■ Si può usare il doppio
imperfetto per i periodi ipotetici? ■ Si può dire “se lo sapevo andavo”? ■ Meglio dire “se me lo dicevi” o “se me ‘avessi detto”?
● se non annaffi i fiori → muoiono (ma se si vuole sottolineare la possibilità si può anche dire se non annaffiassi i fiori morirebbero).
Se però la stessa frase si volge al passato non è più un periodo ipotetico della realtà: una cosa già avvenuta non si può modificare, dunque diventa un’ipotesi dell’irrealtà che si esprime necessariamente (non è più una scelta) con il condizionale più il congiuntivo:
● se non avessi innaffiato i fiori sarebbero morti (cosa impossibile dato che li hai annaffiati).
Tuttavia questo costrutto è spesso sostituito con la forma piuttosto diffusa nel parlato del doppio imperfetto:
● se non bagnavi i fiori morivano.
Questo costrutto non è propriamente corretto né elegante, tuttavia è molto diffuso al punto che nei registri popolari o nel parlato familiare è ormai ammissibile, il che non vale per i registri formali o per la scrittura di testi ufficiali.
Dunque le espressioni come “se lo sapevo non venivo” o “se me lo dicevi prima ti operavo io” (Enzo Jannacci), possono essere colloquiali e colorite per rendere l’italiano parlato, ma da evitare nei registri alti.
■ Nelle formule di cortesia, quando gli interlocutori sono più di uno, è meglio dare del voi o del loro? ■ Che differenza c’è tra le forme di cortesia con lei e con voi? ■ Che cos’è il plurale maiestatis? ■ Che cos’è il plurale di modestia? ■ Perché il medico si rivolge talvolta al paziente chiedendo “come andiamo”?
Dare del lei (terza persona singolare) seguito da congiuntivo (vedi anche “Il congiuntivo nelle frasi autonome“) si usa nelle formule di cortesia, cioè quando ci si rivolge a qualcuno a cui non si dà del tu, in modo formale, e vale anche per gli uomini, al maschile: lei è furbo (terza persona singolare).
Al plurale si dovrebbe perciò usare di conseguenza la terza persona plurale: loro (loro sono furbi).
Se invece si dà del tu all’interlocutore (un tono meno formale e più intimo), il plurale mantiene coerentemente la seconda persona del voi: tu sei furbo → voi siete furbi.
Tuttavia, dare del loro è oggi diventato più raro, è percepito forse come eccessivamente formale, ma va precisato che dare del voi in tono formale è una formula di cortesia solo apparente, che si ritrova anche in formule legali o commerciali come “vogliate provvedere” e simili al posto di “vogliano provvedere”.
Questa mancata differenza che si riscontra sempre più spesso deriva dalla confusione con il voi usato come formula di cortesia che ha però un uso completamente diverso. In passato, e ancora oggi in contesti regionali tipici per esempio del Sud Italia, si usa il voi riferito a una persona sola (e invariato se sono più di una) anche per i contesti formali (come siete furbo, signore), ma oggi questa consuetudine non è in uso, e fuori dai contesti regionali, nell’italiano standard è consigliabile evitarla.
Un’ultima nota sui pronomi delle formule formali: esiste anche il plurale di maestà (maiestatis) usato un tempo per esempio dai re, che prevede il noi al posto di io, oppure quello di modestia, usato per esempio nella scrittura (es. “possiamo concludere che” al posto di “concludo”, ma altre volte si può dare del voi al lettore o usare formule impersonali). Quando invece un medico chiede al paziente: “Come andiamo?” usa una formula “affettiva” come se condividesse le sofferenze del malato e ne fosse partecipe.
■ Perché si dice “voglio che sia” ma “vorrei che fosse”? ■ Si può dire “desidererei che sia”? ■ Meglio dire “mi piacerebbe che sia”
o “mi piacerebbe che fosse”?
Quando si usa il congiuntivo, per esprimere la contemporaneità nel presente con la principale si usa di solito il congiuntivo presente, per esempio:
● immagino che tu sappia ● voglio che sia.
