheronici ed errati dipendono dall’andare a orecchio nel modo sbagliato. Ma chi soffre della “sindrome di Fantozzi”, un caso diffuso di “congiuntivite”, la può correggere in modo semplice.
Da dove nascono questi errori? Dal semplice fatto di non ricordare 4 semplici eccezioni.
Il congiuntivo presente dei verbi regolari in –are si forma con la vocale tematica “i” (mangiare → che iomang-i), mentre verbi in –ere e in –ire prendono la vocale tematica “a” (temere → che io tem-a e non temi e servire → che io serv-a e non servi.
Fantozzi, invece, coniuga tutti i verbi al congiuntivo in modo sistematico solo con la vocale –i, sul modello di lodare (che io lod-i).
In particolare, i verbi andare, dare, fare e stare, anche se terminano in –are, non sono regolari, e si comportano come se fossero verbi in –ere/ire, cioè sono eccezioni che vogliono la vocale tematica –a (e mai la –i!).
Dunque si dice:
vada e vadano (e non vadi e vadino) dia e diano (e non dii e diino) faccia e facciano (e non facci e faccino) stia e stiano (e non stii e stiino).
Inoltre, passando dal congiuntivo presente al congiuntivo imperfetto, dare e stare cambiano la vocale tematica (dalla a passano alla e), e si trasformano in
dessi e dessero (e non dassi e dassero) stessi e stessero (e non stassi e stassero).
Basta ricordarsi queste poche regole, e il rischio di fare figure “fantozziane” è scongiurato.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ire? ■ Perché i verbi come finire o pulire al congiuntivo fanno che io finisca e pulisca (con ISC), mentre servire fa che io serva? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ire?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ire, sul modello di servire.
Attenzione: molti verbi che terminano in –ire nella loro coniugazione non si comportano esattamente come servire, ma inseriscono l’infisso -isc- tra la radice e la desinenza di alcune persone.
Questa particolarità non riguarda solo il congiuntivo, ma anche l’indicativo, dunque finireo pulire si trasformano in finisco e pulisco e al congiuntivo analogamente la desinenza regolare va aggiunta a questo cambiamento della radice: che io (tu, egli)finiscae che io pulisca (si perde invece nel caso di noi puliamo e voi pulite che al conguntivo diventano che noi puliamo e che voi puliate, e ritorna nella terza persona plurale: che essi puliscano).
Congiuntivo di servire
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io serv-a
che io abbia servito
che io serv-issi
che io avessi servito
che tu serv-a
che tu abbia servito
che tu serv-issi
che tu avessi servito
che egli serv-a
che egli abbia servito
che egli serv-isse
che egli avesse servito
che noi serv-iamo
che noi abbiamo servito
che noi serv-issimo
che noi avessimo servito
che voi serv-iate
che voi abbiate servito
che voi serv-iste
che voi aveste servito
che essi serv-ano
che essi abbiano servito
che essi serv-issero
che essi avessero servito
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ere? ■ Perché i verbi come vincere o scorgere al congiuntivo fanno che voi vinciate (con la C dolce), ma che io vinca (con la C dura)? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ere?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ere, sul modello di temere.
Attenzione: le uniche eccezioni si hanno con i verbi che terminano in –cere, –gere e –scere che mantengono il suono dolce davanti a e e i, che diventa invece duro davanti ad a, o e u: vincere diventa dunque che io vinc-a e che noi vinc-iamo.
Congiuntivo di temere
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io tem-a
che io abbia temuto
che io tem-essi
che io avessi temuto
che tu tem-a
che tu abbia temuto
che tu tem-essi
che tu avessi temuto
che egli tem-a
che egli abbia temuto
che egli tem-esse
che egli avesse temuto
che noi tem-iamo
che noi abbiamo temuto
che noi tem-essimo
che noi avessimo temuto
che voi tem-iate
che voi abbiate temuto
che voi tem-este
che voi aveste temuto
che essi tem-ano
che essi abbiano temuto
che essi tem-essero
che essi avessero temuto
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -are? ■ I verbi con il GN, come sognare, al congiuntivo fanno che voi sogniate (con la i) o che voi sognate? ■ I verbi in -iare, come mangiare, al congiuntivo fanno che io mangii o che io mangi? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -are?
I verbi che terminano in –are sono quasi tutti regolari, e a parte andare, dare, fare e stare (per es. si dice faccia e non “facci“) seguono tutti questo paradigma.
Gli unici dubbi che si possono segnalare sui verbi regolari in –are, riguardano i casi in cui è in gioco la lettera i.
Pregare e recare, per esempio, le cui radici sono preg- e rec-, hanno un suono duro, e per mantenerlo, quando incontrano la desinenza che inizia con la lettera i, necessitano dell’aggiunta della h dopo la c e la g, dunque si dice che iopreghi e che iorechi (e non pregi e reci).
