Ci sono poi nomi che presentano un falso cambiamento tra il maschile e il femminile, in realtà in questo passaggio di genere cambia completamente il significato, per esempio:
● l’arco e l’arca; ● il baleno e la balena; ● il banco ela banca; ● il busto e la busta; ● il calco e la calca; ● il capitale e la capitale; ● il caso e la casa; ● il cavo e la cava; ● il colpo e la colpa; ● il latte e la latta; ● il mostro e la mostra; ● il palmo e la palma; ● il mento e la menta; ● il pianto e la pianta; ● il pizzo e la pizza; ● il porto e la porta; ● il pupillo e la pupilla; ● il razzo e la razza; ● il torto e la torta.
■ Che differenza c’ è tra pésca e pèsca? ■ Che
differenza c’ è tra ménto e mènto? ■ Che
differenza c’ è tra vénti e vènti?
■
Che differenza c’ è tra collèga e colléga?
■
Che differenza c’ è tra affétto e affètto?
La pronuncia della “E” può avvenire in due modi: aperta (che si indica con l’accento grave è) e chiusa ( che si indica con l’accento acuto é). Quando scriviamo il problema dell’accento grafico si pone solo nel caso delle parole tronche (accentate sull’ultima lettera: perché, ventitré, oppure caffè, egli è…), ed è importante usare il giusto carattere presente sulla tastiera. Nel parlare, invece, c’è anche l’accento tonico all’interno di parola, che anche se non si scrive, si pronuncia. Anche se nell’italiano vivo ognuno parla con la propria parlata regionale (non è un errore), è bene sapere che esistono queste differenze che appartengono alla pronuncia nazionale (quella sovraregionale indicata nei dizionari e usata dagli attori che seguono questa dizione). Di seguito c’è un prospetto utile per scrivere (quando la e accentata sull’ultima è obbligatoria), e anche per parlare, perché ci sono parole che cambiano il proprio significato a seconda dell’accento tonico della e pronunciata aperta (è) o chiusa (é).
■ Che differenza c’ è tra pòrci e pórci? ■ Che differenza c’ è tra
còppa e cóppa? ■ Che differenza c’ è tra
fòro e fóro? ■ Che differenza c’ è tra
cólto e còlto?
La pronuncia della “O” può avvenire in due modi: aperta (che si indica con l’accento grave ò) e chiusa ( che si indica con l’accento acuto ó). Quando scriviamo il problema non si pone, perché l’accento grafico si usa solo sulle parole tronche (accentate sull’ultima lettera: però, menabò, andrò…). Nel parlare, invece, l’accento tonico all’interno di parola oscilla, e nella pronuncia nazionale (quella sovraregionale indicata nei dizionari e usata dagli attori che seguono questa dizione) ci sono parole che cambiano il significato a seconda di come venga pronunicita la “O”. Anche se nell’italiano vivo ognuno parla con la propria parlata rgionale (non è un errore), è bene sapere che esistono queste differenze. Di seguito un prospetto di parole che cambiano il proprio significato a seconda dell’accento tonico pronunciato aperto (ò) o chiuso (ó).
■ Quali sono le onomatopee dei rumori? ■ I rumori onomatopeici sono codificati rigidamente? ■ Ci sono rumori onomatopeici che possono avere significati diversi? ■ Come si può esprimere il blaterare con un’onomatopea? ■ I rumori onomatopeici si possono usare solo nei fumetti o anche nella narrativa?
Le onomatopee sono parole costituite da sequenze di caratteri che riproducono e imitano versi di animali, suoni o rumori e vengono usate come interiezioni o esclamazioni. Tipiche dei fumetti, sono usate anche nella letteratura e sono state elevate al massimo grado dal movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti che ne esaltò la forza espressiva, rispetto alla scrittura ponderata e razionale, in un’opera di rottura e di avanguardia come Zang Tumb Tumb (1912).
I rumori non sono necessariamente codificati in modo rigido, si possono variare con fantasia, ma tra quelli che si possono trovare in un dizionario, ci sono:
● bang, uno sparo o un colpo secco; ● bip, il segnale acustico di apparecchi elettronici; ● bla bla, il blaterare; ● bum o boom, uno scoppio o uno sparo; ● brr, un brivido di freddo; ● ciaf, uno schiaffo o anche oggetto che cade in acqua; ● ciuff, il rumore di una locomotiva a vapore; ● clap, il battimano o l’applauso; ● clic, il rumore metallico di uno scatto, di una macchina fotografica o anche del mouse; ● crac, il rumore di qualcosa che si spacca; ● cric, il suono del vetro o del ghiaccio che si incrina; ● dindin, il suono di un campanello; ● dindon, il rintocco delle campane; ● drindrin, uno scampanellio; ● eccì, uno starnuto; ● frufru, un fruscio; ● glo glo, il rumore di un liquido che esce dalla bottiglia o di chi beve a garganella; ● gnam gnam, il mangiare avidamente; ● gulp, il deglutire per sorpresa o per spavento; ● mm (o hmm, mhmm, mmh), di volta in volta può essere un compiacimento o godimento di qualcosa (mm, che bontà), ma anche con un senso negativo può esprimere perplessità (mm, non sono convinto) o dubbio (mm, non ci credo!); ● paf, il rumore di qualcosa che cade o anche un manrovescio; ● patatrac, la rottura di qualcosa che crolla fragorosamente; ● pissi pissi, il parlottio sottovoce e riservato di un bisbiglio; ● pss, il sibilo per richiamare l’attenzione; ● puff, un corpo che cade in acqua; ● patapum, una caduta rovinosa; ● ron ron, il russare oppure le fusa del gatto; ● sss, il sibilo smorzato per intimare il silenzio; ● tac, il rumore di uno scatto; ● tic tac, il ticchettio di un orologio; ● tic toc, il battito del cuore; ● toc e toc toc, il bussare alla porta; ● tuff, un tuffo; ● uff, uno sbuffo di noia o di impazienza; ● zac, un taglio netto.
■ Quali sono le onomatopee dei versi degli animali? ■ Che cos’è il gre gre? ■ Quali sono le voci imitative degli animali nei dizionari? ■ Come si esprime il gracidare della rana con un’onomatopea? ■ Quali sono le alternative onomatopeiche al miagolare del gatto, oltre a miao?
Che verso fanno gli animali?
Tra le onomatopee ce ne sono molte che riproducono i suoni degli animali.
Sfogliando un dizionario si possono trovare per esempio le seguenti voci imitative con a fianco il nome o il verbo per sapere come si chiamano in italiano i versi che fanno gli animali.
● bau (bu o bu bu) è l’abbaiare cane; ● bè (o bèe) è il belato della pecora; ● caì caì è il guaito dei cuccioli o dei cani quando si fanno male; ● chicchirichì è il canto del gallo; ● cip (o cip cip) è il cinguettio del passero o di un uccelino; ● cra cra è il gracidare della rana o il gracchiare o crocidare del corvo e della cornacchia; ● cri cri è il verso del grillo, detto anche frinire (lo stridere che si riferisce anche alle cicale); ● cucù è il verso del cuculo (o dell’orologio a cucù); ● glo glo (o glu glu) è il gloglottare del tacchino, o di galline e faraone (anche gloglottio); ● gre gre è il gracidare della rana (nei campi c’è un breve gre gre di ranelle – Pascoli); ● miao (miau, mao e anche gnao) è il miagolare o miagolio del gatto; ● pio (e pio pio) è il pigolare o pigolio dei pulcini; ● qua (e qua qua) è lo starnazzare di anatre e oche; ● zzz è il ronzio e il ronzare soprattutto di zanzare, ma anche api, mosche e insetti.
■ Come si distingue una parola come “forte” che può essere sia aggettivo sia avverbio? ■ Come si distingue una parola come “dopo” che può essere congiunzione, preposizione o avverbio? ■ Quali sono gli esempi di frasi in cui una stessa parola cambia funzione e diventa preposizione, congiunzione, aggettivo o avverbio?
Gli avverbiprimitivi (o semplici, ma non sono per niente “semplici”) sono più difficili da riconoscere di quelli derivati dall’aggettivo, che perlopiù finiscono in –mente (sicuramente, velocemente…).
Il problema è che molte volte una stessa parola diventa una diversa parte del discorso a seconda del contesto. Forte, per esempio, può essere un aggettivo, ma può anche diventare un avverbio.
Nell’espressione correreforte (= fortemente) è usato avverbialmente (dunque è avverbio) perché si riferisce al verbo anziché a un sostantivo (è “l’aggettivo del verbo”). Per distinguerlo, oltre a vedere a cosa si riferisce, può essere utile in questo caso notare che quando è avverbio diventa invariabile. Al contrario, quando è riferito al nome è sempre variabile, cioè si può conocrdare nel genere e nel numero: un uomoforte, due uominiforti. Lo stesso vale per chiaro: è avverbio in parlarchiaro (= chiaramente, riferito al verbo e invariabile), ma è aggettivo in l’uomochiaro (la donnachiara, gli uominichiari e le donnechiare).
Se questo concetto è forte chiaro si può passare a un distinzione un po’ più difficile.
Altre volte si usano in modo avverbiale anche molte parole invariabili, e per distinguerle si può analizzare solo la loro funzione e il loro significato. Dopo, per esempio, secondo il contesto può assumere il ruolo di avverbio, di preposizione o di congiunzione. Nell’espresione: vadodopo è riferito al verbo ed è avverbio; nell’espressione: dopopranzo vado via (riferito al nome) diventa una preposizione impropria (dopo pranzo è come sul tavolo, nel piatto…); nell’espressione: dopo aver mangiato (= dopo che ho mangiato) vado via diventa una congiunzione subordinativa, perché congiunge una frase principale a quella subordinata temporale (vado via = principale + dopo che ho mangiato subordinata).
■ Come si fa il comparativo degli avverbi? ■ Come si fa il superlativo degli avverbi? ■ Il superlativo di precipitevole è precipitevolissimevolmente? ■ Qual è il superlativo di “grandemente”? ■ Meglio dire “pessimamente” o “malissimo”? ■ Il superlativo di “salubremente” è saluberrimamente? ■ Si può dire più bene o più male? ■ Perché si può dire “sento più male di ieri”, ma si dice “mi sento peggio di ieri”?
Come gli aggettivi, anche gli avverbi possono avere i gradi comparativo e superlativo.
Il comparativo può essere di maggioranza (si forma con più: più fortemente), di minoranza (meno fortemente) o di uguaglianza (tanto fortemente quanto…).
Il superlativo relativo si forma aggiungendo “il più… possibile” (possibile può essere anche sottinteso), per esempio: gridai il più fortemente possibile, mentre il superlativo assoluto si forma aggiungendo assai o molto oppure con i suffissi –issimo o –issimamente: gridai molto forte o fortissimo o fortissimamente.
Come gli aggettivi, anche alcuni avverbi possiedono delle forme particolari di comparativo e superlativo che si discostano da queste regole, e che sono riportate di seguito.
Grado positivo
Comparativo
Superlativo
assoluto
bene
meglio
ottimamente
(benissimo)
male
peggio
pessimamente
(malissimo)
molto
più
moltissimo
poco
meno
minimamente
(pochissimo)
grandemente
maggiormente
massimamente
Naturalmente benissimo, moltissimo e simili sono da intendere in senso avverbiale: non sono aggettivi e non sono variabili nel numero e nel genere, dunque si riferiscono al verbo: stare benissimo o mangiare pochissimo (un gelato buonissimo è aggettivo).
● Il comparativo di bene è meglio, dunque non si dice è più bene, mi sento più bene, ho fatto più bene, ma si dice sempre è meglio, mi sentomeglio, ho fattomeglio. ● Allo stesso modo, il comparativo di male è peggio, e non si dice è più male, ma è peggio.
La forma “più bene”, però, vive in altre espressioni come: “Vuoi più bene alla mamma o al papà?”, ma si tratta di un falso comparativo: in questo caso bene è un sostantivo e più significa “una maggiore quantità” (un po’ come dire “vuoi più pere o più mele?”). Lo stesso vale nel caso di “più male” (ho sentito più male di ieri = sostantivo, cioè una maggiore quantità), ma non si può dire mi sento più male, si dice mi sento peggio.
In teoria, ma solo in teoria, i superlativi degli avverbi seguono le eccezioni che valgono anche per gli aggettivi (quelli in –fico e –volo si appoggiano al suffisso –entissimo), e dunque se magnifico diventa magnificentissimo, anche l’avverbio dovrebbe essere magnificentissimamente, ma non si usa, come non si usa saluberrimamente e via dicendo: non tutti gli avverbi hanno il superlativo.
Gli avverbi in –mente, già da soli, sono un po’ “pesanti” nel loro utilizzo e nella loro lunghezza, e nei corsi di scrittura in genere si consiglia di evitarli e di optare per locuzioni più eufoniche, per esempio correre forte o mangiare in modo avido sono preferibili a forme come correre fortemente, o mangiare avidamente. A maggior ragione usare superlativi renderebbe tutto ancor più di cattivo gusto.
Quanto a precipitevolissimevolmente non è il superlativo assoluto di precipitevolmente (sarebbe caso mai precipitevolissimamente se non fosse un ossimoro esprimere un concetto così rapido in una parola tanto lunga) è solo una voce scherzosa, usata in modo scherzoso anche da qualche autore soprattutto in passato, ma non è registrata nei dizionari, almeno quelli moderni, e dunque non è propriamente la parola più lunga della lingua italiana.
■ Si dice sopra il o sopra al? ■ Si dice insieme a o insieme con? ■ Si dice dietro ilodietro al? ■ Si dice dentroil o dentro al? ■ Si dice sopra e sotto il o sopra e sotto al? ■ Si dice davanti al o davanti il? ■ Che differenza c’è tra oltre il e oltre al? ■ Perché si dice contro il muro, ma contro di me? ■ Perché si dice sul tavolo, ma su di noi? ■ Meglio dire fra noi o fra di noi? ■ Qual è la differenza di “tra” e “fra”? ■ Quali sono gli esempi di frasi con l’uso corretto delle preposizioni tra loro equivalenti? ■ Si dice “scrivi alla lavagna” o “scrivi sulla lavagna”? ■ Meglio dire “macchina per scrivere” o “macchina da scrivere”?