Ma quando nella principale c’è un condizionale (e non un indicativo) di un verbo di volontà o desiderio, per esprimere la contemporaneità nel presente non si usa il congiuntivo presente, ma il congiuntivo imperfetto.
Dunque si dice:
vorrei che tu fossi
e non:
vorrei che tu sia.
Riassumendo: si dice voglio che sia, ma vorrei che fosse, come cantava Mina.
■ Perché si dice “so che è” ma “non so se sia””? ■ Perché si dice “sono sicuro che è” ma “non sono sicuro che sia”? ■ Meglio dire “non ti ho raccontato perché ha fatto tardi” o “non ti ho raccontato perché abbia fatto tardi”?
L’indicativo si usa per esprimere certezze e il congiuntivo è invece più adatto per esprimere il mondo della possibilità, dunque davanti a verbi come dire, affermare, constatare, dichiarare, vedere, sentire, accorgersi, scoprire, spiegare… seguiti da che si usa sempre l’indicativo:
● ho visto e sentito che Marco ha fatto un tuffo ●ti ho detto che ho preso il tram ●si è accorto che era in ritardo…
Tuttavia, in alcuni casi, si può usare il congiuntivo in presenza di una negazione che cambia le cose, per esempio:
so che ha (e mai abbia) un vestito
nuovo
al negativo si può esprimere preferibilmente con:
non sose abbia un vestito nuovo (è più corretto ed elegante di non so se ha un vestito nuovo).
In questo costrutto il che si trasforma in se, e il verbo sapere, al negativo, perde la sua oggettività e si trasforma in un verbo che esprime un’incertezza. Lo stesso vale per un’espressione come:
sono sicuro che ti sei sbagliato
che al negativo si può rendere meglio con:
non sono sicuroche ti sia sbagliato.
Ciò non vale solo per le frasi introdotte da che, ma anche da altre congiunzioni, per esempio:
●ti ho raccontato perché ho deciso di non andare al lavoro ●non ti ho raccontato perché avessi deciso/hodeciso di non andare al lavoro.
La scelta del congiuntivo in questi casi non è obbligatoria, ma più elegante.
■ Si dice “penso che è” o “penso che sia”? ■ Quando si usa il congiuntivo e quando l’indicativo? ■ Perché si dice “ho notato che è”
ma “dubito che sia? ■ Perché si dice “sono partito dopo che è arrivato” ma “sono partito prima che arrivasse? ■ Perché si dice “mi tira la palla perché sono vicino” ma “mi tira la palla perché
io faccia canestro?
Si può dire in tutti e due i modi. E poiché il congiuntivo è soprattutto il modo verbale indicato per l’incertezza, la possibilità e l’impossibilità, la prima frase esprime un dubbio (lascia intendere che potrei sbagliarmi e che potrebbe non essere così), mentre la seconda è perentoria e lascia intendere che è di scuro così come penso (penso = è vero, è senza dubbio così).
Per fugare un po’ di dubbi e incertezze su quando usare il congiuntivo e quando usare l’indicativo si possono prendere in considerazione le seguenti frasi:
ho notato → chesei furbo
dubito → che tu sia furbo
mangia → quando ha fame
mangia → primachepassi la fame
mi tira la palla → perché vuole giocare
mi tira → la palla perché io faccia gol
Anche se la struttura di queste frasi è molto simile, negli esempi a sinistra le frasi dipendenti dalla principale (quelle dopo la freccia) sono espresse obbligatoriamente con il modo indicativo, negli altri tre di destra è invece obbligatorio l’uso del congiuntivo.
La scelta del modo corretto a seconda dei casi, semplificando, dipende da almeno tre fattori:
● dal tipo di verbo della reggente che può esprimere oggettività o certezza (indicativo), oppure dubbio, possibilità o convinzione soggettiva (congiuntivo); ● daltipo di frase dipendente (causale, temporale, finale…); ● dallecongiunzioni che legano la dipendente con la principale (quando, perché…).
Poiché l’indicativo è il modo della certezza e dell’oggettività, e il congiuntivo della possibilità, dell’impossibilità e della soggettività (volontà, desiderio, sentimenti personali), si dice:
ho notato chesei bravo, ma dubito che tu sia bravo.