Analogamente, i verbi che hanno una i prima della desinenza –are, come mangi-are, lanci-are o strisci-are, hanno invece il problema della doppia i, per cui, per ragioni eufoniche, la doppia i di che iomangi-i si contrae in una sola: che io mangi (lanci e strisci).
I verbi in –gnare, inoltre, quando incontrano la i delle forme -iamo e -iate del congiuntivo, la conservano anche se il digramma gn di solito non la richiederebbe (vedi → “Le regole per combinare le lettere nella formazione delle parole“), dunque si scrive: che noi sogniamo e che voi sogniate, perché la i fa parte della desinenza del congiuntivo.
Di seguito la coniugazione del verbo amare, scelto come paradigma dei verbi regolare in –are.
Ha come ausiliare il verbo avere, ma se dovete coniugare un verbo che regge l’ausiliare essere la sola differenza è di usarlo correttamente nei tempi composti: crollare, per esempio diventerà: che io sia/fossi crollato.
Congiuntivo di amare
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io am-i
che io abbia amato
che io am-assi
che io avessi amato
che tu am-i
che tu abbia amato
che tu am-assi
che tu avessi amato
che egli am-i
che egli abbia amato
che egli am-asse
che egli avesse amato
che noi am-iamo
che noi abbiamo amato
che noi am-assimo
che noi avessimo amato
che voi am-iate
che voi abbiate amato
che voi am-aste
che voi aveste amato
che essi am-ino
che essi abbiano amato
che essi am-assero
che essi avessero amato
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga l’ausiliare avere al congiuntivo? ■ Come si coniuga l’ausiliare essere al congiuntivo? ■ Perché si dice “noi siamo stati” (concordato al plurale) ma “noi abbiamo mangiato” (non concordato)?
Gli ausiliari essere e avere sono fondamentali perché, nei tempi presente e imperfetto, servono per formare i tempi composti di tutti gli altri verbi, uniti al participio passato.
Per capire se un verbo si appoggi a essere o avere, bisogna sapere che avere è l’ausiliare di tutti i verbi transitivi (quelli che reggono il complemento oggetto e dunque rispondono alle domande: “Chi?” “Che cosa?”). Un verbo come fare, perciò (si può fare qualcosa) richiede l’ausiliare avere: io ho fatto, che io abbia fatto.
Per i verbi intransitivi, invece, non c’è una regola per sapere a quale ausiliare si appoggiano: andare (non è transitivo e non si può “andare qualcosa o qualcuno”) si appoggia a essere: sono andato, che io sia andato, ma litigare (non si può “litigare qualcuno” ma si litiga con qualcuno) si appoggia ad avere: ho litigato, che io abbia litigato. In caso di dubbi, perciò, se non si sa a quale ausiliare si appoggia un verbo non resta che consultare il dizionario, che riporta queste informazioni.
Ecco come si coniugano i quattro tempi del congiuntivo del verbo essere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io sia
che io sia stato
che io fossi
che io fossi stato
che tu sia
che tu sia stato
che tu fossi
che tu fossi stato
che egli sia
che egli sia stato
che egli fosse
che egli fosse stato
che noi siamo
che noi siamo stati
che noi fossimo
che noi fossimo stati
che voi siate
che voi siate stati
che voi foste
che voi foste stati
che essi siano
che essi siano stati
che essi fossero
che essi fossero stati
Di seguito la coniugazione del congiuntivo del verbo avere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io abbia
che io abbia avuto
che io avessi
che io avessi avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Attenzione: nel caso del verbo avere, il participio passato dei tempi composti rimane sempre invariato (per esempio: io ho avuto e noi abbiamoavuto). Invece, quando l’ausiliare è essere il participio si concorda sempre nel numero e nel genere (io sono stato, noi siamo stati, esse sono state…).
■ Quando si usa il congiuntivo nelle frasi dipendenti? ■ Cosa sono i periodi ipotetici? ■ Che differenza c’è tra i periodi ipotetici della certezza, della possibilità e dell’impossibilità? ■ Quali sono le parole o le espressioni che richiedono il congiuntivo? ■ Quali sono i verbi che richiedono il congiuntivo? ■ Ci sono casi in cui si può usare sia il congiuntivo sia l’indicativo? ■ Quando il congiuntivo si usa associato al condizionale? ■ Si può dire “sono sicuro” che sia o si dice solo “sono sicuro che è”? ■ Quali sono esempi di frasi che richiedono il congiuntivo? ■ Perché si dice “prima che sia”, ma “dopo che è”?
Anche se si può usare nelle frasi dipendenti in modo autonomo, il congiuntivo è il modo che si usa soprattutto nelle frasi dipendenti (da una frase principale) e si ritrova per esempio in alcuni tipi di subordinate come le finali, oppure (più facilmente anche senza saper riconoscere il tipo di frase) dopo alcune parole ed espressioni.