Sono corrette entrambe le forme, e si può dire come si vuole.
Molte volte non esistono regole precise per l’uso più corretto delle preposizioni e si può dire in più di un modo, a seconda del gusto personale ma anche del contesto. Per esempio, tra, fra e su talvolta si possono rafforzare attraverso l’aggiunta di “di”: si può dire fra di voi ofra voi, e ognuno può scegliere la forma che preferisce. E ancora si può scegliere tra:
● insieme alui e insieme conlui; ● dietro laporta e dietro alla porta; ● dentro la casa e dentro alla casa; ● sopra e sotto la panca, ma anche sopra al tavolo; ● davanti allafinestra (preferibile) e, meno comune, davanti lafinestra.
In altri casi l’aggiunta di una preposizione semplice può cambiare il senso della locuzione, per cui oltre la porta significa dietro la porta (o dietro alla porta, è lo stesso), mentre oltre alla porta ha un altro significato: in questa stanza oltre alla porta c’è anche la finestra. A seconda del contesto si può dire:
● oltre lasiepe e oltre aldanno la beffa; ● una gitafuori porta, una via fuori mano, ma fuori dallafinestra, fuori daipiedi, fuori diqui efuori di me.
L’ultimo esempio è interessante, perché quando c’è un pronome personale spesso è necessario appoggiarsi a una preposizione semplice che non si usa in altri casi, per cui si dice:
● sul(o sopra il) divano, ma su (o sopra) dinoi; ● oltre la finestra, ma oltre a te; ● contro il muro, ma contro di me; ● sotto il maglione, ma sotto di lui; ● dietro la facciata, ma dietro di me; ● senza le mani, ma senza di te; ● dopo (la) cena, ma dopo di voi; ● presso il giardino, ma presso di me.
Ciò è valido spesso, ma non sempre, e nel caso di tra e fra si può dire fra di noi e fra di voima anche fra noi e fra voi (rimanga fra noi), oppure tra lui e lei.
Tra gli usi scorretti delle preposizioni si possono segnalare casi ormai entrati nell’uso come “scrivi alla lavagna” (che riprende l’espressione vai alla lavagna, corretta perché è un complemento di moto a luogo), ma la preposizione corretta è “su”, dunque “scrivi sulla lavagna“. Anche altri casi che un tempo erano considerati errori si sono diffusi al punto che sono ormai accettabili e la loro frequenza è maggiore di quella delle forme storicamente più appropriate. Per esempio l’uso di “da” in locuzioni come macchina “da scrivere” o “da cucire” che letteralmente dovrebbero essere “per scrivere” o “per cucire” (l’uso di “da” è una forma popolare non appropriata). Ma ormai la consuetudine ha cambiato le regole e persino un autore come Giorgio Manganelli ha intitolato un suo libro Improvvisi per macchina da scrivere. Inoltre, espressioni come costume da bagno, sali da bagno, ferro da stiro (costruiti sul falso calco di cose “da mangiare”, “da portare via”…) sono entrate nell’uso comune registrato anche dai dizionari e sono diventate insostituibili.
■ Quali preposizioni si possono articolare? ■ Perché si dice dagli (da + gli) ma “per gli”? ■ Meglio dire “con lo” o “collo”? ■ Meglio dire “tra” o “fra”? ■ Quali preposizioni si apostrofano e quali non si possono apostrofare? ■ Cosa sono le locuzioni prepositive? ■ Quali sono gli esempi di frasi con le preposizioni semplici? ■ Quali sono gli esempi di frasi con le preposizioni articolate? ■ Quali sono gli esempi di frasi con le preposizioni proprie? ■ Quali sono gli esempi di frasi con le preposizioni improprie?
Le preposizioni (dal latino praeponere, cioè “porre prima”) sono particelle chiamate così perché “si mettono prima” (su precede sempre il nome, per es. sul tavolo) e hanno una funzione di collegamento. Possono collegare tra loro due parole (il cane di Marco, cibopercani), si usano nel caso dei complementi indiretti (torno da Roma, vado con lui) e per legare insieme le frasi principali con quelle dipendenti (o subordinate): ti propongo → di correre; corroperallenarmi.
Oltre a quelle semplici e articolate che sono dette proprie, ci sono anche quelle improprie, e cioè che hanno gli stessi significati (per esempio sopra invece di su) o analoghe funzioni (per esempio davanti).
Preposizioni proprie semplici e articolate
Le preposizioni semplici, cioè di, a, da, in, con, su, per, tra e fra (come nella filastrocca che si impara a memoria), sono parti invariabili del discorso (non si volgono al singolare, plurale, maschile o femminile), ma quando si uniscono all’articolo in una parola sola (dello, della, degli, delle) diventano articolate, e in questo caso si concordano con le parole che precedono seguendo le regole degli articoli che le compongono.
Ma non sempre è possibile fondere preposizione con l’articolo in una preposizione articolata: da + il = dal, ma nel caso di per + lo non si usa “pello”.
Il prospetto che segue riassume ogni possibile caso di articolazione possibile e mostra i casi in cui non si articolano e rimangono separate.
Se in alcuni casi le preposizioni non si uniscono mai all’articolo (non si può dire “fralle” o “perle” al posto di fra le o per le), i casi indicati tra parentesi indicano le forme che grammaticalmente si possono articolare, ma nell’uso dell’italiano moderno tendono a rimanere staccate. Forme come “pei”, “pegli” o “pei” sono arcaiche e non si usano più, vivono solo nei libri del passato. Nel caso di collo, colla o colle si usano di frequente nel parlato, ma quando si scrive la tendenza moderna è di preferire le forme staccate, che suonano meglio e non creano confusioni con altre parole dallo stesso significato (il collo, il colle, la colla). Col e coi sono invece più diffuse.
Tra
e fra
e sono sinonimi perfetti, e scegliere una o l’altra forma dipende solo da
motivi eufonici. Dire per esempio “tra
trame” e “fra farfalle” produce un
bisticcio e suona quasi come uno scioglilingua, perciò è consigliabile usare
forme come fra trame o tra farfalle. In tutti gli altri casi
scegliere tra una e l’altra preposizione dipende solo dai gusti personali,
entrambe sono perfettamente lecite (tra
papaveri o fra papaveri).
Tra, fra e su talvolta si possono rafforzare attraverso l’aggiunta di “di”: si può dire fra di voi o su di voi… oppure fra voi e su voi, ancora una volta ognuno può scegliere la forma che preferisce. Per saperne di più vedi → “Sopra al o sopra il? Dubbi sull’uso delle preposizioni”.
Le preposizioni che si apostrofano Anche se finiscono per vocale, fra, tra e su non si apostrofano mai (fra amici, e mai fr’amici), e anche da non si apostrofa di solito, tranne in alcune locuzioni come: d’altro canto, d’altra parte, d’ora innanzi, d’ora in poi, d’altronde…). La preposizione di invece si tende ad apostrofare: un gioiello d’oro, un vassoio d’argento, d’un tratto, tutto d’un pezzo, protocollo d’intesa… (vedi anche → “L’apostrofo: elisione e troncamento“).
La preposizione “a” può prendere la “d eufonica” e diventare “ad” solo quando precede una parola che comincia per “a” (per saperne di più → “E/ed, a/ad, o/od: quando usare le D eufoniche“).
Preposizioni impropriee le locuzioni prepositive
Le preposizioni improprie sono parole diverse dalle preposizioni proprie, anche se il loro significato o la loro funzione sono simili: invece di dire in (preposizione propria) è possibile dire dentro (preposizione impropria). Tra queste ultime, che sono sempre invariabili, ci sono anche parole che in altri contesti possono essere avverbi di luogo o di tempo come davanti, dietro, sopra, sotto, giù, dentro, fuori, vicino, presso, accanto, intorno, prima, dopo o aggettivi come secondo, salvo, lungo (aggettivi) e altre parole ancora usate con funzione di preposizione, come mediante, eccetto…
Locuzioni prepositive A volte le preposizioni improprie si appoggiano a preposizioni proprie; per esempio, invece di dire i calzini nel cassetto (preposizione propria) si può dire i calzini dentroil cassetto, ma anche i calzinidentro alcassetto (per saperne di più → “Sopra al o sopra il? Dubbi sull’uso delle preposizioni”). E in certi casi questi stessi significati si possono rendere anche con più di una parola, e in questo caso si parla di locuzioni prepositive: per mezzo di, per opera di, a favore di, nell’interesse di, a causa di, a dispetto di…
■ Quali sono i significati possibili di che? ■ Si può cominciare una frase con che? ■ Si può dire “siccome che”? ■ Come si può distinguere il che congiunzione dal che pronome relativo? ■ Che può essere anche aggettivo?
“Che” può assumere tantissimi significati diversi, e per fare un po’ di chiarezza per esempio nell’analisi logica, oppure semplicemente nella comprensione di un testo, va sempre esplicitato.
In altre parole, per poter comprendere il suo valore e il suo senso, bisogna vedere che cosa significa nel contesto e come si può di volta in volta trasformare.
Per esempio può essere:
● pronome relativo:l’uomoche (= il quale) parla; ● pronome interrogativo o esclamativo: che (= cosa) fare? chebello!; ● aggettivo interrogativo o esclamativo: che (= quale) giacca indossi? Chefaccia tosta!; ● congiunzione: ti dicochesei bravo.
Che altro dire? Che non è vero che non si può mai iniziare una frase con il che, come talvolta si dice (“che mi venga un accidente se non è così!”: non esistono controindicazione nel cominciare una frase con il congiuntivo preceduto da che). Oltre a tante frasi comuni che iniziano così (che bello! Che succede? Che mi dici?), ci sono anche molti esempi letterari che contraddicono l’opinione diffusa per cui non sarebbe possibile aprire una frase in questo modo, per esempio l’incipit di un racconto di Jorge Luis Borges:
Che un uomo del suburbio di Buenos Aires (…) s’interni nei deserti battuti dai cavalli (…), sembra a prima vista impossibile…
(“Il morto” in L’aleph, Feltrinelli, Milano 1961, traduzione di Francesco Mentori Montalto).
Il fatto che sia possibile non significa però che sia sempre consigliabile: non è vietato, ma bisogna saperlo fare e poterselo permettere.
Invece, a proposito di divieti: non si può mai dire siccome che!
■ Cosa sono i falsi accrescitivi. ■ Fumo e fumetto hanno la stessa origine? ■ Spaghetti è un diminutivo di spago? ■ Tacchino è il diminutivo di tacco? ■ Gazzetta è il vezzeggiativo di gazza? ■ Quali sono i falsi alterati che hanno lo stesso etimo anche se i significati divergono? ■ Quali sono i falsi alterati casuali? ■ Polpaccio è un dispregiativo di polpo? ■ Foca ha la stessa etimologia di focaccia? ■ Cavallone deriva da cavallo? ■ Cero, cerino e cerotto hanno a che fare con la cera?
Ci sono nomi che sembrano alterazioni di un nome primitivo, ma lo sono solo in apparenza.
Tra questi, alcuni hanno un’origine che effettivamente ha una derivazione comune, anche se nell’uso odierno si è perso questo legame antico che univa le due parole a un’alterazione e a uno stesso significato.
Per esempio, cerino e cerotto non sono alterazioni di cero (candela), ma tutti e tre derivano da cera: il cerotto arriva dal greco kerotón , cioè “unguento di cera”, in latino cerotum, così come il cerino è un fiammifero dal bastoncino di cera e il cero è fatto della stessa materia. Allo stesso modo aquilone, calzone o cavallone, sono nati dagli accrescitivi di aquila, calza e cavallo, mentre il fumetto era come una nuvola di fumo che usciva dalla bocca dei personaggi, e gli spaghetti somigliavano allo spago.
Altre volte le similitudini sono assolutamente casuali e hanno un’etimologia slegata. Per esempio focaccia o polpaccio non sono forme spregiative di foca e di polpo.
● Tra questi ultimi falsi accrescitivi ci sono: baro e barone botto e bottone bullo e bullone burro e burrone gallo e gallone lampo e lampone mago e magone matto e mattone monte e montone torre e torrone.
● Tra i fasi diminutivi o vezzeggiativi ci sono asta e astuccio botte e bottino collo e collina gazza e gazzetta merlo e merluzzo naso e nasello (nel senso del pesce, nel caso dell’appoggio degli occhiali deriva da naso) posto e postino pulce e pulcino rapa e rapina rubino e rubinetto tacco e tacchino.
■ Quali sono i superlativi assoluti irregolari? ■ Qual è il superlativo assoluto di benefico? ■ Si può dire malevolissimo? ■ Si può dire asprissimo? ■ Si può dire più estremo? ■ Meglio dire cattivissimo o pessimo? ■ Il superlativo di ampio è ampissimo o amplissimo? ■ Meglio dire miserrimo o miserissimo? ■ Si può dire “celebrissimo”? ■ Ci sono aggettivi che sono già superlativi e non hanno il grado positivo? ■ Qual è il superlativo di interno? ■ Si può dire estremissimo? ■ Qual è il superlativo di vicino?
Come avviene nel caso dei comparativi di maggioranza e di uguaglianza, esistono aggettivi che nella formazione dei superlativi assoluti cambiano completamente la loro radice, oppure non si appoggiano al suffisso -issimo sul modello di bravo → bravissimo che contraddistingue i superlativi regolari. Dunque bisogna fare attenzione nei seguenti casi:
● gli aggettivi che terminano in –fico e -volo, formano il superlativo in –entissimo (e non in –issimo) perciò:
● i seguenti aggettivi hanno invece il superlativo in –errimo:
aspro diventa asperrimo (anche se asprissimo ormai si è diffuso ed è accettabile) misero diventa miserrimo (anche se miserissimo circola, non è elegante) acre diventa acerrimo (e non acrissimo) celebre diventa celeberrimo (e non celebrissimo) integro diventa integerrimo (e non integrissimo) salubre diventa saluberrimo (e non salubrissimo).