Anche il tipo di frase dipendente aiuta a capire quale modo usare, e le frasi temporali (quelle che rispondono alla domanda: “Quando?”) di solito vogliono l’indicativo (parti quando sei pronto) a meno che non siano introdotte dall’espressione “prima che” che vuole obbligatoriamente il congiuntivo: parto (quando?)primachesia tardi (dunque: “Sono partito dopo che è arrivato” ma “sono partito prima che arrivasse).
Nell’ultimo esempio del nostro elenco, infine, la scelta di indicativo o congiuntivo dipende dal significato di perché: nel primo caso esprime una causa e introduce una frase dipendente causale (mi tira la palla → perché vuole giocare) che vuole l’indicativo; nel secondo caso è sostituibile da affinché (= allo scopo di, al fine di) ed esprime una dipendente finale che vuole il congiuntivo: mi tira la palla → perché(= affinché) io faccia canestro.
■ In che cosa è irregolare il congiuntivo di andare, dare, fare e stare? ■ Come cambia la radice tematica di dare
e stare nel congiuntivo? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si coniugano come i verbi
progenitori? ■ I composti di dare e stare al congiuntivo si
coniugano come i verbi progenitori? ■ Come si coniugano al congiuntivo andare,
dare, fare e stare?
Il congiuntivo presente dei verbi regolari in –are si forma con la vocale tematica “i” (lod-are → che iolod-i), mentre verbi in –ere e –ire prendono la vocale tematica “a”: temere → che io tem-a e non temi e servire → che io serv-a e non servi.
Però: i verbi andare, dare, fare e stare, sono irregolari, e si comportano come se fossero verbi –ere/ire, cioè sono eccezioni che vogliono la vocale tematica –a (e mai la –i!): che io vada, dia, faccia e stia.
Inoltre, al congiuntivo imperfetto, dare e stare cambiano la vocale tematica che da a si trasforma in e: che iodessi e stessi.
Queste sono le irregolartà da ricordare, insieme a un’altra precisazione importante.
I composti di dare e stare non si comportano come il verbo progenitore, e diventano regolari:
● circondare, restare o estradare diventano che io circondi, che io resti, che io estradi e che io circondassi/restassi/estradassi (e non circondessi, restessi ed estradessi); ● nel caso di prestare si dice che io presti e che io prestassi (e non prestia o prestessi) e lo stesso vale per restare, contrastare o sovrastare.
I composti di fare, al contrario, si coniugano come il verbo progenitore per cui si dice: ● che io disfaccia e disfacessi ● che io soddisfaccia e soddisfacessi
anche se le forme disfi, disfassi, soddisfi e soddisfassi si sono ormai affermate, ma non sono eleganti, ed è meglio evitarle. A parte questi casi, per tutti gli altri composti questi distaccamenti dal paradigma del verbo originario non sono tollerabili, per cui si dice:
● assuefaccia e assuefacessi ● contraffaccia e contraffacessi ● liquefaccia e liquefacessi ● rifaccia e rifacessi ● sopraffaccia e sopraffacessi.
Di seguito le tabelle con le coniugazioni di tutte le forme.
■ Da dove nascono gli errori “fantozziani” sul congiuntivo che spingono a dire “facci” o “batti” al posto di “faccia” e “batta”? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -are al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi irregolari andare, dare, fare e stare al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -ere e -ire al congiuntivo? ■ Qual è la vocale tematica che prendono i verbi regolari in -are ■ Al congiuntivo imperfetto i verbi dare e stare mantengono la stessa radice in A o la cambiano in E? ■ Al congiuntivo i dice “stassi” e “dassi” o “stessi” e “dessi”?
“Ma mi facci il piacere” diceva Totò al posto di “faccia”, ironizzando su uno degli errori più diffusi in fatto di congiuntivo. Anche il personaggio di Fantozzi incarna la caricatura dell’uomo medio che sbaglia sistematicamente tutti i congiuntivi (“venghi” invece di venga) e una delle scenette più celebri è quella della partita a tennis nella nebbia con il ragionier Filini, il cui dialogo suona pressappoco così:
– Batti! – Ma… mi dà del tu? – No, batti lei! – Ah, congiuntivo!