Di seguito un elenco di casi utili per comprendere quando il congiuntivo è obbligatorio:
● nelle condizioni (i periodi ipotetici, associato al condizionale) e nelle azioni, opinioni o pensieri non certi, ma solo possibili (si abbronzerebbe → se andasseal mare). Dunque anche in presenza di parole come se, qualora, ammesso che, purché: verrò da te → qualora facesse, bel tempo; ti raggiungerò → purché ti faccia piacere; ti perdonerò → ammesso che tu mi porga le tue scuse.
Quanto a se, bisogna fare attenzione: quando i periodi ipotetici esprimono una certezza o una realtà non richiedono il congiuntivo (se non annaffi i fiori avvizziscono = certezza), mentre quando esprimono una possibilità o una impossibilità è obbligatorio:
se tu non bagnassi i fiori (è possibile che ti dimentichi = possibilità) si avvizzirebbero; se tu ieri non avessi bagnato i fiori (impossibilità: so che li hai bagnati) si sarebbero avvizziti;
● per esprimere avvenimenti impossibili, per esempio quelli che non si sono verificati (sarebbe rimasto in città → se non fosseal mare) o che non si possono verificare (se la luna fossedi formaggio sarebbe il paradiso dei topi); ● nelle frasi dipendenti con valore finale: te lo dico → perché (= affinché) tu lo sappia; ● nelle frasi concessive (benché, sebbene, nonostante…): non ha molta cultura → benché siaintelligente; ● davanti a chiunque, ovunque, dovunque: sarà un successo comunque → vada; starà bene → ovunque vada (ma con valore futuro è possibile usare anche l’indicativo futuro: ovunque andrà, comunque andrà); ● davanti a prima che: te lo dico → prima che sia tardi (a parte questa espressione nei casi della frasi temporali si usa l’indicativo, es.: vado via → dopo che ho mangiato, mentre è partito → prima che mangiasse); ● davanti a fuorché, a meno che, tranne che (frasi eccettuative): verrò → a meno che non piova; ● davanti a senza che (frasi esclusive): è scappato → senza che nessuno se ne accorgesse; ● davanti a come se o quasi che che esprimono un modo: si lanciò sul nemico → come (se) fosseun leone; mi guardò → quasi che sapessecosa stavo per fare; ● davanti a anziché o piuttosto che (comparative): preferisco mangiarlo → anziché si butti.
Il congiuntivo nelle frasi dipendenti si usa anche in presenza di molti verbi come:
● i verbi di volontà, preferenza e desiderio: voglio (preferisco, desidero) → che sia; ● i verbi di comando o permesso: chiedo (proibisco, ordino, prego, mi raccomando) → che sia; ● i verbi di dubbio, possibilità, impossibilità: dubito (suppongo, immagino, è possibile, è impossibile) → che sia; ● i verbi di aspettativa: mi aspetto (temo, spero, ho paura, sono ansioso) → che sia; ● i verbi di finzione: fingiamo (immaginiamo, supponiamo, facciamo finta) → che sia; ● i verbi che esprimono uno stato d’animo: mi rallegro (sono felice, mi dispiace) → che sia; ● i verbi di opinione o convinzione personale: credo (sono del parere, mi pare, penso, ho il sospetto) → che sia.
Poiché il congiuntivo esprime un dubbio, talvolta i verbi come questi possono essere usati in modo perentorio (senza dubbi) e in tal caso non vogliono il congiuntivo. Per esempio, si può dire penso che è (si usa pensare in modo certo, come dire: sono sicuro, il pensiero non si può mettere in discussione) oppure penso che sia (si usa pensare per esprimere un dubbio, potrebbe anche non essere come si pensa); oppure si può dire sono sicuro/convinto che è (esprime certezza) ma anche sono sicuro/convinto che sia (esprime una certezza soggettiva, che può essere messa in discussione: non è detto che una cosa di cui si è sicuri sia vera, ci si può anche sbagliare). In questi casi, perciò, usare il congiuntivo stempera una certezza e la trasforma in qualcosa che ha margini di dubbio, è una scelta stilistica, mentre usare l’indicativo conferisce alla frase un tono più forte, come qualcosa che non si può mettere in discussione.
■ Il congiuntivo si usa solo nelle frasi dipendenti? ■ Quali sono gli usi del congiuntivo nelle frasi autonome? ■ Quando si dà del lei a più interlocutori si deve dare del voi o del loro? ■ Cosa sono il congiuntivo permissivo o esortativo? ■ Il congiuntivo si può usare come un imperativo? ■ Cos’è il congiuntivo dubitativo? ■ Cos’è il congiuntivo concessivo?
