■ Si può dire a me mi? ■ Nei Promessi sposi ricorre il rafforzativo a me mi? ■ Ci sono contesti in cui è lecito usare a me mi?
Evitare di dire “a me mi” è una delle regole che insegnano sin dalle elementari, e grammaticalmente rappresenta una ripetizione dello stesso concetto che non ha senso, è qualcosa di pleonastico che è diventato il simbolo di un cattivo italiano.
Eppure, poiché la lingua è non è logica, ma soprattutto metafora, tra le figure retoriche c’è proprio il pleonasmo, un espediente che ha il suo senso, se lo si usa nel modo giusto, come del resto l’anacoluto, un costrutto sintattico volutamente errato cui Manzoni ricorreva spesso: “Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro”.
Proprio nei Promessi sposi si trova anche l’uso di “a me mi”, nelle parole di una vecchia che indirizza Renzo verso Gorgonzola:
“A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta.”
E lo stesso uso del rafforzativo del pronome personale è rimarcato anche alla terza persona, in un altro passo:
“Però, anche dall’amico seppe molte cose che ignorava, e di molte venne in chiaro che non sapeva bene, sui casi di Lucia, e sulle persecuzioni che gli avevan fatte a lui, e come don Rodrigo sen’era andato con la coda tra le gambe…”.
Altri esempi di “a me mi” si trovano nella Gerusalemme liberata di Tasso (“Oimè! che fu rapina e parve dono, ché rendendomi a me da me mi tolse” o nelle Novelle di Verga (“A me mi hanno detto delle altre cose ancora!”, “Vita dei campi”; “a me mi basterà che mi lasciate un cantuccio nella cucina, per stendervi un po’ di pagliericcio”, “La lupa”).
In certi contesti, i rafforzativi sono dunque una leva della comunicazione e non si capisce perché “a me mi” dovrebbe suscitare così tanto scalpore.
Nella lingua spagnola, per esempio, questo rafforzativo è praticamente d’obbligo: se non si rimarca a mi me gusta, ma soltanto me gusta, si ha l’impressione che qualcosa non piaccia veramente.
In sintesi, è consigliabile evitare questo costrutto (come anche → “ma però” biasimato altrettanto ingiustamente) nei contesti formali, soprattutto perché è così vituperato che suona come un atto di ignoranza. Ma in altri contesti non ci sono ragioni per bollarlo come scorretto e “tanto odio” è ingiustificato: non viola le regole della grammatica e se rafforzare fosse un reato dovremmo evitare anche espressioni come proprio lui e tante altre espressioni rafforzative.