Questi congiuntivi maccheronici ed errati dipendono dall’andare a orecchio nel modo sbagliato. Ma chi soffre della “sindrome di Fantozzi”, un caso diffuso di “congiuntivite”, la può correggere in modo semplice.
Da dove nascono questi errori? Dal semplice fatto di non ricordare 4 semplici eccezioni.
Il congiuntivo presente dei verbi regolari in –are si forma con la vocale tematica “i” (mangiare → che iomang-i), mentre verbi in –ere e in –ire prendono la vocale tematica “a” (temere → che io tem-a e non temi e servire → che io serv-a e non servi.
Fantozzi, invece, coniuga tutti i verbi al congiuntivo in modo sistematico solo con la vocale –i, sul modello di lodare (che io lod-i).
In particolare, i verbi andare, dare, fare e stare, anche se terminano in –are, non sono regolari, e si comportano come se fossero verbi in –ere/ire, cioè sono eccezioni che vogliono la vocale tematica –a (e mai la –i!).
Dunque si dice:
vada e vadano (e non vadi e vadino) dia e diano (e non dii e diino) faccia e facciano (e non facci e faccino) stia e stiano (e non stii e stiino).
Inoltre, passando dal congiuntivo presente al congiuntivo imperfetto, dare e stare cambiano la vocale tematica (dalla a passano alla e), e si trasformano in
dessi e dessero (e non dassi e dassero) stessi e stessero (e non stassi e stassero).
Basta ricordarsi queste poche regole, e il rischio di fare figure “fantozziane” è scongiurato.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ire? ■ Perché i verbi come finire o pulire al congiuntivo fanno che io finisca e pulisca (con ISC), mentre servire fa che io serva? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ire?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ire, sul modello di servire.
Attenzione: molti verbi che terminano in –ire nella loro coniugazione non si comportano esattamente come servire, ma inseriscono l’infisso -isc- tra la radice e la desinenza di alcune persone.
Questa particolarità non riguarda solo il congiuntivo, ma anche l’indicativo, dunque finireo pulire si trasformano in finisco e pulisco e al congiuntivo analogamente la desinenza regolare va aggiunta a questo cambiamento della radice: che io (tu, egli)finiscae che io pulisca (si perde invece nel caso di noi puliamo e voi pulite che al conguntivo diventano che noi puliamo e che voi puliate, e ritorna nella terza persona plurale: che essi puliscano).
Congiuntivo di servire
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io serv-a
che io abbia servito
che io serv-issi
che io avessi servito
che tu serv-a
che tu abbia servito
che tu serv-issi
che tu avessi servito
che egli serv-a
che egli abbia servito
che egli serv-isse
che egli avesse servito
che noi serv-iamo
che noi abbiamo servito
che noi serv-issimo
che noi avessimo servito
che voi serv-iate
che voi abbiate servito
che voi serv-iste
che voi aveste servito
che essi serv-ano
che essi abbiano servito
che essi serv-issero
che essi avessero servito
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -ere? ■ Perché i verbi come vincere o scorgere al congiuntivo fanno che voi vinciate (con la C dolce), ma che io vinca (con la C dura)? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -ere?
Di seguito la coniugazione regolare da seguire per tutti i verbi regolari che terminano in –ere, sul modello di temere.
Attenzione: le uniche eccezioni si hanno con i verbi che terminano in –cere, –gere e –scere che mantengono il suono dolce davanti a e e i, che diventa invece duro davanti ad a, o e u: vincere diventa dunque che io vinc-a e che noi vinc-iamo.
Congiuntivo di temere
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io tem-a
che io abbia temuto
che io tem-essi
che io avessi temuto
che tu tem-a
che tu abbia temuto
che tu tem-essi
che tu avessi temuto
che egli tem-a
che egli abbia temuto
che egli tem-esse
che egli avesse temuto
che noi tem-iamo
che noi abbiamo temuto
che noi tem-essimo
che noi avessimo temuto
che voi tem-iate
che voi abbiate temuto
che voi tem-este
che voi aveste temuto
che essi tem-ano
che essi abbiano temuto
che essi tem-essero
che essi avessero temuto
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga il congiuntivo dei verbi regolari in -are? ■ I verbi con il GN, come sognare, al congiuntivo fanno che voi sogniate (con la i) o che voi sognate? ■ I verbi in -iare, come mangiare, al congiuntivo fanno che io mangii o che io mangi? ■ Come si coniuga il congiuntivo passivo dei verbi regolari in -are?
