Si dice “penso che è” o “penso che sia”?

Si può dire in tutti e due i modi: a seconda del modo cambia la sfumatura del significato

Non è obbligatorio usare il congiuntivo in una frase come “penso che sia”, è lecito anche dire “penso che è”. Poiché il congiuntivo è soprattutto il modo verbale che si usa per esprimere l’incertezza, la possibilità e l’impossibilità, la prima frase esprime un dubbio (lascia intendere che potrei sbagliarmi e che potrebbe non essere così: penso = suppongo), mentre la seconda è più perentoria e lascia intendere che è di sicuro così come penso (penso = è vero, è senza dubbio così).

Per approfondire → “Penso che è” o “penso che sia”? (Dubbi sul congiuntivo).

Meglio dire “ho potuto andare” o “sono potuto andare”?

Sono potuto andare è preferibile rispetto a ho potuto andare (anche se circolano entrambe le soluzioni).

Quando ci sono delle locuzioni verbali formate per esempio dai verbi servili (come potere, dovere o volere) può capitare che il verbo servile regga l’ausiliario avere, ma il verbo a cui si accompagna regga invece essere, per esempio “poter andare” (ho potuto e sono andato). E allora quale dei due bisogna usare? Meglio dire “ho potuto andare” o “sono potuto andare”?

Sono potuto andare è preferibile rispetto a ho potuto andare (anche se circolano entrambe le soluzioni).
Di solito è più elegante utilizzare l’ausiliario del verbo principale e non quello del servile che lo accompagna. Dunque, poiché si dice ho parlato e sono uscito, è preferibile dire anche ho potuto parlare e sono dovuto uscire.

Questa regola generale, però, non è sempre vera, è solo un’indicazione che vale in linea di massima. Talvolta sono possibili entrambe le forme, ma in altri casi (con i verbi sapere, preferire, desiderare e osare) prevale l’ausiliario del verbo servile: ho saputo correre (e non sono saputo), ho preferito andare ecc.

Per saperne di più → “Ho potuto” o “sono potuto” andare? Gli ausiliari nelle locuzioni verbali.

Le coniugazioni dei verbi sono 3 o 4?

Molte grammatiche classificano i verbi in 3 coniugazioni, ma altre preferiscono un criterio più pratico basato su 4 coniugazioni: i verbi in -are, -ere, -ire e tutti gli altri come trarre, porre e condurre.

Il modo di classificare i verbi in tre coniugazioni – quelli che terminano in are, ere e ire – è un criterio molto diffuso, ma non è il solo. Le coniugazioni non esistono “in natura”, sono solo delle categorie utili per suddividere ogni verbo in insiemi comodi per l’apprendimento. Questo modello considera i verbi che terminano in altro modo, per es. porre, trarre o condurre, come eccezioni che rientrano nella seconda coniugazione (derivano dal latino ponere, trahere e conducere e si comportano maggiormente come verbi della seconda), così come il verbo fare (che deriva da facere e ne segue meglio la coniugazione).

Ci sono però anche grammatiche che preferiscono usare un altro criterio più pratico basato su quattro coniugazioni che seguono esattamente le desinenze, dunque: i verbi in are, ere, ire e tutti gli altri come por-re, trar-re o tradur-re (quarta coniugazione) che hanno una diversa desinenza (è un criterio più semplice e pratico). In questo modello il verbo fare appartiene alla prima coniugazione (anche se si comporta irregolarmente).

Qualunque criterio si adotti, l’importante è coniugare i verbi in modo corretto.

Per saperne di più → Le coniugazioni dei verbi sono 3 oppure 4.

Meglio dire “l’anno scorso andai” o “l’anno scorso sono andato”?

Sono corrette entrambe le frasi, è solo una questione di stile.

Non c’è una regola per preferire: “L’anno scorso andai” a “l’anno scorso sono andato”; questa seconda forma è molto più diffusa per esempio al nord, mentre il passato remoto vive maggiormente al sud, ma sono entrambe lecite. È solo una questione di stile personale.

Un tempo il passato remoto era indicato come più appropriato per un’azione passata conclusa o lontana, e il passato prossimo più adatto per ciò che non è concluso ed è più recente. Ma non è facile distinguere quando un’azione è conclusa né definire il concetto di “lontananza”. Nella lingua viva di oggi questa distinzione è caduta e nell’italiano moderno il passato remoto tende a scemare e a essere utilizzato sempre meno frequentemente rispetto al passato prossimo.

Per approfondire l’uso dei tempi dell’indicativo → Il modo indicativo e i suoi tempi.

Si dice “sognamo” o “sogniamo” con la “i”?

Meglio scrivere “sogniamo”: anche se non si pronuncia, la “i” fa parte della desinenza come nel caso di “am-iamo”.

Anche se il gn perlopiù non va mai fatto seguire dalla i (gnocco, gnomo…), nel caso della coniugazione dei verbi che terminano in -gnare ci sono forme come sogniamo (dove la i fa parte della desinenza verbale: sogn-iamo è come am-iamo, e omettere la i non è elegante, anche se è diffuso). Questa i non si pronuncia e anche se qualche grammatica tollera la forma senza i, non è consigliabile ometterla in un buon italiano, sia nel caso della prima persona plurale dell’indicativo, sia soprattutto in quella del congiuntivo (che noi sogniamo).
Lo stesso vale per verbi come accompagnare, disegnare, bagnare, vergognare… che fanno accompagniamo, disegniamo, bagniamo, vergogniamo

Per approfondire i casi del “gn” seguito da “i” (es. compagnia) → Le regole per combinare le lettere nella formazione delle parole.

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