■ Cos’è il nome o sostantivo? ■ Che differenza c’è tra nome e sostantivo? ■ Cosa sono i nomi concreti? ■ Cosa sono i nomi astratti? ■ Cosa sono i nomi comuni? ■ Cosa sono i nomi propri? ■ Cosa sono i soprannomi? ■ Cosa sono i nomi derivati? ■ Cosa sono i nomi alterati? ■ Cosa sono i nomi composti? ■ Cosa sono i nomi collettivi? ■ Cosa sono gli accrescitivi? ■ Cosa sono i diminutivi? ■ Cosa sono i vezzeggiativi? ■ Cosa sono i dispregiativi? ■ Cosa sono i nomi difettivi? ■ Cosa sono i nomi sovrabbondanti? ■ Quali sono i nomi geografici? ■ Perché nel caso dei nomi di popoli si può scrivere “gli inglesi” minuscolo, ma gli “Egizi” maiuscolo? ■ Cosa sono i nomi falsi alterati?
Il nome, detto anche sostantivo, è una parte del discorso molto importante nella lingua, qualcosa di primordiale alla base del linguaggio stesso: permette la corrispondenza tra un suono e un oggetto o un concetto.
Non ci sono solo i nomi concreti che indicano le cose, ci sono anche i nomi astratti che esprimono idee, sentimenti e concetti come la paura, la felicità, l’amicizia…
Accanto ai nomi comuni (concreti e astratti) ci sono quelli propri, che possono essere di persona (Silvia) o animale (Fido), ma includono anche i cognomi e i soprannomi (il Griso manzoniano) o quelli geografici (Milano, Arno, Lazio) o etnici, che indicano i nomi dei popoli (gli Egizi). I nomi propri si scrivono tassativamente con l’iniziale maiuscola, ma nel caso dei popoli contemporanei (gli italiani, i francesi) ormai è caduta la consuetudine di scriverli così, si possono scrivere anche in minuscolo e dipende dai gusti, mentre nel caso dei popoli antichi è buona regola usare la maiuscola (gli Etruschi).
Tra gli altri tipi di classificazione dei nomi che si possono fare, c’è la distinzione in semplici o composti (francobollo, pomodoro), oppure in individuali (uomo, pecora, luna) e collettivi (gente, gregge, firmamento) che pur essendo singolari designano un insieme di persone, animali o cose. In quest’ultimo caso è bene fare attenzione alle concordanze: la gente fa e non la “gente fanno”. Ci sono poi nomi primitivi, che sono costituiti solo dalla radice e dalla desinenza (fior-e) e quelli derivati che possono aggiungere alla radice suffissi, prefissi, alterazioni e composizioni che conferiscono un significato diverso, anche se appartenente allo stesso ambito semantico: fiorista, fioraio, fioretto, fiordaliso, fioritura…
I sostantivi sono una parte variabile del discorso perché si possono volgere al singolare e al plurale, e possono subire anche altri tipi di alterazioni.
I nomi alterati si possono distinguere in:
● accrescitivi, spesso attraverso il suffisso -one: ombrello/ombrellone, cane/cagnone, ma anche in altri modi per es. giovanotto o candelotto;
● diminutivi (con suffissi come –ino, –etto, –ello, –icciolo, –erello, –ellino…) ombrellino, libretto e libricino, ragazzino, ma anche festicciola, uccelletto, pastorello;
● vezzeggiativi (i suffissi possono essere –ino, –icino, –olino, –uzzo…): sono forme di diminutivi che conferiscono contemporaneamente un tocco di simpatia e di grazia: ometto, micetto, boccuccia, cagnolino, reuccio (talvolta la distinzione tra vezzeggiativo e diminutivo non è netta);
● dispregiativi o peggiorativi (attraverso suffissi come –accio, –onzolo, –astro, –ercolo, –iciattolo, -ucolo…): omaccio e omaccione, libercolo e libraccio, ragazzaccio, e ancora poetastro o poetucolo, donnicciola e donnaccia, pretonzolo, mostriciattolo, casupola.
Naturalmente non bisogna lasciarsi ingannare da queste desinenze, non sempre sono un’alterazione dei nome e nel caso di polpaccio o focaccia non sono dispregiativi di polpo e foca, così come tacchino, mattone o collina non derivano certo da tacco, matto e collo (per saperne di più → “I nomi falsi alterati“).
In altri casi le alterazioni dei nomi avvengono attraverso “regole istintive” che da un punto di vista grammaticale sarebbero errate come per esempio l’applicazione dei superlativi (che appartiene solo agli aggettivi o agli avverbi) anche ai sostantivi, per esempio finalissima, partitissima (per saperne di più vedi → “I superlativi abusivi, iperbolici e metaforici“)-
Ci sono alcuni nomi detti difettivi perché hanno il “difetto” di possedere solo il singolare (fame, sete, latte, sangue, pietà, pazienza…) oppure solo il plurale (nozze, ferie, gesta, viveri…). Viceversa, i nomi sovrabbondanti hanno più forme possibili (sono le stesse etichette che si applicano ai verbi difettivi e sovrabbondanti), e per esempio si può dire indifferentemente puzzo e puzza, presepe e presepio, scudiero e scudiere, ginocchi e ginocchia. Altre volte esistono delle leggere sfumature di significato tra una forma e l’altra, come orecchio e orecchia (per le “orecchie” che si fanno ai libri è obbligatoria la seconda forma) che al plurale diventano orecchi e orecchie.
Altre volte ci sono nomi che hanno un diverso significato tra singolare e plurale (vedi anche → “Nomi con doppio plurale e doppio significato“), come l’oro (il metallo) e gli ori (i gioielli), o l’ottone (la lega) e gli ottoni (i fiati). E ancora ci sono nomi che presentano un falso cambiamento tra il maschile e il femminile, in realtà in questo passaggio di genere cambia completamente il significato, per esempio l’arco e l’arca, il collo e la colla, il colpo e la colpa o il pianto e la pianta (per saperne di più → “Falsi cambiamenti di genere“).