I verbi che terminano in –are sono quasi tutti regolari, e a parte andare, dare, fare e stare (per es. si dice faccia e non “facci“) seguono tutti questo paradigma.
Gli unici dubbi che si possono segnalare sui verbi regolari in –are, riguardano i casi in cui è in gioco la lettera i.
Pregare e recare, per esempio, le cui radici sono preg- e rec-, hanno un suono duro, e per mantenerlo, quando incontrano la desinenza che inizia con la lettera i, necessitano dell’aggiunta della h dopo la c e la g, dunque si dice che iopreghi e che iorechi (e non pregi e reci).
Analogamente, i verbi che hanno una i prima della desinenza –are, come mangi-are, lanci-are o strisci-are, hanno invece il problema della doppia i, per cui, per ragioni eufoniche, la doppia i di che iomangi-i si contrae in una sola: che io mangi (lanci e strisci).
I verbi in –gnare, inoltre, quando incontrano la i delle forme -iamo e -iate del congiuntivo, la conservano anche se il digramma gn di solito non la richiederebbe (vedi → “Le regole per combinare le lettere nella formazione delle parole“), dunque si scrive: che noi sogniamo e che voi sogniate, perché la i fa parte della desinenza del congiuntivo.
Di seguito la coniugazione del verbo amare, scelto come paradigma dei verbi regolare in –are.
Ha come ausiliare il verbo avere, ma se dovete coniugare un verbo che regge l’ausiliare essere la sola differenza è di usarlo correttamente nei tempi composti: crollare, per esempio diventerà: che io sia/fossi crollato.
Congiuntivo di amare
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io am-i
che io abbia amato
che io am-assi
che io avessi amato
che tu am-i
che tu abbia amato
che tu am-assi
che tu avessi amato
che egli am-i
che egli abbia amato
che egli am-asse
che egli avesse amato
che noi am-iamo
che noi abbiamo amato
che noi am-assimo
che noi avessimo amato
che voi am-iate
che voi abbiate amato
che voi am-aste
che voi aveste amato
che essi am-ino
che essi abbiano amato
che essi am-assero
che essi avessero amato
Poiché i verbi transitivi (quelli che rispondono alle domande: “Chi? Che cosa?”) possiedono anche la forma passiva, ecco di seguito il congiuntivo coniugato anche al passivo.
■ Come si coniuga l’ausiliare avere al congiuntivo? ■ Come si coniuga l’ausiliare essere al congiuntivo? ■ Perché si dice “noi siamo stati” (concordato al plurale) ma “noi abbiamo mangiato” (non concordato)?
Gli ausiliari essere e avere sono fondamentali perché, nei tempi presente e imperfetto, servono per formare i tempi composti di tutti gli altri verbi, uniti al participio passato.
Per capire se un verbo si appoggi a essere o avere, bisogna sapere che avere è l’ausiliare di tutti i verbi transitivi (quelli che reggono il complemento oggetto e dunque rispondono alle domande: “Chi?” “Che cosa?”). Un verbo come fare, perciò (si può fare qualcosa) richiede l’ausiliare avere: io ho fatto, che io abbia fatto.
Per i verbi intransitivi, invece, non c’è una regola per sapere a quale ausiliare si appoggiano: andare (non è transitivo e non si può “andare qualcosa o qualcuno”) si appoggia a essere: sono andato, che io sia andato, ma litigare (non si può “litigare qualcuno” ma si litiga con qualcuno) si appoggia ad avere: ho litigato, che io abbia litigato. In caso di dubbi, perciò, se non si sa a quale ausiliare si appoggia un verbo non resta che consultare il dizionario, che riporta queste informazioni.