Anche se molto spesso è un modo che si usa nelle frasi subordinate (cioè quelle che non si reggono da sole, ma dipendono da una frase principale, es. voglio → che tu facciapresto), il congiuntivo si può usare anche nelle frasi autonome e indipendenti, cioè quelle che si reggono da sole. Per esempio lo usiamo quando diamo del lei al nostro interlocutore: entri.
Più nel dettaglio, l’uso
autonomo del congiuntivo si ritrova:
● nel dare del lei a chi ci rivolgiamo (si sieda, venga) e al plurale del loro (si siedano, vengano), che si fa sempre alla terza persona: non si usa dire “tu venga” o “ti sieda”.
Quando gli interlocutori sono più di uno non si dovrebbe dire (voi) “venite” o “entrate”, in questo caso siamo di fronte al plurale di tu (seconda persona) e del verbo all’indicativo, mentre la forma reverenziale (di rispetto) prevede il lei e il loro (per saperne di più → “Dare del tu, del lei, del loro e del voi“);
● nelle esortazioni (congiuntivo esortativo); è molto simile all’uso del congiuntivo per dare del lei, perché esprime un’esortazione (per es. entriil prossimo, mi dica), e questo uso a volte può essere etichettato anche come congiuntivo permissivo quando è seguito da “pure”: mangi pure, entri pure; ● nel porre dei dubbi (non mi risponde, che a quest’oradorma?), cioè il congiuntivo dubitativo; ● nel formulare delle concessioni (che facciapure quel che crede!; che dicapure quel che vuole!); ● talvolta nell’espressione di ordini: che vadasubito a mettersi la cravatta! ● in certe esclamazioni: sapessi! Aveste visto (come era vestito)! ● nell’augurare qualcosa (congiuntivo di desiderio): magari potessivolare! Fossevero! Che il Signore sia con te!
■ Quando si usa il congiuntivo? ■ Quali sono i tempi del congiuntivo? ■ Quando si usa il congiuntivo presente? ■ Quando si usa il congiuntivo imperfetto? ■ Il congiuntivo imperfetto ha solo un valore passato? ■ Quando si usa il congiuntivo passato? ■ Quando si usa il congiuntivo trapassato? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo imperfetto? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo trapassato? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo passato? ■ Che differenza c’è tra il congiuntivo e l’indicativo? ■ Che differenza c’è tra il congiuntivo e il condizionale? ■ Quanti tempi possiede il congiuntivo? ■ Quali sono i tempi composti del congiuntivo?
Il congiuntivo è uno dei modi più complessi, tra le forme verbali, e spesso si sbaglia, si confonde con il condizionale o genera mille dubbi, paure e insicurezze.
In linea di massima, si può dire che mentre il modo indicativo si usa per esprimere cose certe e vere (il mondo della certezza), il congiuntivo è il modo della possibilità: si usa per esprimere i dubbi e le azioni che sono possibili o impossibili.
I tempi del congiuntivo sono quattro, due semplici (presente e imperfetto) e due composti (passato e trapassato).
Presente
Il congiuntivo presente (es. che io ami) si usa per esempio:
● nelle frasi dipendenti per esprimere la contemporaneità con la principale al presente (mi fa piacere chetu vada; spero che sia giusto); ● nelle frasi indipendenti per esprimere un dubbio, un augurio o un ordine nel presente (che sia giusto? Che Dio ti aiuti! Che si inchini davanti al re!).
Imperfetto
Il congiuntivo imperfetto (es. che io amassi) si usa nelle frasi dipendenti per esempio:
● per indicare la contemporaneità al passato con la principale (ieri pensavo che tu andassi al mare); ● per un’azione anteriore a quella della principale (oggi penso che a quel tempo tu andassi a scuola); ● spesso quando nella principale c’è il condizionale (mi piacerebbe → che tu andassi; mangerei → se tu cucinassi), e sempre nel caso ci sia un condizionale di volontà o di desiderio, per cui si dice: voglio (indicativo presente) → che sia (presente), ma vorrei (o mi piacerebbe: condizionale di desiderio) → che fosse (vedi anche → “Voglio che sia ma vorrei che fosse“).
Mentre nel modo indicativo l’imperfetto ha sempre e solo un valore passato, bisogna tenere presente che nelle frasi indipendenti il congiuntivo imperfetto non ha affatto necessariamente un valore di passato, ma si può usare anche per indicare qualcosa che deve ancora realizzarsi, con un valore futuro, e può esprimere per esempio un dubbio, un augurio o un desiderio: magari vincessiil primo premio!
Passato
Il congiuntivo passato (es. che io abbia amato) si forma con il congiuntivo presente del verbo ausiliare + il participio passato, e si usa:
● nelle frasi dipendenti per indicare un’anteriorità rispetto a ciò che è espresso nella principale (penso che ieri tu sia andato al mare); ● nelle frasi indipendenti per dubbi e possibilità riferiti al passato (che ieri sia uscito?).