Inoltre, tra le irregolarità, c’è ampio che diventa amplissimo, prende una l come avviene nel caso del plurale anomalo ampli, ma l’uso di ampissimo è diffuso al punto di essere tollerabile.
In altri casi ancora esistono delle forme speciali di comparativi e superlativi, che riguardano alcuni aggettivi che presentano una doppia forma possibile. In tabella sono raccolte tutte queste varianti.
Grado positivo
Comparativo
Superlativo
buono
più buono o migliore
buonissimo o ottimo
cattivo
più cattivo o peggiore
cattivissimo o pessimo
grande
più grande o maggiore
grandissimo o massimo
piccolo
più piccolo o minore
piccolissimo o minimo
alto
più alto o superiore
altissimo o sommo o supremo
basso
più basso o inferiore
bassissimo o infimo
interno
più interno o interiore
intimo
esterno
più esterno o esteriore
estremo
vicino
più vicino
prossimo
ATTENZIONE ALL’ERRORE Come nel caso dei comparativi non si può dire “più meglio” o “più migliore“, anche nel caso dei superlativi non si può dire “più buonissimo“, “più ottimo“, più pessimo” o “più massimo“, queste parole hanno già il significato di massimo grado e non si possono “aumentare”, così come non avrebbe senso dire “più ultimo” o “più primo”.
Tuttavia, nel caso di prossimo, intimo o estremo, hanno perso l’originale significato di superlativi e vivono di vita propria, sono usati anche con altri significati che permettono dei paragoni o degli aumenti di grado: si può dire che un parente èpiù prossimo (= vicino) di un altro, che uno sport è più estremo (= spericolato, rischioso) di un altro, oppure che una confessione èpiù intimadi un’altra. L’uso di queste espressioni è documentato persino in autori classici (“circondato da’ parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala”, Promessi sposi) e non è errato. A riprova della perdita dell’originario significato superlativo ci sono espressioni come estremissimo o intimissimo che circolano con una certa frequenza. Inoltre, in senso figurato tutto è sempre possibile, persino la consuetudine di rendere superlativi i sostantivi (partitissima, finalissima), i pronomi (stessissimo) o intere espressioni (d’accordissimo). Per saperne di più, vedi → “I superlativi ‘abusivi’, iperbolici e metaforici“.
Ci sono infine alcuni aggettivi che non hanno il grado positivo, e sono già espressi in forma comparativa, per esempio anteriore (= davanti a qualcosa d’altro), posteriore, ulteriore, primo, ultimo o postumo. In modo analogo, altri aggettivi possiedono già un significato superlativo che non permette di accrescerli ancora di più, per esempio colossale, eterno, immenso, enorme, infinito, smisurato, immortale… (salvo gli usi figurati di primissimo, smisuratissimo…).
■ Come funziona la numerazione romana? ■ Quando è obbligatorio usare i numeri romani? ■ Cosa sono gli aggettivi numerali ordinali? ■ Che differenza c’è tra numeri ordinali e cardinali? ■ Quando è obbligatorio usare i numeri romani? ■ Quando non si possono usare i numeri romani? ■ Come si scrive 50 in numeri romani? ■ I numeri romani si scrivono sempre in maiuscolo? ■ Come si pronunciano i numeri romani?
Gli aggettivi numerali si distinguono in cardinali che corrispondono ai numeri (1, 2, 3…) e ordinali (primo, secondo…) che indicano l’ordine di numerazione. Questi ultimi si possono scrivere seguiti da una piccola “o” in apice, spesso fatta per semplicità con il simbolo ° (1°, 2°… vedi → I caratteri della tastiera) che diventa una “a” per il femminile (1a, 2 a…), oppure con i numeri romani.
Il sistema di numerazione romano segue un po’ la logica del contare con le dita: 1 si indica con un segno (I), 2 con due (II) e 3 con tre (III), ma a questo punto invece di aggiungere un quarto segno è più semplice scrivere 5 meno 1 (IV), quindi, a seconda della posizione di “I” prima o dopo “V” (che indica il numero 5) si ha IV (4) e VI (6). La stessa logica si applica al simbolo X (cioè 10): IX corrisponde a 9, e XI a 11 e così via. Il 50 si esprime con la lettera L, e arrivati al numero 39 (XXXIX), scatta la regola del 50 – 10 cioè XL. I simboli C (100) e M (1.000) sono invece derivati dalle iniziali dell’alfabeto (Cento e Mille).
Lo zero non esiste: verrà importato in Occidente più tardi dagli Arabi insieme alle altre cifre chiamate appunto numeri arabi.
I numeri romani si scrivono sempre in maiuscolo (tranne quando vengono usati nelle note a piè di pagina, per esempio: Manzoniiv), e si usano obbligatoriamente al posto dei numeri arabi per indicare i nomi di papi e re (Luigi XIV, Giovanni XXIII) e anche per indicare i secoli: il XX secolo. In questo caso si pronunciano come numeri ordinali, dunque si dice Luigi quattordicesimo, non Luigi quattordici come a volte si sente.
Spesso, soprattutto in passato, venivano indicate così anche le date di pubblicazione di libri o film, anche se oggi possono risultare di non immediata comprensione, per esempio MCMLXV corrisponde a 1965, e in questo caso si pronuncia come il numero cardinale corrispondente.
A parte questi casi, in generale nello scrivere è sempre meglio evitare le cifre, dunque si scrive “sono arrivato primo” e non “1°”, e per i risultati sportivi o di questo tipo il numero romano sarebbe fuori luogo. Di solito i numeri in cifre si scrivono solo dal decimo in poi (es. il 10° arrivato, il 20° arrivato) altrimenti è meglio usare le lettere.
Di seguito una tabella che aiuta a riassumere le regole e le equivalenze.
■ Il plurale dei composti di capo-.
■ Capostazione varia la radice: capistazione. ■ Capolavoro varia la
desinenza: capolavori. ■ Caposaldo varia entrambi gli elementi: capisaldi. ■ Meglio
dire i capoufficio o i capi ufficio?
Poiché nelle parole composte da capo– non esistono delle regole semplici e chiare per stabilire i plurali (vedi → “Il plurale dei nomi composti“), di seguito è possibile consultare una lista delle parole del genere più diffuse con i plurali indicati nei principali dizionari.
Si possono dividere in tre insiemi:
● le parole che al plurale variano solo capi– e mantengono uguale il secondo elemento; ● quelle che mantengono capo– e variano la desinenza finale; ● quelle che presentano più possibilità.
ATTENZIONE: Ci sono anche rari casi in cui il plurale si forma attraverso la variazione di entrambi gli elementi: capocannoniere → capicannonieri; capocronista → capicronisti; caposaldo → capisaldi.
I composti di capo– che al plurale variano in capi– senza cambiare il secondo elemento (es. capoarea→ capiarea) mentre al femminile plurale restano invariati (es. le capoarea):
I principali sostantivi che nella formazione del plurale cambiano la desinenza, ma mantengono invariato capo-:
capodanno (o capo d’anno) → capodanni (o capi d’anno); capodoglio (o capidoglio) → capodogli (o capidogli); capolavoro → capolavori (raro capilavori); capoluogo → capoluoghi (meno com. capiluoghi); capogiro → capogiri; capostipite → capostipiti; capotasto → capotasti; capoverso → capoversi; capovolgimento → capovolgimenti.
Al plurale hanno una doppia possibilità i seguenti sostantivi:
capomastro → capomastri e capimastri; capolinea → capilinea (o invariabile); caporedattore → capiredattori e caporedattori (femminile → la caporedattrice e le caporedattrici); capotecnico → capotecnici e capitecnici; capoufficio (e capo uffìcio o capufficio) → capi uffìcio e capiufficio; capocomico → capocomici o capicomici (femminile → la capocomica e le capocomiche) capocuoco → capocuochi (femminile la capocuoca e le capocuoche).
■ Come si fa il plurale dei nomi in –co e –go? ■ Quali sono i nomi in –co
e –go con un doppio plurale? ■ Si
dice psicologi o “psicologhi”? ■ Si dice stomaci o “stomachi”?
Poiché non esistono regole chiare e semplici (dunque utilizzabili) per sapere quando i nomi che terminano in –co e –go al plurale mantengono il suono duro o prendono quello dolce, di seguito è possibile consultare un elenco che raccoglie i più diffusi sostantivi di questo tipo e ne indica il plurale.
asparagi, biologi, cardiologi e la maggior parte dei composti con -logo (es: allergologi, esofagi, ideologi, filologi, fisiologi, psicologi, sociologi, speleologi…) e -fago (antropofagi, coprofagi, esofagi, necrofagi, onicofgi…).
È ammesso il doppio plurale in –gi e –ghi: astrologo, demiurgo, egittologo, meteorologo, sarcofago, sessuologo, taumaturgo, tuttologo.
■ Quali sono i nomi con due plurali che hanno un diverso significato? ■ Che differenza c’è tra bracci/braccia? ■ Che differenza c’è tra budelli e budella ■ Che differenza c’è tra cervelli e cervella? ■ Che differenza c’è tra cigli e ciglia? ■ Che differenza c’è tra corni e corna? ■ Che differenza c’è tra diti e dita? ■ Che differenza c’è tra fili e fila? ■ Che differenza c’è tra fondamenti e fondamenta? ■ Che differenza c’è tra frutti e frutta? ■ Che differenza c’è tra gesti e gesta? ■ Che differenza c’è tra legni e legna? ■ Che differenza c’è tra lenzuoli e lenzuola? ■ Che differenza c’è tra membri e membra ■ muri/mura ■ Che differenza c’è tra ossi e ossa?
Tra i nomi sovrabbondanti non ci sono solo quelli che presentano ridondanze dallo stesso significato (presepe e presepio, puzza e puzzo), ci sono anche quelli che possiedono due plurali diversi, che molto spesso hanno però diversi significati.
Per esempio i gesti sono quelli che facciamo con le mani nella comunicazione, ma le gesta sono le imprese degli eroi; altre volte un plurale ha un valore collettivo e uno ha un valore individuale: gli ossi designano i singoli ossi considerati separatamente (due ossi della mano) o quelli degli animali (ossi di seppia), mentre le ossa indicano l’insieme, l’ossatura o lo scheletro (le ossa della mano = tutte), le lenzuola indicano il completo, e i singoli lenzuoli spaiati sono al maschile.
Di seguito un elenco dei più diffusi sostantivi che presentano due plurali dal significato differenziato:
● i bracci (del carcere, di
una bilancia, di una croce o di una tenaglia) e le braccia (del corpo
umano);
● i budelli (cunicoli lunghi e stretti) e le budella (intestini);
● i cervelli (persone intelligenti, “la fuga dei cervelli”) e le cervella
(la materia cerebrale per esempio degli animali);
● i cigli (della strada) e le ciglia (degli occhi);
● i corni (strumenti musicali) e le corna (del toro);
● i diti (singolarmente: i diti indici) e le dita (nel loro
insieme: della mano);
● i fili (d’erba) e le fila (tirare
le fila, con valore collettivo);
● i fondamenti (del sapere) e le fondamenta (della casa);
● i frutti (singoli: i frutti del pero) e la frutta (inteso come
nome collettivo);
● i gesti (che si fanno nel gesticolare) e le gesta (di un eroe);
● i legni (i pezzi di legno) e la legna (nome collettivo);
● i lenzuoli (singolarmente) e le lenzuola (il paio completo);
● i membri (del governo) e le membra (del corpo);
● i muri (di casa) e le mura (della città);
● gli ossi (singoli o degli animali, per esempio di seppia) e le ossa
(nel loro insieme).
■ Come si coniugano le forme passive? ■ Qual è la coniugazione del passivo? ■ Come si coniuga il verbo lodare al passivo? ■ Ci sono verbi che non hanno la forma passiva? ■ Quali sono gli esempi di frasi al passivo?
La coniugazione dei verbi nella forma passiva è molto semplice: basta unire la coniugazione del verbo esserecon il participio passato.
Per esempio io amo al passivo diventa io sono amato, io temo → sono temuto, io servo → sono servito e così via per ogni coniugazione e per ogni tempo.
Di seguito una tabella di esempio con il paradigma della coniugazione passiva in ogni forma che ha come modello il verbo lodare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io sono lodato
io ero lodato
io fui lodato
tu sei lodato
tu eri lodato
tu fosti lodato
egli è lodato
egli era lodato
egli fu lodato
noi siamo lodati
noi eravamo lodati
noi fummo lodati
voi siete lodati
voi eravate lodati
voi foste lodati
essi sono lodati
essi erano lodati
essi furono lodati
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io sono stato lodato
io ero stato lodato
io fui stato lodato
tu sei stato lodato
tu eri stato lodato
tu fosti stato lodato
egli è stato lodato
egli era stato lodato
egli fu stato lodato
noi siamo stati lodati
noi eravamo stati lodati
noi fummo stati lodati
voi siete stati lodati
voi eravate stati lodati
voi foste stati lodati
essi sono stati lodati
essi erano stati lodati
essi furono stati lodati
futuro semplice
futuro anteriore
io sarò lodato
io sarò stato lodato
tu sarai lodato
tu sarai stato lodato
egli sarà lodato
egli sarà stato
lodato
noi saremo lodati
noi saremo stati
lodati
voi sarete lodati
voi sarete stati
lodati
essi saranno lodati
essi saranno stati
lodati
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io sia lodato
che io sia stato lodato
che io fossi lodato
che io fossi stato lodato
che tu sia lodato
che tu sia stato lodato
che tu fossi lodato
che tu fossi stato lodato
che egli sia lodato
che egli sia stato lodato
che egli fosse lodato
che egli fosse stato lodato
che noi siamo lodati
che noi siamo stati lodati
che noi fossimo lodati
che noi fossimo stati lodati
che voi siate lodati
che voi siate stati lodati
che voi foste lodati
che voi foste stati lodati
che essi siano lodati
che essi siano stati lodati
che essi fossero lodati
che essi fossero stati lodati
Condizionale
presente
passato
io sarei lodato
io sarei stato
tu saresti lodato
tu saresti stato
egli sarebbe lodato
egli sarebbe stato
noi saremmo lodati
noi saremmo stati
voi sareste lodati
voi sareste stati
essi sarebbero lodati
essi sarebbero stati
Imperativo
(io) …
(tu) sii lodato
(egli) sia lodato
(noi) siamo lodati
(voi) siate lodati
(essi) siano lodati
Infinito presente: essere lodato Infinito passato: essere stato lodato Gerundio presente: essendo lodato Gerundio passato: essendo stato lodato Participo presente: — Participio passato: —
■ Perché molte grammatiche includono i verbi porre, trarre e condurre tra quelli della seconda coniugazione? ■ Come si coniuga condurre? ■ Come si coniuga porre? ■ Come si coniuga trarre? ■ I composti di condurre, porre e trarre si comportano come i verbi progenitori? ■ Quali sono i composti di condurre, trarre e porre?