Ecco come si coniugano i quattro tempi del congiuntivo del verbo essere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io sia
che io sia stato
che io fossi
che io fossi stato
che tu sia
che tu sia stato
che tu fossi
che tu fossi stato
che egli sia
che egli sia stato
che egli fosse
che egli fosse stato
che noi siamo
che noi siamo stati
che noi fossimo
che noi fossimo stati
che voi siate
che voi siate stati
che voi foste
che voi foste stati
che essi siano
che essi siano stati
che essi fossero
che essi fossero stati
Di seguito la coniugazione del congiuntivo del verbo avere:
presente
passato
imperfetto
trapassato
che io abbia
che io abbia avuto
che io avessi
che io avessi avuto
che tu abbia
che tu abbia avuto
che tu avessi
che tu avessi avuto
che egli abbia
che egli abbia avuto
che egli avesse
che egli avesse avuto
che noi abbiamo
che noi abbiamo avuto
che noi avessimo
che noi avessimo avuto
che voi abbiate
che voi abbiate avuto
che voi aveste
che voi aveste avuto
che essi abbiano
che essi abbiano avuto
che essi avessero
che essi avessero avuto
Attenzione: nel caso del verbo avere, il participio passato dei tempi composti rimane sempre invariato (per esempio: io ho avuto e noi abbiamoavuto). Invece, quando l’ausiliare è essere il participio si concorda sempre nel numero e nel genere (io sono stato, noi siamo stati, esse sono state…).
■ Quando si usa il congiuntivo nelle frasi dipendenti? ■ Cosa sono i periodi ipotetici? ■ Che differenza c’è tra i periodi ipotetici della certezza, della possibilità e dell’impossibilità? ■ Quali sono le parole o le espressioni che richiedono il congiuntivo? ■ Quali sono i verbi che richiedono il congiuntivo? ■ Ci sono casi in cui si può usare sia il congiuntivo sia l’indicativo? ■ Quando il congiuntivo si usa associato al condizionale? ■ Si può dire “sono sicuro” che sia o si dice solo “sono sicuro che è”? ■ Quali sono esempi di frasi che richiedono il congiuntivo? ■ Perché si dice “prima che sia”, ma “dopo che è”?
Anche se si può usare nelle frasi dipendenti in modo autonomo, il congiuntivo è il modo che si usa soprattutto nelle frasi dipendenti (da una frase principale) e si ritrova per esempio in alcuni tipi di subordinate come le finali, oppure (più facilmente anche senza saper riconoscere il tipo di frase) dopo alcune parole ed espressioni.
Di seguito un elenco di casi utili per comprendere quando il congiuntivo è obbligatorio:
● nelle condizioni (i periodi ipotetici, associato al condizionale) e nelle azioni, opinioni o pensieri non certi, ma solo possibili (si abbronzerebbe → se andasseal mare). Dunque anche in presenza di parole come se, qualora, ammesso che, purché: verrò da te → qualora facesse, bel tempo; ti raggiungerò → purché ti faccia piacere; ti perdonerò → ammesso che tu mi porga le tue scuse.
Quanto a se, bisogna fare attenzione: quando i periodi ipotetici esprimono una certezza o una realtà non richiedono il congiuntivo (se non annaffi i fiori avvizziscono = certezza), mentre quando esprimono una possibilità o una impossibilità è obbligatorio:
se tu non bagnassi i fiori (è possibile che ti dimentichi = possibilità) si avvizzirebbero; se tu ieri non avessi bagnato i fiori (impossibilità: so che li hai bagnati) si sarebbero avvizziti;
● per esprimere avvenimenti impossibili, per esempio quelli che non si sono verificati (sarebbe rimasto in città → se non fosseal mare) o che non si possono verificare (se la luna fossedi formaggio sarebbe il paradiso dei topi); ● nelle frasi dipendenti con valore finale: te lo dico → perché (= affinché) tu lo sappia; ● nelle frasi concessive (benché, sebbene, nonostante…): non ha molta cultura → benché siaintelligente; ● davanti a chiunque, ovunque, dovunque: sarà un successo comunque → vada; starà bene → ovunque vada (ma con valore futuro è possibile usare anche l’indicativo futuro: ovunque andrà, comunque andrà); ● davanti a prima che: te lo dico → prima che sia tardi (a parte questa espressione nei casi della frasi temporali si usa l’indicativo, es.: vado via → dopo che ho mangiato, mentre è partito → prima che mangiasse); ● davanti a fuorché, a meno che, tranne che (frasi eccettuative): verrò → a meno che non piova; ● davanti a senza che (frasi esclusive): è scappato → senza che nessuno se ne accorgesse; ● davanti a come se o quasi che che esprimono un modo: si lanciò sul nemico → come (se) fosseun leone; mi guardò → quasi che sapessecosa stavo per fare; ● davanti a anziché o piuttosto che (comparative): preferisco mangiarlo → anziché si butti.