Trapassato
Il congiuntivo trapassato (es. che io avessi amato) si forma con il congiuntivo imperfetto del verbo ausiliare + il participio passato, e si usa:
● nelle frasi dipendenti per indicare un’azione anteriore a un’altra avvenuta nel passato (pensavo che tu fossi uscito); ● nelle frasi indipendenti per dubbi e possibilità che non si sono realizzati (magari avessi frequentatola scuola! Ah, se non avessi abbandonatola scuola!).
■ Cosa sono i tempi dei verbi? ■ Quali sono i rapporti possibili tra il momento in cui si scrive e parla e quelli dell’azione espressa da un verbo? ■ Cos’è la correlazione dei tempi? ■ Che differenza c’è tra i tempi semplici e quelli composti dei verbi? ■ Quali sono i tempi dei verbi?
I verbi non esprimono solo il modo dell’azione, ne indicano anche il tempo.
Il tempo dei verbi serve a specificare quando sta avvenendo una certa azione: nel presente, nel passato o nel futuro.
Per essere più precisi: i tempi esprimono il rapporto tra il momento in cui si svolge l’azione e quello in cui si scrive o si parla.
Può essere un rapporto di:
● contemporaneità (nel presente): io mangio (= adesso: nel momento in cui scrivo/parlo sto mangiando); ● di anteriorità (passato): io ho mangiato (= prima: nel momento in cui scrivo/parlo ho già finito); ● di posteriorità (futuro): io mangerò (= tra un po’: nel momento in cui scrivo non è ancora successo).
Questi rapporti possono avvenire non solo nel presente, ma anche nel passato o nel futuro, e possono riguardare due frasi in correlazione tra loro, per esempio:
● ieri ho mangiato mentre andavoa casa (contemporaneità nel passato); ● ieri ho mangiato quel che avevo preparato il giorno prima (anteriorità nel passato); ● ieri ho mangiato la stessa cosa che mangio anche adesso (posteriorità rispetto al passato).
O ancora:
● adesso mangioquel che mangeròanche domani (posteriorità rispetto al presente).
Questi esempi fanno meglio comprendere la correlazione dei tempi, cioè il rapporto temporale tra due azioni (o due frasi) che può avere tante combinazioni. Esistono infatti diversi “gradi” di passato e di futuro, che possono essere più o meno recenti o prossimi rispetto al momento in cui si parla.
Nel caso del modo indicativo, per esempio, ci sono due gradi futuro (mangerò e avrò mangiato, dunque si possono esprimere due futuri, uno più vicino e uno più lontano: mangerò dopo che sarò tornato: anteriorità nel futuro). E poi ci sono tanti gradi di passato (mangiai, mangiavo, ho mangiato, avevo mangiato ed ebbi mangiato). Ciò vale anche per il caso degli altri modi, anche se in alcuni casi i tempi sono molto meno: nel congiuntivo posso dire “se avessi mangiato”, e “che abbia mangiato”, nel condizionale c’è solo avrei mangiati, e così via per ogni modo.
In queste forme di coniugazione, la cosa più importante è comprendere che ci sono le forme semplici, che si esprimono con una parola sola (mangiai, mangiavo) e quelle composte (ho mangiato, avevo mangiato, ebbi mangiato) che si formano con il verbo ausiliario (essere o avere a seconda dei verbi) + il participio passato.
Dopo queste premesse generali che riassumono le regole a grandi linee, ecco un riepilogo di come i tempi si combinano con i modi.
L’indicativo possiede: ● il presente (amo); ● i tempi passati semplici imperfetto (amavo) e passatoremoto (amai) + i tempi composti passato prossimo (ho amato), trapassato prossimo (avevo amato) e trapassato remoto (ebbi amato); ● il futuro semplice (amerò) e il futuro anteriore che è composto (avrò amato).
Il congiuntivo possiede: ● il presente (che io ami); ● l’ imperfetto, tempo semplice (che io amassi), e i tempi composti passato (che io abbia amato) e trapassato (che io avessi amato).
Il condizionalepossiede: ● il presente (amerei); ● il passato che è composto (avrei amato).
■ Quando si usa l’indicativo presente? ■ Cos’è il presente storico? ■ Quando si usa l’indicativo imperfetto? ■ Che differenza c’è tra l’indicativo imperfetto e gli altri passati? ■ Quando si usa il passato prossimo? ■ Quando si usa il passato remoto? ■ Meglio dire “l’anno scorso andai” o “l’anno scorso sono andato”? ■ Quando si usano il trapassato prossimo e trapassato remoto? ■ Che differenza c’è tra il trapassato prossimo e il trapassato remoto? ■ Quando si usa il futuro? ■ Che differenza c’è tra il futuro semplice e il futuro anteriore? ■ Quali sono i tempi dell’indicativo?