La maggior parte delle grammatiche includono i verbi come condurre, porre o trarre tra quelli della seconda coniugazione, perché derivano dal latino conducere, ponere e trahere.
Al di là dei criteri di classificazione, di seguito è possibile vedere come si coniugano nelle forme che presentano irregolarità:
■ Quali sono i verbi irregolari in -ire? ■ Perché molte grammatiche includono il verbo dire tra quelli della seconda coniugazione? ■ Come si coniuga dire? ■ I composti di dire si comportano come il verbo progenitore? ■ Meglio “contraddicevo” o “contraddivo”? ■ Perché si dice “benedicevo” ma all’imperativo “benedici” e non come il verbo da cui deriva (di’)? ■ Esaurire fa esausto o esaurito? ■ Seppellire fa seppellito o sepolto? ■ Come si coniuga aborrire? ■ Come si coniuga apparire? ■ Come si coniuga aprire? ■ Come si coniuga assalire? ■ Come si coniuga costruire? ■ Come si coniuga morire? ■ Come si coniuga offrire? ■ Come si coniuga salire? ■ Come si coniuga sparire? ■ Come si coniuga udire? ■ Come si coniuga uscire? ■ Come si coniuga venire?
Tra i verbi che terminano in –ire il più frequente è il verbo dire anche se è spesso inserito nelle grammatiche (ma non in tutte) tra i verbi della seconda coniugazione, perché è una contrazione del latino dicere.
Al di là dei criteri di classificazione, di seguito è possibile vedere come si coniuga nei tempi semplici irregolari (quelli composti si formano regolarmente con il participio passato, detto, e l’ausiliare avere).
Seguono questo modello i composti: benedire, contraddire, disdire, indire, maledire, predire, ridire… per cui si dice contraddicevo, benedicevo, maledicevo (le forme popolari “contraddivo”, “benedivo” o “maledivo” sono poco eleganti e da evitare nei registri colti e formali).
L’unica eccezione, nel caso di benedire, è l’imperativo: “Benedici questa casa!” è corretto invece di benedi’.
Di seguito un elenco degli altri più importanti verbi irregolari in –ire (tra questi sono riportati anche quelli che, pur essendo regolari negli altri casi, prendono l’infisso –isc):
● aborrire (ausil. avere) indicativo pres. aborro e aborrisco, aborri e aborrisci, aborre e aborrisce, aborriamo, aborrite, aborrono e aborriscono; fut. aborrirò; pass. rem. aborrii, aborristi; cong. pres. aborra e aborrisca…, aborriamo, aborriate, aborrano e aborriscano; cong. imperf. aborrissi; cond. aborrirei; imp. aborri e aborrisci; part. aborrito; (seguono questo modello: applaudire, assorbire, inghiottire, languire, mentire, nutrire, riempire, ripartire nel significato di dividere, sdrucire); ● apparire (ausil. essere) indicativo pres. appaio e apparisco, appari e apparisci, appare e apparisce, appariamo, apparite, appaiono; fut. apparirò; pass. rem. apparsi e apparvi o apparii, apparse e apparve o apparì, apparimmo, appariste, apparsero e apparvero o apparirono; cong. pres. appaia o apparisca…, appariamo, appariate, appaiano o appariscano; cong. imperf. apparissi; cond. apparirei; imp. appari e apparisci; part. apparso; (seguono questo modello anche scomparire e comparire); ● aprire (ausil. avere) indicativo pres. apro; fut. aprirò; pass. rem. aprii e apersi, apristi, aprì e aperse, aprimmo, apriste, aprirono e apersero; cong. pres. apra; cong. imperf. aprissi; cond. aprirei; imp. apri; part. aperto; (seguono questo modello: coprire, ricoprire, scoprire); ● assalire (ausil. avere) indicativo pres. assalgo e assalisco, assali e assalisci, assale e assalisce, assaliamo, assalite, assalgono e assaliscono; fut. assalirò; pass. rem. assalii e assalsi, assalisti, assalì e assalse, assalimmo, assaliste, assalirono e assalsero; cong. pres. assalga e assalisca, assaliamo, assaliate, assalgano e assaliscano; cong. imperf. assalissi; cond. assalirei; imp. assali e assalisci; part. assalito; ● costruire (ausil. avere) indicativo pres. costruisco; fut. costruirò; pass. rem. costruii e costrussi (raro), costruisti, costruì e costrusse (raro), costruimmo, costruiste, costruirono e costrussero (raro); cong. pres. costruisca; cong. imperf. costruissi; cond. costruirei; imp. costruisci; part. costruito e costrutto (raro); (segue questo modello anche istruire); ● morire (ausil. essere) indicativo pres. muoio, muori, muore, moriamo, morite, muoiono; fut. morirò e morrò; pass. rem. morii, moristi; cong. pres. muoia, muoia, muoia, moriamo, moriate, muoiano; cong. imperf. morissi; cond. morirei; imp. muori; part. morto; ● offrire (ausil. avere) indicativo pres. offro; fut. offrirò; pass. rem. offrii e offersi, offristi, offrì e offerse, offrimmo, offriste, offrirono e offersero; cong. pres. offra; cong. imperf. offrissi; cond. offrirei; imp. offri; part. offerto; (segue questo modello anche soffrire); ● salire (ausil. essere, ma transitivamente anche avere: ho salito le scale) indicativo pres. salgo, sali, sale, saliamo, salite, salgono; fut. salirò; pass. rem. salii, salisti; cong. pres. salga, salga, salga, saliamo, saliate, salgano; cong. imperf. salissi; cond. salirei; imp. sali; part. salito; ● sparire (ausil. essere) indicativo pres. sparisco; fut. sparirò; pass. rem. sparii e sparvi, sparisti, sparì e sparve, sparimmo, spariste, sparirono e sparvero; cong. pres. sparisca; cong. imperf. sparissi; cond. sparirei; imp. sparisci; part. sparito; ● udire (ausil. avere) indicativo pres. odo, odi, ode, udiamo, udite, odono; fut. udirò e udrò; pass. rem. udii, udisti; cong. pres. oda, oda, oda, udiamo, udiate, odano; cong. imperf. udissi; cond. udirei e udrei; imp. odi, udite; part. udito; ● uscire (ausil. essere) indicativo pres. esco, esci, esce, usciamo, uscite, escono; fut. uscirò; pass. rem. uscii, uscisti; cong. pres. esca, esca, esca, usiamo, usciate, escano; cong. imperf. uscissi; cond. uscirei; imp. esci; part. uscito; (segue questo modello anche riuscire); ● venire (ausil. essere) indicativo pres. vengo, vieni, viene, veniamo, venite, vengono; fut. verrò; pass. rem. venni, venisti; cong. pres. venga, venga, venga, veniamo, veniate, vengano; cong. imperf. venissi; cond. verrei; imp. vieni; part. venuto; (seguono questo modello: avvenire, convenire, divenire, intervenire, pervenire, provenire, svenire…);
A questo elenco si possono aggiungere alcuni verbi che sono regolari, però hanno un doppio participio passato:
● esaurire (ausil. essere) oltre a esaurito, regolare, può avere anche esausto; ● profferire (ausil. avere) fa profferito, ma anche profferto; ● seppellire (ausil. avere), seppellito e sepolto.
■ Quali sono i verbi irregolari in -ere? ■ Quali sono le irregolarità
che si ripetono nei verbi irregolari in -ere? ■ Come si coniuga bere? ■ Come si coniuga cadere? ■ Come si coniuga chiedere? ■ Come si coniuga cogliere? ■ Come si coniuga cuocere? ■ Come si coniuga dolere? ■ Come si coniuga dovere? ■ Come si coniuga giacere? ■ Come si coniuga godere? ■ Come si coniuga nuocere? ■ Come si
coniuga parere? ■ Come si coniuga piacere? ■ Come si coniuga potere? ■ Come si coniuga scegliere? ■ Come si coniuga sedere? ■ Come si coniuga spegnere? ■ Come si coniuga tacere? ■ Come si
coniuga tenere? ■ Come si coniuga valere? ■ Come si coniuga vedere? ■ Come si coniuga vivere? ■ Come si coniuga volere?
I verbi in –ere sono quelli che presentano il maggior numero di forme irregolari. Perlopiù sono irregolari solo nelle forme del passato remoto e del participio passato.
Molte forme irregolari, però, si ripetono con una certa regolarità e di seguito troverete le principali irregolarità raggruppate per tipologia.
Alcuni verbi in –ere nel passato remoto prendono la desinenza –si e nel participio passato –so.
Di seguito, altri tipi di irregolarità dei verbi in -ere nel passato remoto e nel participio passato (tra parentesi i verbi che seguono lo stesso paradigma).
Ci sono poi i verbi che presentano irregolarità anche in altre forme, oltre al passato remoto e al participio, e che hanno una radice che varia a seconda dei tempi. Di seguito un elenco che raccoglie i più diffusi:
● bere (ausil. avere): indicativo pres. bevo; fut. berrò; pass. rem. bevvi (o bevetti) bevesti… bevvero; cong. pres. beva; cong. imperf. bevessi; cond. berrei; imp. bevi; part. bevuto; ● cadere (ausil. essere) indicativo pres. cado; fut. cadrò; pass. rem. caddi, cadesti; cong. pres. cada; cong. imperf. cadessi; cond. cadrei; imp. cadi; part. caduto; (seguono questo modello: accadere, decadere, scadere…); ● chiedere (ausil. avere) indicativo pres. chiedo; fut. chiederò; pass. rem. chiesi, chiedesti; cong. pres. chieda; cong. imperf. chiedessi; cond. chiederei; imp. chiedi; part. chiesto; (segue questo modello anche richiedere); ● cogliere (ausil. avere) indicativo pres. colgo, cogli, coglie, cogliamo, cogliate, colgono; fut. coglierò; pass. rem. colsi, cogliesti; cong. pres. colga, colga, colga, cogliamo, cogliate, colgano; cong. imperf. cogliessi; cond. coglierei; imp. cogli; part. colto; (seguono questo modello: accogliereincogliere, raccogliere, ma anche togliere, sciogliere, distogliere); ● cuocere (ausil. avere) indicativo pres. cuocio, cuoci, cuoce, cociamo, cocete, cuociono; fut. cocerò; pass. rem. cossi, cocesti; cong. pres. cuocia, cuocia, cuocia, cociamo, cociate, cuociano; cong. imperf. cocessi; cond. cocerei; imp. cuoci, cocete; part. cotto; (ma sono ormai largamente accettate anche le forme cuociamo, cuocete, cuocerò, cuocerei…); ● dolere (ausil. essere) indicativo pres. dolgo, duoli, duole, doliamo o dogliamo, dolete, dolgono; fut. dorrò; pass. rem. dolsi, dolesti; cong. pres. dolga…, doliamo o dogliamo, doliate o dogliate, dolgano; cong. imperf. dolessi; cond. dorrei; imp. duoli, dolete; part. doluto; ● dovere (ausil. avere) indicativo pres. devo o debbo, devi, deve, dobbiamo, dovete, devono o debbono; fut. dovrò; pass. rem. dovetti o dovei, dovesti; cong. pres. debba…, dobbiamo, dobbiate, debbano; cong. imperf. dovessi; cond. dovrei; imp. (mancante); part. dovuto; ● giacere (ausil. essere) indicativo pres. giaccio, giaci, giace, giacciamo, giacete, giacciono; fut. giacerò; pass. rem. giacqui, giacesti; cong. pres. giaccia, giaccia, giaccia, giacciamo, giacciate, giacciano; cong. imperf. giacessi; cond. giacerei; imp. giaci; part. giaciuto; (segue questo modello anche soggiacere; ● godere (ausil. avere) indicativo pres. godo; fut. godrò; pass. rem. godetti o godei, godesti; cong. pres. goda; cong. imperf. godessi; cond.godrei; imp. godi; part. goduto; ● nuocere (ausil. avere) indicativo pres. noccio o nuoccio, nuoci, nuoce, nociamo, nocete, nocciono o nuocciono; fut. nocerò; pass. rem. nocqui, nocesti; cong. pres. noccia, noccia, noccia, nociamo, nociate, nocciano; cong. imperf. nocessi; cond. nocerei; imp. nuoci, nocete; part. nociuto (ma si registrano anche le forme con il dittongo: nuocevo, nuocerò…); ● parere (ausil. essere) indicativo pres. paio, pari, pare, pariamo o paiamo (raro), parete, paiono; fut. parrò; pass. rem. parvi, paresti; cong. pres. paia, paia, paia, paiamo o pariamo, paiate o pariate, paiano; cong. imperf. paressi; cond. parrei; imp. (mancante); part. parso; ● piacere (ausil. essere) indicativo pres. piaccio, piaci, piace, piacciamo, piacete, piacciono; fut. piacerò; pass. rem. piacqui, piacesti; cong. pres. piaccia; cong. imperf. piacessi; cond. piacerei; imp. piaci; part. piaciuto; (seguono questo modello: compiacere e dispiacere); ● potere (ausil. avere) indicativo pres. posso, puoi, può, possiamo, potete, possono; fut. potrò; pass. rem. potei, potesti; cong. pres. possa; cong. imperf. potessi; cond. potrei; imp. (mancante); part. potuto; ● sapere (ausil. avere) indicativo pres. so, sai, sa, sappiamo, sapete, sanno; fut. saprò; pass. rem. seppi, sapesti; cong. pres. sappia; cong. imperf. sapessi; cond. saprei; imp. sappi; part. saputo; ● scegliere (ausil. avere)indicativo pres. scelgo, scegli, sceglie, scegliamo, scegliete, scelgono; fut. sceglierò; pass. rem. scelsi, scegliesti; cong. pres. scelga, scelga, scelga, scegliamo, scegliate, scelgano; cong. imperf. scegliessi; cond. sceglierei; imp. scegli; part. scelto; (segue questo modello anche prescegliere); ● sedere (ausil. essere) indicativo pres. siedo o seggo (raro), siedi, siede, sediamo, sedete, siedono o seggono; fut. sederò o siederò; pass. rem. sedetti o sedei, sedesti; cong. pres. sieda o segga…, sediamo, sediate, siedano o seggano; cong. imperf. sedessi; cond. sederei o siederei; imp. siedi; part. seduto; (seguono questo modello anche: soprassedere e risiedere); ● spegnere (ausil. avere) indicativo pres. spengo, spegni, spegne, spegniamo, spegnete, spengono; fut. spegnerò; pass. rem. spensi, spegnesti; cong. pres. spenga, spenga, spenga, spegniamo, spegniate, spengano; cong. imperf. spegnessi; cond. spegnerei; imp. spegni; part. spento (a volte si mescola con la variante per lo più toscana spengere nelle seguenti forme: indicativo pres. tu spengi, egli spenge, noi spengiamo, voi spengete; fut. spengerò…; pass. rem. tu spengesti, noi spengemmo, voi spengeste; cong. pres. noi spengiamo, voi spengiate); ● tacere (ausil. avere) indicativo pres. taccio, taci, tace, taciamo, tacete, tacciono; fut. tacerò; pass. rem. tacqui, tacesti; cong. pres. taccia, taccia, taccia, tacciamo, taciate, tacciano; cong. imperf. tacesi; cond. tacerei; imp. taci; part. taciuto; ● tenere (ausil. avere) indicativo pres. tengo, tieni, tiene, teniamo, tenete, tengono; fut. terrò; pass. rem. tenni, tenesti; cong. pres. tenga, tenga, tenga, teniamo, teniate, tengano; cong. imperf. tenessi; cond. terrei; imp. tieni; part. tenuto; (seguono questo modello: appartenere, contenere, detenere, ottenere, ritenere, trattenere…); ● valere (ausil. essere) indicativo pres. valgo, vali, vale, valiamo, valete, valgono; fut. varrò; pass. rem. valsi, valesti; cong. pres. valga, valga, valga, valiamo, valiate, valgano; cong. imperf. valessi; cond. varrei; imp. vali; part. valso; (seguono questo modello: equivalere, prevalere, rivalere…); ● vedere (ausil. avere) indicativo pres. vedo o veggo (raro); fut. vedrò; pass. rem. vidi, vedesti; cong. pres. veda; cong. imperf. vedessi; cond. vedrei; imp. vedi; part. veduto o visto; (seguono questo modello alcuni composti come: avvedere, intravedere, rivedere…, tuttavia prevedere e provvedere a volte non si contraggono e mantengono anche le forme prevederò e provvederò, prevederei e provvederei; infine, il part. pass. di provvedere sviluppa due significati differenti a seconda della forma: provveduto e provvisto che significa “fornito”); ● vivere (ausil. essere) indicativo pres. vivo; fut. vivrò; pass. rem. vissi, vivesti; cong. pres. viva; cong. imperf. vivessi; cond. vivrei; imp. vivi; part. vissuto; (seguono questo modello: convivere e sopravvivere); ● volere (ausil. avere) indicativo pres. voglio, vuoi, vuole, vogliamo, volete, vogliono; fut. vorrò; pass. rem. volli, volesti; cong. pres. voglia; cong. imperf. volessi; cond. vorrei; imp. (vogli, disusato) vogliate; part. voluto.
