■ Come si fa il plurale dei nomi composti? ■ Perché il plurale di capostazione è capistazione mentre capolavoro diventa capolavori? ■ Si dice pomodori o “pomidoro”? ■ Si dice palcoscenici o “palcoscenichi”? ■ Si dice casseforti o “cassaforti”? ■ Si dice caporedattori o “capiredattore”?
I sostantivi formati dall’unione di due parole al plurale danno molti grattacapi e causano capogiri!
Senza fare i guastafeste, va detto che le regole che riportano molte grammatiche sono così complicate e, soprattutto, presentano tante di quelle eccezioni, che non si riesce a farne tesoro e a metterle in cassaforte (al plurale casseforti).
Per rispondere a tutti i dubbi di questi casi si possono dare solo delle indicazioni, meglio procedere con prudenza e consultare i dizionari.
L’unione di due parole è il risultato di tante combinazioni possibili:
● nome + nome (es. arcobaleno): nella maggior parte dei casi hanno un plurale regolare e modificano solo la desinenza finale: arcobaleni, francobolli, melograni, banconote, ferrovie. Ma non sempre.
Infatti, oltre a pescecani si può dire anche pescicani, mentre pescespada diventa pescispada, ma anche se quest’ultimo esempio è riportato in varie grammatiche, nei dizionari è registrato più spesso staccato: pesce spada al contrario di pescecane.
Questo caso fa riflettere sulla prima cosa importante: quando una parola è percepita come staccata, o si può scrivere staccata, il plurale il più delle volte si comporta di conseguenza. Per esempio: pomodoro, diventa pomodori (mentre pomidori e anche pomidoro sono delle forme popolari).
In passato si scriveva “pomo d’oro” e i plurali logici erano perciò diversi, ma con il tempo la parola è diventata unica e non più percepita come un composto, ed ecco che il plurale è diventato regolare: prende semplicemente la –i finale come una parola normale. Tutto il contrario di fico d’India che diventa fichi d’India e che ancora si scrive staccato. Naturalmente, questo esempio non rappresenta un criterio oggettivo, e forse proprio per questo in molti casi i dizionari ammettono i doppi plurali, per esempio: cassapanche e cassepanche, toporagni e topiragni;
● nome + aggettivo (es. cassaforte): per lo più formano il plurale cambiando la desinenza sia del primo sia del secondo termine, comportandosi come se fossero separati: cassaforte/casseforti; terracotta/terrecotte; gattamorta/gattemorte; caposaldo/capisaldi; acquaforte/acqueforti.
Ma attenzione: palcoscenico fa palcoscenici, tanto per citare un’eccezione;
● aggettivo + nome (es. gentiluomo): spesso si varia solo la desinenza a fine parola: francobollo/francobolli, biancospino/biancospini, e nel caso di gentiluomo/gentiluomini, seguendo la regola del secondo elemento che varia al plurale anche la sua radice. Anche purosangue non cambia (come sangue, il secondo elemento).
In altri casi, però, mezzobusto diventa mezzibusti, inoltre, i composti con alto– e basso– hanno quasi sempre il doppio plurale possibile: altopiani e altipiani, bassopiani e bassipiani,anche se bassofondo diventa bassifondi e altoforno altiforni;
● aggettivo + aggettivo (es. sordomuto): per lo più cambiano solo la desinenza finale: sordomuto/sordomuti; pianoforte/pianoforti; agrodolce/agrodolci; bianconero/bianconeri;
● verbo + nome (es. cavatappi): se il nome è già al plurale rimangono invariati: i cavatappi, i battipanni, gli accendisigari, i portaborse, i portaombrelli, i guastafeste, i portapenne e gli schiaccianoci; lo stesso avviene quando il nome è femminile singolare: i salvagente, i tagliaerba, gli asciugamano, i portacenere; se il nome è maschile singolare possono spesso variare: i paracarri, i passaporti, i grattacapi, ma altre volte rimangono invariati: i rompicapo, i copricapo;
● verbo + verbo (es. saliscendi): anche in questo caso tendono a non cambiare: i saliscendi, i dormiveglia;
● verbo + avverbio o viceversa (es. benestare e buttafuori): tendono a rimanere invariabili;
● preposizione (o avverbio) + nome (es. soprannome): di solito si declina al plurale solo il nome se è maschile: i soprannomi, i sottaceti; al femminile rimane per lo più invariato i dopocena, i fuoristrada e i fuoripista.
I composti della parola capo
I composti della parola capo sono da considerare a parte, ma la questione si ingarbuglia a tal punto che una regola valida non c’è e le proposte che si trovano nelle grammatiche non reggono, con il risultato che le per le pretese regole tutto rischia di diventare una caporetto!
Le “leggende grammaticali” (in questo caso non si può parlare di “regole”) affermano che capo– si trasforma in plurale (capi-) quando ha una posizione preminente, oppure quando è inteso nel senso di “superiore”, mentre altre insistono sul contesto: per esempio se capo– si riferisce a un solo reparto diventerà capireparto, se sono tanti reparti diventa caporeparti (ma questo plurale nei dizionari non è presente).
Il problema è che spesso gli esempi indicati nelle grammatiche non sono coerenti tra loro e differiscono da quanto riportato sui dizionari, e va detto che molte grammatiche glissano sulla questione. E persino i dizionari indicano a volte diverse soluzioni. Per esempio: caporedattore diventa capiredattori per il Devoto-Oli e lo Zingarelli, ma caporedattori per il Gabrielli e il Treccani.
Quando le regole non reggono non rimane che studiare le singole parole (per lo più modificano capo– in capi-).
Un regola più affidabile c’è nel caso dei plurali femminili: quando i composti di capo– si volgono al plurale femminile, al contrario del maschile tendono a rimanere invariati come al singolare, per cui i capiclasse, ma le capoclasse, i capibranco, ma le capobranco (ma anche in questo caso le eccezioni non mancano, per esempio le caporedattrici).
Per saperne di più vedi la lista con → “I plurali dei composti di capo-“