L’indicativo è il modo che serve a esprimere qualcosa di certo (amo, corro, sento…). Il nome indicativo deriva dal dito indice, quello che si usa per indicare le cose, per constatare ciò che avviene. È la maniera o la modalità di esprimere le azioni che si usa più di frequente, e per questo motivo è il modo più articolato dal punto di vista dei tempi possibili.
Oltre al presente, possiede ben 5 diversi tempi passati: 2 semplici (l’imperfetto, per. es. amavo, e il passato remoto, amai) e 3 composti (passato prossimo, ho amato; trapassato prossimo, avevo amato; trapassato remoto, ebbi amato). E poi ha due gradi di futuro, quello semplice (amerò) e quello anteriore (che è composto: avrò amato).
Più precisamente, ecco quali sono e quando si usano.
Presente
L’indicativo presente (es. amo) si usa:
● per esprimere qualcosa che succede nel momento in cui se ne parla o se ne scrive (guardo la partita); ● per qualcosa che è sempre valido, nel passato, nel presente e nel futuro (il corvo è nero, il mare è salato); ● a volte, però, si può usare il cosiddetto presente storico per esprimere qualcosa che è già accaduto ma raccontandolo come se fosse al presente, il che è un espediente narrativo per attualizzare qualcosa con uno stile più vivo, per esempio: “Napoleone nasce ad Ajaccio il 15 agosto 1769”; “nel 2006, l’Italia vince i mondali di calcio”. È evidente che in queste frasi viene a mancare la contemporaneità rispetto a quando si scrive (si potrebbe anche scegliere di dire nacque o vinse), ma in casi come questo il presente può caricarsi di un valore storico che rende la frase come qualcosa che è sempre vera e valida.
(Passato) imperfetto
Il passato imperfetto (es. amavo) si usa:
● per esprimere un’azione passata che continua nel tempo (quando eropiccolo, cioè per tutto il periodo che ero bambino) e nelle descrizioni di eventi prolungati e continuati (quell’anno l’inverno non finivamai; tiravaun forte vento); ● per qualcosa in passato che si ripeteva abitualmente (andavoin ufficio tutti i giorni in autobus); ● per le azioni non compiute (mentre mangiavoè squillato il telefono); ● per mettere in risalto gli avvenimenti passati con uno stile giornalistico (nelle prime ore del pomeriggio lo scippatore aggredivala vittima e si impossessava della sua borsa); ● talvolta, si usa al posto del condizionale volevosapere perché… (cioè: vorrei sapere); ● esprime a volte un passato indefinito e imprecisato, per esempio nelle favole (c’era una volta) o nei giochi dei bambini (facciamo finta che ero il dottore).
Passato prossimo
Il passato prossimo (es. ho amato) indica un’azione passata da molto ma che ha ancora effetti sul presente (la nascita di mio figlio ha cambiato la mia vita). Altre volte si usa anche per esprimere qualcosa avvenuto in un passato lontano, come alternativa al passato remoto: “Napoleone è nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769”.
Passato remoto
Il passato remoto (es. amai) si usa di solito per un passato lontano e concluso che non ha più effetti sul presente: “Quando mia nonna arrivò era ormai troppo tardi”; “Quel ponte crollò durante la guerra”, ma in questi esempi si può usare ugualmente anche il passato prossimo, è solo una scelta stilistica.
Se però si dice: la nascita di mio figlio cambiòla mia vita la frase implica che il cambiamento è riferito al passato, che si è concluso e non è detto che abbia conseguenze sul presente (al contrario di la nascita di mio figlio ha cambiato la mia vita che lascia intendere che il cambiamento perdura tutt’ora).
Tuttavia, a parte queste sfumature, se un tempo si distingueva il passato remoto come più appropriato per un’azione passata conclusa o lontana, e il passato prossimo più adatto per ciò che non è concluso ed è più recente, nell’italiano vivo di oggi questa distinzione è venuta meno. E nell’italiano moderno il passato remoto tende a scemare e a essere utilizzato sempre meno frequentemente rispetto al passato prossimo.
Non c’è una regola per preferire: “L’anno scorso andai” a “l’anno scorso sono andato”, e questa seconda forma è molto più diffusa per esempio al nord, mentre il passato remoto vive maggiormente al sud, ma sono entrambe lecite, anche perché non esiste un criterio rigido per distinguere quando un passato è concluso e quando è recente. È una questione di stile personale e si può dire benissimo: “Napoleone nacque ad Ajaccio il 15 agosto 1769”, Napoleone è nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769” e anche “Napoleone nasce ad Ajaccio il 15 agosto 1769” (presente storico).
Più criticabile è semmai l’uso del passato remoto in espressioni come ieri andai, o poco fa andai, che non sono in uso nell’italiano scritto, in questi casi si usa il passato prossimo.