■ Come si coniuga il verbo dare? ■ Perché al passato remoto “dare” diventa tu “desti” con la “e” invece della “a”? ■ Perché nel caso di dare si dice “io diedi” ma nel caso di circon-dare “circondai”? ■ I composti di dare si comportano come il verbo progenitore? ■ Quali sono i composti di “dare”?
Dare (come andare,fareestare) è uno dei pochi verbi irregolari che terminano in –are.
Tra le sue irregolarità c’è il cambio della vocale tematica che passa dalla a alla e in alcune forme con quelle del congiuntivo → desse.
Bisogna però precisare che la coniugazione dei suoi composti non segue il suo modello!
Circondare o estradare sono perciò verbi regolari che seguono il modello dei verbi come amare, e non si comportano come il verbo progenitore: si scrive circondai (e non “circondiedi”) ed estraderò (e non “estradarò”).
Di seguito la coniugazione di dare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io do
io davo
io diedi (o detti)
tu dai
tu davi
tu desti
egli dà
egli dava
egli diede (o dette)
noi diamo
noi davamo
noi demmo
voi date
voi davate
voi deste
essi danno
essi davano
essi diedero (o dettero)
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io ho dato
io avevo dato
io ebbi dato
tu hai dato
tu avevi dato
tu avesti dato
egli ha dato
egli aveva dato
egli ebbe dato
noi abbiamo dato
noi avevamo dato
noi avemmo dato
voi avete dato
voi avevate dato
voi aveste dato
essi hanno dato
essi avevano dato
essi ebbero dato
futuro semplice
futuro anteriore
io darò
io avrò dato
tu darai
tu avrai dato
egli darà
egli avrà dato
noi daremo
noi avremo dato
voi darete
voi avrete dato
essi daranno
essi avranno dato
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io dia
che io abbia dato
che io dessi
che io avessi dato
che tu dia
che tu abbia dato
che tu dessi
che tu avessi dato
che egli dia
che egli abbia dato
che egli desse
che egli avesse dato
che noi diamo
che noi abbiamo dato
che noi dessimo
che noi avessimo dato
che voi diate
che voi abbiate dato
che voi deste
che voi aveste dato
che essi diano
che essi abbiano dato
che essi dessero
che essi avessero dato
Condizionale
presente
passato
io darei
io avrei dato
tu daresti
tu avresti dato
egli darebbe
egli avrebbe dato
noi daremmo
noi avremmo dato
voi dareste
voi avreste dato
essi darebbero
essi avrebbero dato
Imperativo
(io) …
(tu) da’ (ma si trova anche dà, e la forma dai è diventata un’intercalare)
(egli) dia
(noi) diamo
(voi) diate
(essi) diano
Infinito presente: dare Infinito passato: avere dato Gerundio presente: dando Gerundio passato: avendo dato Participo presente: dante Participio passato: dato.
■ Perché “fare” viene considerato da molte grammatiche tra i verbi della seconda coniugazione? ■ Come si coniuga il verbo fare? ■ Come si comportano i composti di fare? ■ Si dice “io disfo” o “io disfaccio”? ■ Meglio dire “disfacevo” o “disfavo”? ■ Si dice “io soddisfarò” o “io soddisferò”?
Fare (come andare, daree stare) è uno dei pochi verbi irregolari che terminano in –are.
Molte grammatiche, ma non tutte, preferiscono includere fare nei verbi della seconda coniugazione che terminano in -ere, perché è una contrazione del latino facere e nelle sue flessioni si comporta in modo simile.
Al di là dei criteri di classificazione, di seguito è possibile vedere come si coniuga nei tempi semplici (quelli composti si formano regolarmente con l’ausiliare avere).
Seguono la coniugazione di fare anche i composti: assuefare, contraffare, liquefare, rifare, sopraffare…
Tuttavia, mentre si dice comunemente assuefaccio, contraffaccio… (le forme assuefò o contraffò non sono molto in uso), in alcuni casi soddisfare e disfare hanno sviluppato anche forme proprie, per esempio soddisfare al presente fa anche soddisfo, al futuro fa anche soddisferò, al congiuntivo anche soddisfi, al condizionale anche soddisferei. Allo stesso modo disfare all’indicativo presente fa disfo oltre a disfaccio e si sono diffuse forme come disferò, al futuro, o disferei al condizionale (invece di disfarò e disfarei), il che non significa che le forme disfaccio, disfarò e via dicendo siano sbagliate, ma circolano anche altre forme che tendono a distaccarsi dalla regola.
Benché alcune forme come disfavo invece che disfacevo o disfassi invece che disfacessi siano ormai diffuse nel parlato e non solo, non sono molto eleganti ed è meglio usare le forme che seguono la coniugazione di fare.
Coniugazione:
Fare (ausiliario: avere)
Indicativo
presente: io faccio (o fo, raro), tu fai, egli fa, noi facciamo, voi fate, essi fanno;
imperfetto: io facevo, tu facevi, egli faceva, noi facevamo, voi facevate, essi facevano;
passato remoto: io feci, tu facesti, egli fece, noi facemmo, voi faceste, essi fecero;
futuro: io farò, tu farai, egli farà, noi faremo, voi farete, essi faranno.
Congiuntivo
presente: che io faccia, che tu faccia, che egli faccia, che noi facciamo, che voi facciate, che essi facciano;
imperfetto: che io facessi, che tu facessi, che egli facesse, che noi facessimo, che voi faceste, che essi facessero.
Condizionale
presente: io farei, tu faresti, egli farebbe, noi faremmo, voi fareste, essi farebbero.
Imperativo
(io) … (tu) fa (o fa’ e fai), (egli) faccia, (voi) fate, (noi) facciamo, (essi) facciano.
Participiopresente: facente; participio passato: fatto. Gerundio: facendo; infinito: fare
■ Come si coniuga il verbo stare? ■ Perché si dice io “stetti” invece di seguire la radice “stare”? ■ Perché si dice io stetti ma nei composti come prestare si dice io “prestai”? ■ I composti di “stare” si comportano come il verbo progenitore? ■ Quali sono i composti del verbo “stare”?
Stare (come andare, dare efare)è uno dei pochi verbi irregolari che terminano in –are, e tra le sue peculiarità c’è il cambio della vocale tematica da a in e in alcune forme (per es. che egli stesse) .
Bisogna però fare attenzione ai suoi composti che non si comportano in modo irregolare come il verbo progenitore, diventano regolari!
Dunque verbi come prestare, restare, contrastare o sovrastare seguono il paradigma regolare di amare e si dice per esempio sovrastano (e non “sovrastanno”), prestai (e non “prestetti”) e contrasterò (e non “contrastarò”).
Di seguito la coniugazione di stare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io sto
io stavo
io stetti
tu stai
tu stavi
tu stesti
egli sta
egli stava
egli stette
noi stiamo
noi stavamo
noi stemmo
voi state
voi stavate
voi steste
essi stanno
essi stavano
essi stettero
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io sono stato
io ero stato
io fui stato
tu sei stato
tu eri stato
tu fosti stato
egli è stato
egli era stato
egli fu stato
noi siamo stati
noi eravamo stati
noi fummo stati
voi siete stati
voi eravate stati
voi foste stati
essi sono stati
essi erano stati
essi furono stati
futuro semplice
futuro anteriore
io starò
io sarò stato
tu starai
tu sarai stato
egli starà
egli sarà stato
noi staremo
noi saremo stati
voi starete
voi sarete stati
essi staranno
essi saranno stati
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io stia
che io sia stato
che io stessi
che io fossi stato
che tu stia
che tu sia stato
che tu stessi
che tu fossi stato
che egli stia
che egli sia stato
che egli stesse
che egli fosse stato
che noi stiamo
che noi siamo stati
che noi stessimo
che noi fossimo stati
che voi stiate
che voi siate stati
che voi steste
che voi foste stati
che essi stiano
che essi siano stati
che essi stessero
che essi fossero stati
Condizionale
presente
passato
io starei
io sarei stato
tu staresti
tu saresti stato
egli starebbe
egli sarebbe stato
noi staremmo
noi saremmo stati
voi stareste
voi sareste stati
essi starebbero
essi sarebbero stati
Imperativo
(io) …
(tu) sta (si trovano anche sta’ e stai)
(egli) stia
(noi) stiamo
(voi) state
(essi) stiano
Infinito presente: stare Infinito passato: essere stato Gerundio presente: stando Gerundio passato: essendo stato Participo presente: stante Participio passato: stato.
■ Come si coniuga il verbo andare? ■ La radice di andare è “vad” o “and”? ■ Qual è la tabella con la coniugazione di “andare”?
Andare (come dare, fareestare) è uno dei pochi verbi irregolari che terminano in –are.
La sua irregolarità sta nell’oscillare tra due diverse radici, quella che caratterizza l’infinito (and + are) e quella che si ritrova per esempio nel presente che diventa vado (vad+o, e non ando).
■ Come si
coniugano i verbi regolari in -ire? ■ Perché si dice “io servo”, ma “io finisco”
con l’aggiunta di ISC? ■ Si dice “io inghiotto” o “inghiottisco”? ■ Perché si
dice “obbediente” (con la “i”) ma “apparente” senza “i”? Si dice “dormente” o “dormiente”?
■ Perché patire e sentire diventano paziente e senziente?
I verbi regolari si coniugano tutti allo stesso modo e non presentano difficoltà: cambia la radice di ognuno, ma le desinenze sono le stesse e basta applicarle alla radice in modo “matematico”.
Dunque, i verbi regolari che terminano in –ire, si comportano tutti come il verbo serv-ire che è stato qui scelto come modello (essendo transitivo nei tempi composti vuole l’ausiliare avere, ma se fosse intransitivo potrebbe anche appoggiarsi a essere, es. io sono partito).
Tuttavia, bisogna prestare attenzione a poche considerazioni importanti.
