■ Cosa sono gli avverbi? ■ Che differenza c’è tra gli avverbi derivati e primitivi? ■ Gli avverbi terminano tutti in “-mente?” ■ Quali sono le locuzioni avverbiali? ■ Quali sono gli avverbi di modo? ■ Quali sono gli avverbi di tempo? ■ Quali sono gli avverbi di luogo? ■ Quali sono gli avverbi di quantità? ■ Quali sono gli avverbi di affermazione? ■ Quali sono gli avverbi di negazione? ■ Quali sono gli avverbi di dubbio? ■ “Ecco” è un avverbio? ■ Quali sono gli accrescitivi e i diminutivi degli avverbi? ■ Si dice “a cavalcioni” o soltanto “cavalcioni”? ■ Quali sono gli avverbi che terminano in “-oni”? ■ “Eccetera” è un avverbio?
L’avverbio si chiama così perché “sta vicino al verbo” (ad verbum), ma la vicinanza non è nella sua collocazione all’interno della frase (può essere anche lontano), bensì nel fatto che si riferisce al verbo e ne specifica una qualità quasi come fosse “l’aggettivo del verbo”: mangio avidamente, corro velocemente, cioè in modo rapido.
Per essere più precisi, però, un avverbio può anche specificare altre parti del discorso per esempio un sostantivo (riposo specialmente la domenica) o un aggettivo, soprattutto nei casi del predicato nominale (questo libro è enormemente pesante) o anche un’intera frase (indubbiamente, mangi con avidità), ma in tutti questi esempi è sempre legato anche al verbo.
Gli avverbi sono classificati tra le parti invariabili del discorso perché non si concordano nel genere e nel numero, e molto spesso si riconoscono facilmente perché terminano in –mente e nascono proprio dalla modifica dell’aggettivo con questo suffisso (facile diventa facilmente, lento diventa lentamente). Ma non è sempre così. Altre volte si possono formare con la desinenza in –oni che nascono dai sostantivi o dai verbi: tentare diventa tentoni, come gatto diventa gattoni, ma c’è anche il procedere cavalcioni, ciondoloni, carponi che a volte si possono introdurre con la preposizione a, ma vivono anche senza.
Oltre a questi avverbi (chiamati anche derivati, perché derivano di solito dall’aggettivo) ce ne sono tantissimi altri chiamati talvolta primitivi (o semplici, perché non derivano da un’altra parola), che possono essere per esempio subito, dopo, prima, poco, bene, male, forte… e a loro volta si possono classificare in base alla loro funzione di specificare un modo, un tempo, una quantità…
Se gli avverbi derivati sono molto semplici da riconoscere grazie alla desinenza, quelli primitivi sono molto più problematici, perché si tratta di parole che in altri contesti possono avere altre funzioni ed essere per esempio aggettivi come poco, oppure congiunzioni come prima o preposizioni improprie come dietro.
Per capire quando sono avverbi bisogna di volta in volta analizzare la frase: gli aggettivi si variano nel e genere e numero e si riferiscono al nome, dunque questo piatto è poco (riferito al nome, piatto) si può volgere al plurale (questi piatti sono pochi) e in questo caso poco è aggettivo. Mangio poco invece si riferisce al verbo ed è un’espressione invariabile. Allo stesso modo le stesse parole possono essere avverbi in espressioni come guardo dietro o arrivo prima (riferite al verbo) oppure diventare una preposizione impropria (prima di pranzo) o una congiunzione subordinativa di una frase dipendente (riposo prima che arrivi = frase dipendente temporale).
Per approfondire → “Come distinguere gli avverbi da aggettivi, congiunzioni o preposizioni”
Oltre agli avverbi derivati e primitivi, esistono anche le locuzioni avverbiali, cioè espressioni complesse che hanno gli stessi significati o le stesse funzioni, come di rado, di corsa, di fretta… formate da altre parti del discorso che però sono usate in senso avverbiale, cioè riferite al verbo e diventate invariabili (non si possono declinare al femminile o al plurale).
Volendo classificare gli avverbi in base a ciò che qualificano, ci sono per esempio quelli:
● di modo, che rispondono alla domanda “in che modo?”, per esempio: cammino dolcemente, caparbiamente, piano, forte, carponi, volentieri…
● di luogo, che rispondono alla domanda “dove?” o indicano un dove, per esempio: andare qui, qua, lì, là, ovunque (possono includere anche delle locuzioni avverbiali: di qui, di là)…
● di tempo, che rispondono alla domanda “quando?” o indicano un periodo, per esempio: quando, ora, adesso, subito, prima, dopo, presto, tardi, oggi, domani, spesso, raramente, mai, sempre…
● di quantità, che rispondono alla domanda “quanto?” o esprimono quantità, per esempio: quanto mangi, mangi molto, troppo, poco, tanto, poco, meno, minimamente…
● di dubbio: chissà, probabilmente, forse, magari, eventualmente…
● di affermazione: sì, sicuramente, certamente, certo, proprio, ovviamente, decisamente…
● di negazione: no, non, né, nemmeno, mai, neanche, neppure…
● interrogativi o esclamativi: come, dove, quando, perché, quanto…
Eccone altri!
Queste etichette possono variare secondo le grammatiche (alcune raggruppano negli avverbi di valutazione quelli di affemazione, negazione e dubbio) e da queste classificazioni possono sfuggire avverbi come eccetera (considerato una locuzione avverbiale, vedi anche → Meglio scrivere “eccetera”, “ecc.” o “etc.”?) oppure un avverbio come ecco, che si trova in locuzioni come ecco fatto, e ha una forza particolare che può sostituire un verbo e subire trasformazioni: eccomi = sono qui (eccoci, eccola), o anche essere unito a nomi (ecco ecco un cocco un cocco per te! nella poesia di Pascoli) e pronomi: eccone un altro!
Pur essendo invariabili nel genere e nel numero, alcuni avverbi si possono alterare in forme vezzeggiative, diminutive, accrescitive o peggiorative (benino e benone, maluccio e malino, pochino e pochetto, o “andavano a scuola adagino e pianino…”); inoltre (come gli aggettivi), possono in alcuni casi avere → i gradi di comparativo e superlativo assoluto.