Trapassato prossimo e remoto
Il trapassato prossimo (es. avevo amato =
imperfetto + participio) e il trapassato remoto (es. ebbi
amato = passato remoto + participio) si usano per indicare un rapporto di
anteriorità tra passati, per esempio:
a pranzo in quel ristorante ho mangiato(passato prossimo) un piatto più abbondante di quello che mangiai (passato remoto) il mese scorso, e anche più abbondante di quello che avevo mangiato(trapassato prossimo) tre mesi fa, quando, dopo che ebbi mangiato(trapassato remoto), avevo ancora un senso di fame.
Questo esempio aiuta a comprendere il rapporto tra diversi tipi di passato,
ma non sempre ci sono delle regole precise per stabilire quale tempo usare, e
spesso si possono scegliere tempi differenti. Per fare un altro esempio
sull’uso dei trapassati, si può dire:
“Mi ero preparato quando mi disse che non sarebbe più venuto”, oppure: “Mi disse che non sarebbe venuto più dopo che mi fui preparato”. Nel primo caso non si potrebbe usare il trapassato remoto (fui preparato), ma in altri casi non esiste una regola ferrea per scegliere una delle due forme di passato, dipende dagli intenti del parlante e dallo stile che sceglie di utilizzare, per esempio: “Sono partito dopo che mi aveva raggiunto” oppure “sono partito (o partii) dopo che mi ebbe raggiunto”.
Futuro semplice
Per quanto riguarda il futuro, il futuro semplice (es. amerò) indica:
● soprattutto le azioni che devono ancora compiersi (domani andròal mercato); ● a volte si usa anche esprimere un’incertezza o un dubbio (sarannotre giorni che non mangia; sarà malato?) ● si può usare anche per formulare un comando espresso al futuro (visto che il modo imperativo non possiede il futuro si può usare l’indicativo), per esempio: “Domani andrai a scuola!”.
Futuro anteriore
Il futuro anteriore (es. avrò amato) esprime invece:
● un futuro che avviene prima di quello semplice (quando sarai cresciuto, capirai); ● si usa anche per esprimere dubbi e incertezze (quando ho mangiatosaranno state le 13; Elena avrà trovato il mio messaggio?).
■ Che cos’è il modo di un verbo? ■ Quali sono i modi indefiniti di un verbo? ■ Quali sono i modi “finiti” di un verbo? ■ Quanti sono i modi di un verbo?
Che cos’è il modo di un verbo?
Come dice la parola: il modo di un verbo è la maniera, la modalità di esprimere un’azione.
“Pierino mangia la mela” è una frase in cui il verbo indica l’azione, ed esprime la costatazione di cosa sta accadendo (modo indicativo). L’imperativo è invece un modo per impartire gli ordini: mangia! Il condizionalepuò essere un modo per esprimere la stessa cosa in modo più gentile: “Pierino mangeresti (o vorresti mangiare) una mela?”, oppure si può usare per esprimere qualcosa che si verifica solo a una determinata condizione: “Pierino mangerebbe di certo una mela, se adesso fosse qui con noi”. Il congiuntivo è il modo dell’incertezza, della possibilità o dell’impossibilità: “Se Pierino mangiasse la mela finirebbe come Biancaneve”, oppure: “Dubito (o è impossibile) che Pierino mangi la mela”.
I 7 modi dei verbi
I verbi hanno 7 modi e generalmente:
● l’indicativo serve a esprimere qualcosa di certo (amo, corro, sento…) ed è il modo che si usa più spesso; ● il congiuntivo esprime qualcosa di incerto, che può essere possibile o impossibile (è possibile/impossibile che io ami, che io corra o che io senta); ● il condizionale indica una possibilità che dipende da una condizione (io amerei, a condizione che… oppure: correrei e sentirei, se potessi); altre volte è il modo gentile per eccellenza: “Potresti correre?” è una formula di cortesia rispetto a: “Corri!” ● l’imperativo si usa per impartire un ordine (corri!).
Questi quattro modi sono detti finiti, perché definiscono una persona, e si coniugano con il soggetto (= la persona): io, tu, egli… Ci sono poi altri tre modi che vengono detti indefiniti, perché non si coniugano con una persona:
● l’infinito (amare, correre, sentire), esprime l’azione in sé, e questo è il modo che viene riportato nei dizionari (si trova amare, e non per es. amo, amerei o le altre forme); ● il participio, un modo molto importante perché al passato (amato, corso, sentito) si usa per formare tutti i tempi composti (ho amato) e da solo può diventare un nome o un aggettivo (il mio amato); ● il gerundio (amando, correndo, sentendo) è un modo che può avere vari significati: sbagliando (= quando si sbaglia) si impara. E leggendo (= durante la lettura) i prossimi argomenti sarà più chiaro.