Molti verbi in –ire, anche se per gli altri aspetti sono regolari, rispetto alla coniugazione in tabella inseriscono l’infisso –isc tra la radice e la desinenza nella prima e seconda persona singolare, e nella terza persona singolare e plurale del presente (per esempio sancire, pulire o finire: io finisco, tu finisci, egli finisce, essi finiscono) e dell’imperativo (finisci, finisca, finiscano). Altri conservano entrambe le forme, per esempio inghiotto e inghiottisco, aborro e aborrisco, o mento e mentisco (quest’ultima poco usata, però).
Riparto e ripartisco hanno invece significati diversi, rispettivamente: parto di nuovo e suddivido.
Anche nei participisi può trovare una doppia forma che si alterna, in -iente (per esempio obbediente), ma anche in -ente (apparente). Nel caso di dormire sono consentite entrambe le forme, dormente e dormiente.
In alcuni casi, quando c’è la t a fine radice, si assiste a una trasformazione in z per motivi eufonici, per esempio da consentire e patire derivano consenziente o paziente.
I verbi in –cire, –gire e –scire tendono a mantenere la pronuncia dura davanti ad a, o e u, che si addolcisce con la e e la i (sgualcire: tu sgualcisci, egli sgualcisce, che egli sgualcisca; fuggire: fuggo, fuggi; uscire: esco, esci). Però cucire si coniuga dolce: io cucio, che io cucia.
Di seguito la tabella con la coniugazione dei verbi regolari in –ire.
■ Come si coniugano i verbi regolari in -ere? ■ Al passato remoto si dice io temei ed egli temé o io temetti ed egli temette? ■ Perché si dice io cuocio, ma io giaccio e taccio con due C?
I verbi regolari si coniugano tutti allo stesso modo e non presentano difficoltà: cambia la radice di ognuno, ma le desinenze sono le stesse e basta applicarle alla radice in modo “matematico”.
Dunque, i verbi regolari che terminano in –ere, si comportano tutti come il verbo tem-ere che è stato qui scelto come modello (essendo transitivo nei tempi composti vuole l’ausiliare avere, ma se fosse intransitivo potrebbe anche appoggiarsi a essere).
Tuttavia, bisogna prestare attenzione a poche considerazioni importanti.
Molti verbi della seconda coniugazione, anche regolari, al passato remoto presentano una doppia forma: per esempio io temei, ma anche io temetti, o egli temé, ma anche temette. In caso di dubbi su un verbo preciso, è meglio consultare un dizionario, perché non c’è una regola valida sempre, e nel caso di battere, per esempio, si dice solo io battei (e non “battetti”).
C’è poi il problema dei suoni dolci o duri delle radici dei verbi in –cere, –gere e –scere: mantengono il suono dolce davanti a e e i, che diventa invece duro davanti ad a, o e u; vincere si coniuga dunque in io vinco (suono duro) e tu vinci (suono dolce) e nel caso di vinceranno la i non ci vuole. Lo stesso vale per dirigo e dirigi; conosco, conosci, conosce e conosciamo.
Cuocere e nuocere, e anche i verbi con l’accento sulla desinenza dell’infinito (-cére: tacere, piacere, giacere…) mantengono sempre la c dolce e quindi aggiungono la i davanti alle vocali a, o e u: cuocio, cuociamo, cuoceva. Inoltre, in genere raddoppiano la c davanti alla i, per esempio diventano taccio, nuoccio, piaccio (ma non nel caso di cuocio). Ma stiamo entrando nell’ambito delle forme irregolari che non seguono questo schema regolare di temere.
Di seguito la tabella con la coniugazione dei verbi regolari in –ere.
■ Come si coniugano i verbi regolari in -are? ■ Cosa succede quando un verbo che ha la radice che termina con la “i” incontra le desinenze in “i” come nel caso di “mangi-iare”? ■ Cosa succede quando un verbo che ha la radice che termina con “gn” incontra le desinenze in “i” come nel caso di “sogn-iamo”? ■ Cosa succede quando un verbo che ha la radice che termina con “c” e “g” incontra le desinenze in “i” come nel caso di “rec-h-iamo” e “preg-h-iamo”? ■ Perché si dice tu avvi con due “i” ma tu studi con una sola? ■ Cosa succede quando un verbo che ha la radice che termina con “gli” incontra le desinenze in “i” come nel caso di “pigli-(i)”? ■ I composti dei verbi irregolari “dare” e “stare” si coniugano come il verbo da cui derivano o diventano regolari?
I verbi regolari si coniugano tutti allo stesso modo e non presentano difficoltà: cambia la radice di ognuno, ma le desinenze sono le stesse e basta applicarle alla radice in modo “matematico”.
Dunque, i verbi regolari che terminano in –are, si comportano tutti come il verbo am-are che è stato qui scelto come modello.
L’unica differenza riguarda la formazione dei tempi composti: amare è transitivo e come tutti i transitivi si appoggia all’ausiliario avere(ho amato), ma nel caso dei verbi intransitivi è possibile che si appoggi all’ausiliario essere, per esempio crollare (è crollato).
A parte andare, dare, faree stare, i verbi in –are seguono questo paradigma, con poche eccezioni. Le uniche “irregolarità” che si possono riscontrare riguardano i casi in cui è in gioco la lettera i.
Pregare e recare, per esempio, le cui radici sono preg- e rec-, hanno un suono duro, e per mantenerlo, quando incontrano la desinenza che inizia con la lettera i, necessitano dell’aggiunta di un’acca dopo la c e la g, dunque si dice tu preghi e tu rechi (e non “pregi” e“reci”).
Analogamente, i verbi che hanno una i prima della desinenza -are, come mangi-are, lanci-are o strisci-are, quando incontrano desinenze come -iamo, hanno il problema della doppia i, per cui, per ragioni eufoniche, la doppia i di mangi-iamo si contrae in una sola: mangiamo (lanciamo e strisciamo). Viceversa (ma per lo stesso motivo eufonico) io mangerò e noi mangeremo perdono la i, che diventa superflua (quindi è errato scrivere “mangierò” e “mangieremo”) e lo stesso vale per lancerò, lanceremo, striscerò, striscerete e via dicendo.
La regola si può allora esprimere dicendo che la i della radice si perde davanti a un’altra i, ma anche davanti alla e, ma come sempre ci sono le eccezioni. Per esempio quando c’è il problema dell’accento sulla i: nel caso del verbo avviare, perciò, per mantenere l’accento si dice io avvio e tu avvii (pronuncia: avvìo e avvìi), al contrario di io studio e tu studi. Analogamente, nel caso del verbo pigli-are, per mantenere il fonema gli, la e non cade nelle forme piglierò o piglierai, e si mantiene, mentre cade normalmente nel caso di tu pigli.
I verbi in -gnare, inoltre, conservano la i nella forma -iamo del presente indicativo (noi sogniamo) e nel caso del congiuntivo anche delle forme in -iate (che noi sogniamo e che voi sogniate). Tuttavia, alcune grammatiche ammettono sempre più anche le forme senza i come sognate (ma perlopiù solo nel caso dell’indicativo) che si sono diffuse anche perché di solito la i viene evitata dopo il –gn (anche se c’è chi non concorda e le bolla come errate o poco eleganti).
ATTENZIONE I composti di stare (per esempio prestare, restare, contrastare o sovrastare) non si comportano in modo irregolare come il verbo progenitore, diventano regolari e perciò si dice per esempio sovrastano (e non “sovrastanno”), prestai (e non “prestetti”) e contrasterò (e non “contrastarò”). Lo stesso avviene per i composti di dare, come circondare o estradare: sono regolari e non si comportano come il verbo (irregolare) da cui derivano: si scrive circondai (e non “circondiedi”) ed estraderò (e non “estradarò”).
Di seguito la tabella con la coniugazione dei verbi regolari in –are.
■ Perché il verbo
avere è un ausiliare? ■ Il verbo avere vive anche autonomamente
o si usa solo per i tempi composti? ■ Quali sono le forme del verbo avere che
prendono l’H? ■ Come si coniuga il verbo avere? ■ Solo i verbi transitivi si
appoggiano all’ausiliario avere? ■ Si dice ho corso o sono corso? ■ Si dice ha piovuto
o è piovuto?
Il verbo avere (insieme al verbo essere) si dice ausiliare perché aiuta (dal latino auxiliaris, “che aiuta”) a comporre i tempi composti di altri verbi.
Però può vivere anche autonomamente:
● ho (= “possiedo”) una casa; ● ho (= “ho preso”) il maglione…
Come ausiliare si unisce a tutti i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) nel formare i verbi composti delle forme attive, ma può reggere anche vari verbi intransitivi (ho congiurato, ho litigato), e altri che possono avere il doppio ausiliare. Tra questi ci sono quelli che indicano fenomeni atmosferici (piovere, nevicare, grandinare, tuonare, lampeggiare, albeggiare…) per cui si può dire sia ha nevicato sia è nevicato, e altri che si possono usare sia transitivamente sia intransitivamente: ho corso per tutto il tempo e sono corso a casa, ha prevalso e è prevalso, ho vissuto e sono vissuto…
La coniugazione
La coniugazione di avere è irregolare perché cambia la radice e av-ere diventa per esempio ab-bia, e rafforza quattro forme aggiungendo l’acca (ho, ha, hai, hanno).
Di seguito la coniugazione in tutti suoi modi e tempi, fondamentale anche per la formazione dei tempi composti di tutti i verbi che vogliono avere come ausiliare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io ho
io avevo
io ebbi
tu hai
tu avevi
tu avesti
egli ha
egli aveva
egli ebbe
noi abbiamo
noi avevamo
noi avemmo
voi avete
voi avevate
voi aveste
essi hanno
essi avevano
essi ebbero
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io ho avuto
io avevo avuto
io ebbi avuto
tu hai avuto
tu avevi avuto
tu avesti avuto
egli ha avuto
egli aveva avuto
egli ebbe avuto
noi abbiamo avuto
noi avevamo avuto
noi avemmo avuto
voi avete avuto
voi avevate avuto
voi aveste avuto
essi hanno avuto
essi avevano avuto
essi ebbero avuto
futurosemplice
futuroanteriore
io avrò
io avrò avuto
tu avrai
tu avrai avuto
egli avrà
egli avrà avuto
noi avremo
noi avremo avuto
voi avrete
voi avrete avuto
essi avranno
essi avranno avuto
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io abbia
che io abbia avuto
che io avessi
che io avessi avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Condizionale
presente
passato
io avrei
io avrei avuto
tu avresti
tu avresti avuto
egli avrebbe
egli avrebbe avuto
noi avremmo
noi avremmo avuto
voi avreste
voi avreste avuto
essi avrebbero
essi avrebbero avuto
Imperativo
(io) …
(tu) abbi
(egli) abbia
(noi) abbiamo
(voi) abbiate
(essi) abbiano
Infinito presente: avere Infinito passato: avere avuto Gerundio presente: avendo Gerundio passato: avendo avuto Participo presente: avente Participio passato: avuto.
■ Perché il verbo
essere è un ausiliare? ■ Il verbo essere vive anche autonomamente
o si usa solo per i tempi composti? ■ “Sono stato” è una forma del verbo essere
o del verbo stare? ■ Come si coniuga il verbo essere? ■ Solo i verbi
intransitivi si appoggiano all’ausiliario essere? ■ Si dice è prevalso o ha
prevalso? ■ Si dice ha nevicato o è nevicato?
Il verbo essere (insieme al verbo avere) è definito ausiliare perché aiuta (dal latino auxiliaris = “che aiuta”) a comporre i tempi composti di altri verbi.
Però può vivere anche autonomamente con vari significati come esistere, stare(verbo da cui ha preso il participio passato: stato) e altri ancora. Per esempio:
● il cane è (= sta) sul divano; ● la bottiglia è (= è fatta di) di vetro; ● c’è (= esiste) una montagna davanti a noi…
Come verbo ausiliare si usa sempre nella forma passiva possibile solo con i verbi transitivi (la mela èmangiata da Biancaneve) e spesso, ma non sempre, è l’ausiliare di molti verbi intransitivi (quelli che non rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”), per esempio sono andato.
Talvolta, ci sono verbi che possono reggere entrambi gli ausiliari (sono vissuto e ho vissuto, ho corso per tutto il tempo e sono corso a casa, è prevalso e ha prevalso). I verbi che indicano fenomeni atmosferici, per esempio, hanno sempre la particolarità di possedere il doppio ausiliare, per cui è possibile dire è piovuto e ha piovuto, e lo stesso vale per nevicare, grandinare, tuonare, lampeggiare, albeggiare.
La coniugazione
Il verbo essere si può considerare come un verbo irregolare, perché nella sua coniugazione la radice non è sempre la stessa: ess-ere al presente diventa io sono e alla terza persona diventa è rafforzato con l’accento, e per di più nel participio passato diventa stato (si appoggia al verbo stare, dunque e le forme come “sono stato” coincidono). Di seguito la coniugazione in tutti suoi modi e tempi, fondamentale anche per la formazione dei tempi composti di tutti i verbi che vogliono essere come ausiliare.
Indicativo
presente
imperfetto
passato remoto
io sono
io ero
io fui
tu sei
tu eri
tu fosti
egli è
egli era
egli fu
noi siamo
noi eravamo
noi fummo
voi siete
voi eravate
voi foste
essi sono
essi erano
essi furono
passato prossimo
trapassato prossimo
trapassato remoto
io sono stato
io ero stato
io fui stato
tu sei stato
tu eri stato
tu fosti stato
egli è stato
egli era stato
egli fu stato
noi siamo stati
noi eravamo stati
noi fummo stati
voi siete stati
voi eravate stati
voi foste stati
essi sono stati
essi erano stati
essi furono stati
futuro semplice
futuro anteriore
io sarò
io sarò stato
tu sarai
tu sarai stato
egli sarà
egli sarà stato
noi saremo
noi saremo stati
voi sarete
voi sarete stati
essi saranno
essi saranno stati
Congiuntivo
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io sia
che io sia stato
che io fossi
che io fossi stato
che tu sia
che tu sia stato
che tu fossi
che tu fossi stato
che egli sia
che egli sia stato
che egli fosse
che egli fosse stato
che noi siamo
che noi siamo stati
che noi fossimo
che noi fossimo stati
che voi siate
che voi siate stati
che voi foste
che voi foste stati
che essi siano
che essi siano stati
che essi fossero
che essi fossero
stati
Condizionale
presente
passato
io sarei
io sarei stato
tu saresti
tu saresti stato
egli sarebbe
egli sarebbe stato
noi saremmo
noi saremmo stati
voi sareste
voi sareste stati
essi sarebbero
essi sarebbero stati
Imperativo
Imperativo
(io) …
(tu) sii
(egli) sia
(noi) siamo
(voi) siate
(essi) siano
Infinito presente: essere Infinito passato: essere stato Gerundio presente: essendo Gerundio passato: essendo stato Participo presente: essente/ente (disusati) Participio passato: stato.