Il congiuntivo nelle frasi dipendenti si usa anche in presenza di molti verbi come:
● i verbi di volontà, preferenza e desiderio: voglio (preferisco, desidero) → che sia; ● i verbi di comando o permesso: chiedo (proibisco, ordino, prego, mi raccomando) → che sia; ● i verbi di dubbio, possibilità, impossibilità: dubito (suppongo, immagino, è possibile, è impossibile) → che sia; ● i verbi di aspettativa: mi aspetto (temo, spero, ho paura, sono ansioso) → che sia; ● i verbi di finzione: fingiamo (immaginiamo, supponiamo, facciamo finta) → che sia; ● i verbi che esprimono uno stato d’animo: mi rallegro (sono felice, mi dispiace) → che sia; ● i verbi di opinione o convinzione personale: credo (sono del parere, mi pare, penso, ho il sospetto) → che sia.
Poiché il congiuntivo esprime un dubbio, talvolta i verbi come questi possono essere usati in modo perentorio (senza dubbi) e in tal caso non vogliono il congiuntivo. Per esempio, si può dire penso che è (si usa pensare in modo certo, come dire: sono sicuro, il pensiero non si può mettere in discussione) oppure penso che sia (si usa pensare per esprimere un dubbio, potrebbe anche non essere come si pensa); oppure si può dire sono sicuro/convinto che è (esprime certezza) ma anche sono sicuro/convinto che sia (esprime una certezza soggettiva, che può essere messa in discussione: non è detto che una cosa di cui si è sicuri sia vera, ci si può anche sbagliare). In questi casi, perciò, usare il congiuntivo stempera una certezza e la trasforma in qualcosa che ha margini di dubbio, è una scelta stilistica, mentre usare l’indicativo conferisce alla frase un tono più forte, come qualcosa che non si può mettere in discussione.
■ Il congiuntivo si usa solo nelle frasi dipendenti? ■ Quali sono gli usi del congiuntivo nelle frasi autonome? ■ Quando si dà del lei a più interlocutori si deve dare del voi o del loro? ■ Cosa sono il congiuntivo permissivo o esortativo? ■ Il congiuntivo si può usare come un imperativo? ■ Cos’è il congiuntivo dubitativo? ■ Cos’è il congiuntivo concessivo?
Anche se molto spesso è un modo che si usa nelle frasi subordinate (cioè quelle che non si reggono da sole, ma dipendono da una frase principale, es. voglio → che tu facciapresto), il congiuntivo si può usare anche nelle frasi autonome e indipendenti, cioè quelle che si reggono da sole. Per esempio lo usiamo quando diamo del lei al nostro interlocutore: entri.
Più nel dettaglio, l’uso
autonomo del congiuntivo si ritrova:
● nel dare del lei a chi ci rivolgiamo (si sieda, venga) e al plurale del loro (si siedano, vengano), che si fa sempre alla terza persona: non si usa dire “tu venga” o “ti sieda”.
Quando gli interlocutori sono più di uno non si dovrebbe dire (voi) “venite” o “entrate”, in questo caso siamo di fronte al plurale di tu (seconda persona) e del verbo all’indicativo, mentre la forma reverenziale (di rispetto) prevede il lei e il loro (per saperne di più → “Dare del tu, del lei, del loro e del voi“);
● nelle esortazioni (congiuntivo esortativo); è molto simile all’uso del congiuntivo per dare del lei, perché esprime un’esortazione (per es. entriil prossimo, mi dica), e questo uso a volte può essere etichettato anche come congiuntivo permissivo quando è seguito da “pure”: mangi pure, entri pure; ● nel porre dei dubbi (non mi risponde, che a quest’oradorma?), cioè il congiuntivo dubitativo; ● nel formulare delle concessioni (che facciapure quel che crede!; che dicapure quel che vuole!); ● talvolta nell’espressione di ordini: che vadasubito a mettersi la cravatta! ● in certe esclamazioni: sapessi! Aveste visto (come era vestito)! ● nell’augurare qualcosa (congiuntivo di desiderio): magari potessivolare! Fossevero! Che il Signore sia con te!