Qualunque forma verbale si riconduce a uno di questi sette modi.
■ Perché il verbo è la parte portante del discorso? ■ Cosa sono la radice e la desinenza di un verbo? ■ Cos’è la persona del verbo? ■ Tutti i modi dei verbi hanno la persona? ■ Cosa sono i modi verbali indefiniti? ■ Cosa sono i modi verbali indefiniti? ■ Cos’è la vocale tematica di un verbo? ■ Cos’è la diatesi?
Verbum in latino significa “parola”, e infatti, tra tutte le parole, i verbi sono le più importanti, perché esprimono un’azione e sono la parte del discorso più essenziale. Basta un verbo per fare una frase: “Andiamo!” Il soggetto (in questo caso noi) può essere sottinteso, si può omettere ogni altro complemento e spiegazione (dove, come, perché…), ma con un semplice verbo si può esprimere una frase di senso compito, autonoma e autosufficiente:“Piove”.
I verbi hanno una radice e una desinenza variabile che si declina. Coniugare i verbi significa concordare la radice con la desinenza variabile a seconda della persona e del numero (io = prima persona singolare, noi = prima persona plurale), ma anche del modo (indicativo, congiuntivo, condizionale…), del tempo (presente, passato, futuro), della forma(attivo, passivo, riflessivo) e di altre variabili ancora.
Amare, per esempio, è il modo infinito composto dalla radice (am-) che rimane sempre la stessa (ma vale solo per i verbi regolari, nel caso di and-are la radice irregolare oscilla e al presente si dice io vad-o e non and-o) con la desinenza in –are.
Nel caso dell’indicativo presente, per continuare questo esempio, la desinenza si declina a seconda delle persone, e tutti i verbi regolari si coniugano con la stessa regola: radice + desinenza.
amare
Singolare
Plurale
Prima persona
io am-o
noi am-iamo
Seconda persona
tu am-i
voi am-ate
Terza persona
egli (ella) am-a
essi (esse) am-ano
Tra la radice e la desinenza c’è spesso una vocale tematica, che caratterizza alcune forme della coniugazione, per esempio l’infinito: se lod-a-re si appoggia alla vocale tematica –a, ci sono anche i verbi in –ere (tem-ere), o in –ire: tem-ere (serv-ire).
Spesso vengono perciò divisi in queste tre coniugazioni, ma è possibile anche suddividerli in quattro coniugazioni a seconda di come l’infinito termina, e raggruppare in questa quarta categoria gli altri verbi come por-re, trar-re o tradur-re che hanno una diversa desinenza (è un criterio più semplice e pratico).
Non tutte le forme verbali hanno necessariamente una persona, nel caso dei modi infinito, participio e gerundio (cioè amare, amato e amante), detti appunto modi indefiniti, non c’è un legame con una persona, così come nel caso del modo imperativo (quello con cui si impartiscono i comandi) non esiste la prima persona (non avrebbe senso impartire un ordine a sé stessi), ci sono solo le altre (es. mangia → tu). E poi ci sono anche le forme cosiddette impersonali(si dice, si va, bisogna studiare, piove…) che esprimono un’azione senza specificare la persona (il chi).
I verbi possono anche essere suddivisi in due generi, i transitivi sono quelli che reggono il complemento oggetto e che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?” (per esempio mangiare → qualcosa o qualcuno); i verbi intransitivi non ammettono questa possibilità e per esempio non si può “andare qualcuno”, ma andare con qualcuno, dunque non fanno transitare l’azione direttamente su un oggetto. Questi ultimi hanno solo la forma attiva. La forma di un verbo (o diatesi) indica la “direzione” dell’azione che esprime nella frase (o più precisamente il rapporto tra il verbo e il soggetto) che può essere attiva, passiva o riflessiva (rivolta verso sé: mi lavo = lavo mé stesso). Tutti i verbi hanno la forma attiva, ma quelli transitivi hanno anche la forma passiva, un modo di esprimere l’azione in cui la frase si rovescia, e il soggetto, invece di compiere l’azione, la subisce da parte dell’oggetto: io guardo → la tv (forma attiva) si può ribaltare in la tv → è guardata da me (forma passiva). I verbi intransitivi al contrario non possiedono la forma passiva, e andare non si può rovesciare in questo modo, perché non regge il complemento diretto. Inoltre, i verbi transitivi sono caratterizzati dal fatto che nei tempi composti si appoggiano sempre all’ausiliario avere(amare → hoamato), e usano il verbo esseresolo per la forma passiva (io sono amato).
Di seguito un indice dei principali articoli sui verbi:
L'italiano corretto ha cambiato indirizzo. Se avevi salvato lagrammaticaitaliana.wordpress.com aggiorna il tuo segnalibro in: siti.italofonia.info/italianocorretto