■ Cos’è il modo imperativo? ■ Come si coniuga l’imperativo? ■ Perché non c’è la prima persona del modo imperativo? ■ Si può usare l’indicativo futuro al posto dell’imperativo? ■ Che differenza c’è tra “vada” congiuntivo e “vada” imperativo? ■ Nelle frasi negative si può usare l’infinito al posto dell’imperativo (es. non fare!)? ■ Nei verbi come andare, fare, stare, dare e dire l’imperativo si scrive con l’apostrofo (da’, fa’, sta’…)? ■ Perché nei composti di dire si dice per esempio benediceva, ma all’imperativo diventa “benedici” invece di “benedi’”? ■ Quali sono esempi di frasi con l’imperativo?
Il modoimperativo si usa per esprimere ordini o per esortare (seguimi!), e ha solo un tempo: il presente (avrebbe poco senso impartire degli ordini che riguardano il passato).
Poiché un comando può riguardare non solo un’azione immediata (alzati subito) ma può riferirsi a qualcosa che si dovrà svolgere in futuro (parti domani!), è possibile utilizzare con lo stesso valore anche l’indicativo futuro (partiraidomani! che si può alternare a parti domani!).
La coniugazione dell’imperativo presenta alcune anomalie. Per prima cosa non possiede la prima persona singolare: ha poco senso anche ordinare qualcosa a sé stessi e quando lo si fa di solito si usa la seconda persona, es.: “Corri! Ripeteva a sé stesso” (dunque ci si può esortare da soli dicendo: mangia!, ma non: “mangio!”). Negli ordini rivolti alla prima persona plurale (noi) e anche alla terza persona singolare e plurale (egli, essi) coincide con il congiuntivo presente: partiamo! (noi); esca! (egli); vadano (essi).
Infine, per esprimere un comando al negativo, nella seconda persona singolare (tu) l’imperativo si forma usando non seguito dal verbo all’infinito: non mangiare! (tu).
Nella tabella che segue: la coniugazione dell’imperativo degli ausiliari essere e avere e il paradigma dei verbi regolari in –are, –ere e –ire.
essere
avere
amare
temere
servire
(io) …
(io) …
(io) …
(io) …
(io) …
(tu) sii
(tu) abbi
(tu) am-a
(tu) tem-i
(tu) serv-i
(egli) sia
(egli) abbia
(egli) am-i
(egli) tem-a
(egli) serv-a
(noi) siamo
(noi) abbiano
(noi) am-iamo
(noi) tem-iamo
(noi) serv-iamo
(voi) siate
(voi) abbiate
(voi) am-ate
(voi) tem-ete
(voi) serv-ite
(essi) siano
(essi) abbiano
(essi) am-ino
(essi) tem-ano
(essi) serv-ano
Nel caso dei verbi come andare,dare, fare e stare la seconda persona dell’imperativo è di solito tronca (cade la i finale) e dunque si scrive con l’apostrofova’, da’ (ma circola anche dà), fa’ esta’ (e non vai, fai, stai, mentre dai è diventato un’intercalare esortativo quando si dà del tu):
esempio: va’ di là, fa’ presto, da’ qui, sta’ fermo.
Anche l’imperativo di dire è tronco: di’, ma mentre i suoi composti seguono sempre la coniugazione del verbo progenitore (e benediceva è la forma più corretta rispetto a benediva, perché segue il modello “diceva”) l’unica eccezione è che all’imperativo non vale, e nel caso di benedire si dice benedici senza troncamento (e non benedi’), così come si dice: contraddici, disdici, maledici, predici, ridici…
■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -are? ■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -ere? ■ Come si coniuga il condizionale dei verbi regolari in -ire? ■ Come si coniugano gli ausiliari essere e avere al condizionale? ■ Come si coniuga la forma passiva del condizionale dei verbi regolari? ■ Quanti sono i tempi del condizionale? ■ Come cambia la vocale tematica dei verbi regolari in -are al condizionale?
La coniugazione del condizionale ha solo due tempi:
● il presente (tempo semplice) ● e il passato (tempo composto dall’ausiliare essere/avere + il participio passato).
Per stabilire se un verbo vuole come ausiliare essere o avere bisogna sapere che tutti i verbi transitivi(quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) si appoggiano all’ausiliare avere, mentre per i verbi intransitivi non c’è una regola fissa (andare, per es., si appoggia a essere: sarei andato, ma litigare vuole avere: avrei litigato) e dunque, in caso di dubbi non resta che consultare un dizionario.
Va poi ricordato che nel caso dell’ausiliare essere il participio si concorda nel numero e nel genere (per cui io sarei stato diventa noi saremmo statial plurale, io sarei statae noi saremmo statenel femminile), mentre con il verbo avere rimane invariato (noi avremmo avuto).
Il condizionale di esseree avere
presente
passato
presente
passato
io sarei
io sarei stato
io avrei
io avrei avuto
tu saresti
tu saresti stato
tu avresti
tu avresti avuto
egli sarebbe
egli sarebbe stato
egli avrebbe
egli avrebbe avuto
noi saremmo
noi saremmo stati
noi avremmo
noi avremmo avuto
voi sareste
voi sareste stati
voi avreste
voi avreste avuto
essi sarebbero
essi sarebbero stati
essi avrebbero
essi avrebbero avuto
I verbi regolari in –are
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –are (sul modello di lodare) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di lodare
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io lod-erei
io avrei lodato
io sarei lodato
io sarei stato lodato
tu lod-eresti
tu avresti lodato
tu saresti lodato
tu saresti stato lodato
egli lod-erebbe
egli avrebbe lodato
egli sarebbe lodato
egli sarebbe stato lodato
noi lod-eremmo
noi avremmo lodato
noi saremmo lodati
noi saremmo stati lodati
voi lod-ereste
voi avreste lodato
voi sareste lodati
voi sareste stati lodati
essi lod-erebbero
essi avrebbero lodato
essi sarebbero lodati
essi sarebbero stati lodati
Come si può notare, nella coniugazione del
condizionale dei verbi in –are la
vocale tematica dell’infinito a si trasforma in e:
lod-a-re, am-a-re
e parl-a-re si trasformano in lod-e-rei, am-e-rei, parl-e-rei
e così via (lod-e-resti, am-e-resti e parl-e-resti) senza
particolari difficoltà.
Le uniche particolarità che vale la pena precisare sono che:
● i verbi che terminano in –ciare e –giare al condizionale mantengono il suono dolce, ma perdono la i, quindi: comin-ciare oman-giare si trasformano in comin-cerei e man-gerei (e non comincierei e mangierei), comin-ceresti, man-geresti e così via; ● i verbi che terminano in –care e –gare, invece, per mantenere il suono duro, al condizionale prendono la h: gio-care o pa-gare si trasformano in gio-cherei e pa-gherei (e non gio-cerei e pa-gerei), gio-cheresti, pa-gheresti e così via.
I verbi regolari in –ere
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –ere (sul modello di temere) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di temere
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io tem-erei
io avrei temuto
io sarei temuto
io sarei stato temuto
tu tem-eresti
tu avresti temuto
tu saresti temuto
tu saresti stato temuto
egli tem-erebbe
egli avrebbe temuto
egli sarebbe temuto
egli sarebbe stato temuto
noi tem-eremmo
noi avremmo temuto
noi saremmo temuti
noi saremmo stati temuti
voi tem-ereste
voi avreste temuto
voi sareste temuti
voi sareste stati temuti
essi tem-erebbero
essi avrebbero temuto
essi sarebbero temuti
essi sarebbero stati temuti
In sintesi, i
verbi che terminano in –ere nella coniugazione al
condizionale mantengono la vocale tematica e: corr-e-re si trasforma
in corr-e-rei, corr-e-resti e così via.
I verbi regolari in –ire
Nella tabella seguente è possibile vedere come si coniugano i verbi regolari che terminano in –ire (sul modello di sentire) nella forma attiva e passiva (quest’ultima è possibile solo per i verbi transitivi, quelli intransitivi hanno solo la forma attiva).
Il condizionale di sentire
presenteattivo
passatoattivo
presente (al passivo)
passato (al passivo)
io sent-irei
io avrei sentito
io sarei sentito
io sarei stato sentito
tu sent-iresti
tu avresti sentito
tu saresti sentito
tu saresti stato sentito
egli sent-irebbe
egli avrebbe sentito
egli sarebbe sentito
egli sarebbe stato sentito
noi sent-iremmo
noi avremmo sentito
noi saremmo sentiti
noi saremmo stati sentiti
voi sent-ireste
voi avreste sentito
voi sareste sentiti
voi sareste stati sentiti
essi sent-irebbero
essi avrebbero sentito
essi sarebbero sentiti
essi sarebbero stati sentiti
Riassumendo, i verbi che terminano in –ire nella coniugazione al condizionale mantengono la vocale tematica i: sal-i-re e fin-i-re si trasformano in sal-i-rei, sal-i-resti, fin-i-rei, fin-i-resti e così via.
■ In che cosa è irregolare il congiuntivo di andare, dare, fare e stare? ■ Come cambia la radice tematica di dare
e stare nel congiuntivo? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si coniugano come i verbi
progenitori? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si
coniugano come i verbi progenitori? ■ Come si coniugano al congiuntivo andare,
dare, fare e stare?
Il congiuntivo presente dei verbi regolari in –are si forma con la vocale tematica “i” (lod-are → che iolod-i), mentre verbi in –ere e –ire prendono la vocale tematica “a”: temere → che io tem-a e non temi e servire → che io serv-a e non servi.
Però: i verbi andare, dare, fare e stare, sono irregolari, e si comportano come se fossero verbi –ere/ire, cioè sono eccezioni che vogliono la vocale tematica –a (e mai la –i!): che io vada, dia, faccia e stia.
Inoltre, al congiuntivo imperfetto, dare e stare cambiano la vocale tematica che da a si trasforma in e: che iodessi e stessi.
Queste sono le irregolartà da ricordare, insieme a un’altra precisazione importante.
I composti di dare e stare non si comportano come il verbo progenitore, e diventano regolari:
● circondare, restare o estradare diventano che io circondi, che io resti, che io estradi e che io circondassi/restassi/estradassi (e non circondessi, restessi ed estradessi); ● nel caso di prestare si dice che io presti e che io prestassi (e non prestia o prestessi) e lo stesso vale per restare, contrastare o sovrastare.
I composti di fare, al contrario, si coniugano come il verbo progenitore per cui si dice: ● che io disfaccia e disfacessi ● che io soddisfaccia e soddisfacessi
anche se le forme disfi, disfassi, soddisfi e soddisfassi si sono ormai affermate, ma non sono eleganti, ed è meglio evitarle. A parte questi casi, per tutti gli altri composti questi distaccamenti dal paradigma del verbo originario non sono tollerabili, per cui si dice:
● assuefaccia e assuefacessi ● contraffaccia e contraffacessi ● liquefaccia e liquefacessi ● rifaccia e rifacessi ● sopraffaccia e sopraffacessi.
Di seguito le tabelle con le coniugazioni di tutte le forme.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ire? ■ Perché i verbi come finire o pulire al congiuntivo fanno che io finisca e pulisca (con ISC), mentre servire fa che io serva? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ire?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ire, sul modello di servire.
Attenzione: molti verbi che terminano in –ire nella loro coniugazione non si comportano esattamente come servire, ma inseriscono l’infisso -isc- tra la radice e la desinenza di alcune persone.
Questa particolarità non riguarda solo il congiuntivo, ma anche l’indicativo, dunque finireo pulire si trasformano in finisco e pulisco e al congiuntivo analogamente la desinenza regolare va aggiunta a questo cambiamento della radice: che io (tu, egli)finiscae che io pulisca (si perde invece nel caso di noi puliamo e voi pulite che al conguntivo diventano che noi puliamo e che voi puliate, e ritorna nella terza persona plurale: che essi puliscano).
Congiuntivo di servire
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io serv-a
che io abbia servito
che io serv-issi
che io avessi servito
che tu serv-a
che tu abbia servito
che tu serv-issi
che tu avessi servito
che egli serv-a
che egli abbia servito
che egli serv-isse
che egli avesse servito
che noi serv-iamo
che noi abbiamo servito
che noi serv-issimo
che noi avessimo servito
che voi serv-iate
che voi abbiate servito
che voi serv-iste
che voi aveste servito
che essi serv-ano
che essi abbiano servito
che essi serv-issero
che essi avessero servito
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ere? ■ Perché i verbi come vincere o scorgere al congiuntivo fanno che voi vinciate (con la C dolce), ma che io vinca (con la C dura)? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ere?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ere, sul modello di temere.
Attenzione: le uniche eccezioni si hanno con i verbi che terminano in –cere, –gere e –scere che mantengono il suono dolce davanti a e e i, che diventa invece duro davanti ad a, o e u: vincere diventa dunque che io vinc-a e che noi vinc-iamo.
Congiuntivo di temere
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io tem-a
che io abbia temuto
che io tem-essi
che io avessi temuto
che tu tem-a
che tu abbia temuto
che tu tem-essi
che tu avessi temuto
che egli tem-a
che egli abbia temuto
che egli tem-esse
che egli avesse temuto
che noi tem-iamo
che noi abbiamo temuto
che noi tem-essimo
che noi avessimo temuto
che voi tem-iate
che voi abbiate temuto
che voi tem-este
che voi aveste temuto
che essi tem-ano
che essi abbiano temuto
che essi tem-essero
che essi avessero temuto
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -are? ■ I verbi con il GN, come sognare, al congiuntivo fanno che voi sogniate (con la i) o che voi sognate? ■ I verbi in -iare, come mangiare, al congiuntivo fanno che io mangii o che io mangi? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -are?