■ Quando si usa il congiuntivo? ■ Quali sono i tempi del congiuntivo? ■ Quando si usa il congiuntivo presente? ■ Quando si usa il congiuntivo imperfetto? ■ Il congiuntivo imperfetto ha solo un valore passato? ■ Quando si usa il congiuntivo passato? ■ Quando si usa il congiuntivo trapassato? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo imperfetto? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo trapassato? ■ Quali sono esempi di frasi con il congiuntivo passato? ■ Che differenza c’è tra il congiuntivo e l’indicativo? ■ Che differenza c’è tra il congiuntivo e il condizionale? ■ Quanti tempi possiede il congiuntivo? ■ Quali sono i tempi composti del congiuntivo?
Il congiuntivo è uno dei modi più complessi, tra le forme verbali, e spesso si sbaglia, si confonde con il condizionale o genera mille dubbi, paure e insicurezze.
In linea di massima, si può dire che mentre il modo indicativo si usa per esprimere cose certe e vere (il mondo della certezza), il congiuntivo è il modo della possibilità: si usa per esprimere i dubbi e le azioni che sono possibili o impossibili.
I tempi del congiuntivo sono quattro, due semplici (presente e imperfetto) e due composti (passato e trapassato).
Presente
Il congiuntivo presente (es. che io ami) si usa per esempio:
● nelle frasi dipendenti per esprimere la contemporaneità con la principale al presente (mi fa piacere chetu vada; spero che sia giusto); ● nelle frasi indipendenti per esprimere un dubbio, un augurio o un ordine nel presente (che sia giusto? Che Dio ti aiuti! Che si inchini davanti al re!).
Imperfetto
Il congiuntivo imperfetto (es. che io amassi) si usa nelle frasi dipendenti per esempio:
● per indicare la contemporaneità al passato con la principale (ieri pensavo che tu andassi al mare); ● per un’azione anteriore a quella della principale (oggi penso che a quel tempo tu andassi a scuola); ● spesso quando nella principale c’è il condizionale (mi piacerebbe → che tu andassi; mangerei → se tu cucinassi), e sempre nel caso ci sia un condizionale di volontà o di desiderio, per cui si dice: voglio (indicativo presente) → che sia (presente), ma vorrei (o mi piacerebbe: condizionale di desiderio) → che fosse (vedi anche → “Voglio che sia ma vorrei che fosse“).
Mentre nel modo indicativo l’imperfetto ha sempre e solo un valore passato, bisogna tenere presente che nelle frasi indipendenti il congiuntivo imperfetto non ha affatto necessariamente un valore di passato, ma si può usare anche per indicare qualcosa che deve ancora realizzarsi, con un valore futuro, e può esprimere per esempio un dubbio, un augurio o un desiderio: magari vincessiil primo premio!
Passato
Il congiuntivo passato (es. che io abbia amato) si forma con il congiuntivo presente del verbo ausiliare + il participio passato, e si usa:
● nelle frasi dipendenti per indicare un’anteriorità rispetto a ciò che è espresso nella principale (penso che ieri tu sia andato al mare); ● nelle frasi indipendenti per dubbi e possibilità riferiti al passato (che ieri sia uscito?).
Trapassato
Il congiuntivo trapassato (es. che io avessi amato) si forma con il congiuntivo imperfetto del verbo ausiliare + il participio passato, e si usa:
● nelle frasi dipendenti per indicare un’azione anteriore a un’altra avvenuta nel passato (pensavo che tu fossi uscito); ● nelle frasi indipendenti per dubbi e possibilità che non si sono realizzati (magari avessi frequentatola scuola! Ah, se non avessi abbandonatola scuola!).
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