I verbi che terminano in –are sono quasi tutti regolari, e a parte andare, dare, fare e stare (per es. si dice faccia e non “facci“) seguono tutti questo paradigma.
Gli unici dubbi che si possono segnalare sui verbi regolari in –are, riguardano i casi in cui è in gioco la lettera i.
Pregare e recare, per esempio, le cui radici sono preg- e rec-, hanno un suono duro, e per mantenerlo, quando incontrano la desinenza che inizia con la lettera i, necessitano dell’aggiunta della h dopo la c e la g, dunque si dice che iopreghi e che iorechi (e non pregi e reci).
Analogamente, i verbi che hanno una i prima della desinenza –are, come mangi-are, lanci-are o strisci-are, hanno invece il problema della doppia i, per cui, per ragioni eufoniche, la doppia i di che iomangi-i si contrae in una sola: che io mangi (lanci e strisci).
I verbi in –gnare, inoltre, quando incontrano la i delle forme -iamo e -iate del congiuntivo, la conservano anche se il digramma gn di solito non la richiederebbe (vedi → “Le regole per combinare le lettere nella formazione delle parole“), dunque si scrive: che noi sogniamo e che voi sogniate, perché la i fa parte della desinenza del congiuntivo.
Di seguito la coniugazione del verbo amare, scelto come paradigma dei verbi regolare in –are.
Ha come ausiliare il verbo avere, ma se dovete coniugare un verbo che regge l’ausiliare essere la sola differenza è di usarlo correttamente nei tempi composti: crollare, per esempio diventerà: che io sia/fossi crollato.
Congiuntivo di amare
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io am-i
che io abbia amato
che io am-assi
che io avessi amato
che tu am-i
che tu abbia amato
che tu am-assi
che tu avessi amato
che egli am-i
che egli abbia amato
che egli am-asse
che egli avesse amato
che noi am-iamo
che noi abbiamo amato
che noi am-assimo
che noi avessimo amato
che voi am-iate
che voi abbiate amato
che voi am-aste
che voi aveste amato
che essi am-ino
che essi abbiano amato
che essi am-assero
che essi avessero amato
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga l’ausiliare avere al congiuntivo? ■ Come si coniuga l’ausiliare essere al congiuntivo? ■ Perché si dice “noi siamo stati” (concordato al plurale) ma “noi abbiamo mangiato” (non concordato)?
Gli ausiliari essere e avere sono fondamentali perché, nei tempi presente e imperfetto, servono per formare i tempi composti di tutti gli altri verbi, uniti al participio passato.
Per capire se un verbo si appoggi a essere o avere, bisogna sapere che avere è l’ausiliare di tutti i verbi transitivi (quelli che reggono il complemento oggetto e dunque rispondono alle domande: “Chi?” “Che cosa?”). Un verbo come fare, perciò (si può fare qualcosa) richiede l’ausiliare avere: io ho fatto, che io abbia fatto.
Per i verbi intransitivi, invece, non c’è una regola per sapere a quale ausiliare si appoggiano: andare (non è transitivo e non si può “andare qualcosa o qualcuno”) si appoggia a essere: sono andato, che io sia andato, ma litigare (non si può “litigare qualcuno” ma si litiga con qualcuno) si appoggia ad avere: ho litigato, che io abbia litigato. In caso di dubbi, perciò, se non si sa a quale ausiliare si appoggia un verbo non resta che consultare il dizionario, che riporta queste informazioni.
Ecco come si coniugano i quattro tempi del congiuntivo del verbo essere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io sia
che io sia stato
che io fossi
che io fossi stato
che tu sia
che tu sia stato
che tu fossi
che tu fossi stato
che egli sia
che egli sia stato
che egli fosse
che egli fosse stato
che noi siamo
che noi siamo stati
che noi fossimo
che noi fossimo stati
che voi siate
che voi siate stati
che voi foste
che voi foste stati
che essi siano
che essi siano stati
che essi fossero
che essi fossero stati
Di seguito la coniugazione del congiuntivo del verbo avere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io abbia
che io abbia avuto
che io avessi
che io avessi avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Attenzione: nel caso del verbo avere, il participio passato dei tempi composti rimane sempre invariato (per esempio: io ho avuto e noi abbiamoavuto). Invece, quando l’ausiliare è essere il participio si concorda sempre nel numero e nel genere (io sono stato, noi siamo stati, esse sono state…).
■ Cosa sono i tempi dei verbi? ■ Quali sono i rapporti possibili tra il momento in cui si scrive e parla e quelli dell’azione espressa da un verbo? ■ Cos’è la correlazione dei tempi? ■ Che differenza c’è tra i tempi semplici e quelli composti dei verbi? ■ Quali sono i tempi dei verbi?
I verbi non esprimono solo il modo dell’azione, ne indicano anche il tempo.
Il tempo dei verbi serve a specificare quando sta avvenendo una certa azione: nel presente, nel passato o nel futuro.
Per essere più precisi: i tempi esprimono il rapporto tra il momento in cui si svolge l’azione e quello in cui si scrive o si parla.
Può essere un rapporto di:
● contemporaneità (nel presente): io mangio (= adesso: nel momento in cui scrivo/parlo sto mangiando); ● di anteriorità (passato): io ho mangiato (= prima: nel momento in cui scrivo/parlo ho già finito); ● di posteriorità (futuro): io mangerò (= tra un po’: nel momento in cui scrivo non è ancora successo).
Questi rapporti possono avvenire non solo nel presente, ma anche nel passato o nel futuro, e possono riguardare due frasi in correlazione tra loro, per esempio:
● ieri ho mangiato mentre andavoa casa (contemporaneità nel passato); ● ieri ho mangiato quel che avevo preparato il giorno prima (anteriorità nel passato); ● ieri ho mangiato la stessa cosa che mangio anche adesso (posteriorità rispetto al passato).
O ancora:
● adesso mangioquel che mangeròanche domani (posteriorità rispetto al presente).
Questi esempi fanno meglio comprendere la correlazione dei tempi, cioè il rapporto temporale tra due azioni (o due frasi) che può avere tante combinazioni. Esistono infatti diversi “gradi” di passato e di futuro, che possono essere più o meno recenti o prossimi rispetto al momento in cui si parla.
Nel caso del modo indicativo, per esempio, ci sono due gradi futuro (mangerò e avrò mangiato, dunque si possono esprimere due futuri, uno più vicino e uno più lontano: mangerò dopo che sarò tornato: anteriorità nel futuro). E poi ci sono tanti gradi di passato (mangiai, mangiavo, ho mangiato, avevo mangiato ed ebbi mangiato). Ciò vale anche per il caso degli altri modi, anche se in alcuni casi i tempi sono molto meno: nel congiuntivo posso dire “se avessi mangiato”, e “che abbia mangiato”, nel condizionale c’è solo avrei mangiati, e così via per ogni modo.
In queste forme di coniugazione, la cosa più importante è comprendere che ci sono le forme semplici, che si esprimono con una parola sola (mangiai, mangiavo) e quelle composte (ho mangiato, avevo mangiato, ebbi mangiato) che si formano con il verbo ausiliario (essere o avere a seconda dei verbi) + il participio passato.
Dopo queste premesse generali che riassumono le regole a grandi linee, ecco un riepilogo di come i tempi si combinano con i modi.
L’indicativo possiede: ● il presente (amo); ● i tempi passati semplici imperfetto (amavo) e passatoremoto (amai) + i tempi composti passato prossimo (ho amato), trapassato prossimo (avevo amato) e trapassato remoto (ebbi amato); ● il futuro semplice (amerò) e il futuro anteriore che è composto (avrò amato).
Il congiuntivo possiede: ● il presente (che io ami); ● l’ imperfetto, tempo semplice (che io amassi), e i tempi composti passato (che io abbia amato) e trapassato (che io avessi amato).
Il condizionalepossiede: ● il presente (amerei); ● il passato che è composto (avrei amato).
■ Quali sono i monosillabi che vogliono l’accento?
■ Che differenza c’è tra “te” e “tè”? ■ Che differenza c’è tra “di” e “dì”? ■ Che differenza c’è tra “ne”
e “né”? ■ Che differenza c’è tra “da” e “dà”? ■ Che differenza c’è tra “si” e “sì”? ■ Che differenza c’è tra “se”
e “sé”?
In linea di massima, nei monosilabi l’accento grafico non si mette: avendo una sola sillaba è chiaro dove l’accento va a cadere, sull’unica vocale esistente.
Tuttavia, si usa per distinguere tra loro monosillabi omofoni (dallo stesso suono) ma con diverso significato, e bisogna perciò fare attenzione in questi casi, quando si scrive.
Di seguito un elenco di questi monosillabi che cambiano significato a seconda dell’accento, ed è importante anche fare atenzione agli accenti acuti per esempio di né e sé da quelli gravi che distinguono il pronome tedal tè che si beve (come il caffè).
■ Si dice appèndice o appendìce? ■ Si dice amàca o àmaca? ■ Si dice pùdico o pudìco? ■ Si dice ìinfido o infìdo? ■ Si dice mòllica o mollìca? ■ Si dice utènsileo utensìle? ■ Si dice èdile o edìle? ■ Si dice Sàlgari o Salgàri? ■ Si dice facòcero o facocéro? ■ Si dice io vàluto o valùto? ■ Si dice sàlubre o salùbre? ■ Si dice cùculo o cucùlo? ■ Si dice persuadére o presuàdere? ■ Si dice tèrmite o termìte? ■ Si dice cosmopolìta o cosmopòlita?
Ci sono molte parole che presentano frequentemente dubbi di pronuncia, e spesso vengono dette usando un accento tonico errato.
Di seguito un elenco di quelle più “spinose” che bisognerebbe conoscere, anche se per alcune i dizionari ormai riportano anche la pronuncia meno corretta proprio perché viene travisata così di frequente che tende a diventare quasi la norma.
● amàca (non àmaca); ● appendìce (non appèndice); ● bocciòlo (non bòcciolo); ● codardìa (non codàrdia); ● cosmopolìta (non cosmopòlita); ● cucùlo (non cùculo); ● edìle (non èdile); ● facocèro (e non facòcero); ● gòmena (non gomèna); ● guaìna (non guàina); ● gratùito (non gratuìto); ● infìdo (non ìnfido); ● incàvo (non ìncavo sul modello di còncavo); ● ìnternet (non internèt); ● isòtopo (non isotòpo); ● leccornìa (non leccornia); ● libìdo (non lìbido); ● mollìca (non mòllica); ● ossìmoro, ma anche ossimòro; ● persuadére (non persuàdere); ● pudìco (non pùdico); ● robòt (o ròbot, ma non robò alla francese: è un termine diffuso da un romanzo dello scrittore ceco K. Capek, 1890-1938); ● rubrìca (non rùbrica); ● salùbre (non sàlubre); ● Salgàri (e non Emilio Sàlgari); ● scandinàvo (meglio di scandìnavo, accettabile, ma meno corretto); ● scòrbuto ma anche scorbùto; ● seròtino (non serotìno); ● sìlice (non silìce sul calco di silìcio); ● tèrmite (più corretto di termìte); ● ùpupa (non upùpa); ● utensìle, meglio di utènsile anche se varia a seconda del contesto: se usato come aggettivo è accettabile utènsile (una macchina utensile); se è sostantivo si pronuncia utensìle (l’utensile del calzolaio); ● (io) valùto, (tu) valùti, (egli) valùta (più corretto e preferibile e alla forma vàluto, che però è ormai accettata ed entrata in uso); ● zaffìro (è più diffuso e preferibile a zàffiro, con la pronuncia alla greca).
■ Che differenza c’è tra nòcciolo e nocciòlo? ■ Si dice egli viòla o egli vìola? ■ Si dice ìmpari o impàri? ■ Che differenza c’è tra bàlia e balìa? ■ Che differenza c’è tra nèttare e nettàre?
Alcune parole cambiano significato a seconda di come si pronunciano, per esempio nel caso della dizione della “e” aperta o chiusa, oppure della “o”.
Queste sfumature riguardano però la corretta dizione dell’italiano nazionale, ma l’italiano vivo regionale si può distaccare da questi modelli che invece utilizzano per esempio gli attori.
Ci sono invece altri casi in cui la pronuncia riguarda non una singla lettera, ma l’intera parola e lo spostamento dell’accento tonico da una sillaba all’altra, cambia il significato in un modo che deve essere rispettato da tutti, non è più una questione di dizione, ma di lessico italiano.
Non sono omonimi(parole dallo stesso nome), si tratta di omografi (si scrivono allo stesso modo), ma non sono omofoni (dallo stesso suono) perché possiedono un diverso accento tonico che, anche se non si scrive, è obbligatorio pronunciare nel modo corretto.
Tra queste parole ci sono per esempio:
àltero (modifico)
altèro (superbo)
àmbito (cerchia)
ambìto (desiderato)
bàlia (che allatta)
essere in balìa (di qualcuno)
càpitano (da capitare)
capitàno (comandante)
circùito (elettrico)
circuìto (da circuire)
dècade (dieci giorni)
egli decàde (da decadere)
ìmpari (disuguale)
tu impàri (da imparare)
lèggere (verbo)
leggére (non pesanti)
nèttare (degli dei)
nettàre (pulire)
nòcciolo (del discorso)
nocciòlo (l’albero)
io prèdico (da predicare)
io predìco (da predire)
rètina (dell’occhio)
retìna (piccola rete)
che essi rùbino (da rubare)
rubìno (pietra preziosa)
sèguito (scorta)
seguìto (da seguire)
tèndine (del muscolo)
tendìne (piccole tende)
egli vìola (da violare)
viòla (fiore)
Questi accenti tonici si pronunciano ma non si scrivono! Per saperne di più → “Gli accenti grafici“.
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