Quando il pronome personale, per es. egli, è obbligatorio e quando si può omettere?

Se nella frase non c’è un cambio di soggetto che richiede un pronome, meglio evitare il pronome soggetto (io, tu, egli…) che si lascia sottinteso: “mangio” e non “io mangio”.

I pronomi personali (io, tu, egli…) in italiano perlopiù si evitano e si sottintendono. Non c’è bisogno di dire “io penso”, basta “penso”: io è sottinteso; quando lo si aggiunge è perché si vuole rimarcare il proprio io, e se non ce n’è bisogno risulta un stile un po’ egoistico.

Se non c’è un cambio di soggetto nel periodo che richiede di specificare il nuovo soggetto con un pronome, specificare tu o egli il più delle volte è inutile e ridondante. Per esempio:

Cappuccetto rosso incontrò il lupo. Egli la vide e sì avvicinò quatto quatto. (Egli) poi le disse…

Il primo egli specifica: “quest’ultimo”, ed è preferibile perché altrimenti il soggetto sottinteso sarebbe Cappuccetto (anche se a senso la frase sarebbe comprensibile). Il secondo egli è del tutto inutile e ripeterlo suona fastidioso.

Per saperne di più sui pronomi → I pronomi personali e le loro insidie.

Meglio scrivere “bum” o “boom”?

“Boom” è inglese ed è stato italianizzato in “bum” quando è un’onomatopea. Quando invece si parla di “boom economico” si usa di solito l’inglese.

Il suono onomatopeico di un’esplosione tipico dei fumetti in inglese è boom, ma in italiano si può scrivere meglio bum. Invece, nelle espressioni in cui la parola è usata come un forestierismo preso direttamente dall’inglese, per esempio il boom economico o il boom supersonico è maggiormente in uso scrivere la parola all’inglese, invece di adattarla.

Per approfondire il tema dei forestierismi, vedi anche → Il plurale dei nomi stranieri e Il genere dei nomi stranieri.

Come distinguere un avverbio (corro veloce) da un aggettivo (l’uomo veloce)?

Gli avverbi, al contrario degli aggettivi, sono sempre parti del discorso invariabili (non si possono volgere al plurale o al maschile/femminile).

Alcune parole possono essere avverbi o aggettivi a seconda del contesto. Dire che qualcuno corre veloce (avverbio = velocemente) è diverso dal caso di un uomo veloce (aggettivo, al plurale uomini veloci). Questa considerazione può aiutare molto, nell’analisi grammaticale, in caso di dubbi.

Per saperne di più → Gli avverbi.

Si dice “penso che è” o “penso che sia”?

Si può dire in tutti e due i modi: a seconda del modo cambia la sfumatura del significato

Non è obbligatorio usare il congiuntivo in una frase come “penso che sia”, è lecito anche dire “penso che è”. Poiché il congiuntivo è soprattutto il modo verbale che si usa per esprimere l’incertezza, la possibilità e l’impossibilità, la prima frase esprime un dubbio (lascia intendere che potrei sbagliarmi e che potrebbe non essere così: penso = suppongo), mentre la seconda è più perentoria e lascia intendere che è di sicuro così come penso (penso = è vero, è senza dubbio così).

Per approfondire → “Penso che è” o “penso che sia”? (Dubbi sul congiuntivo).

Che differenza c’è tra i pronomi egli/ella e esso/essa?

Egli ed ella si usano per le persone, esso ed essa si riferiscono alle cose o agli animali.

L’uso dei pronomi egli ed ella si riferisce alla persone, mentre esso ed essa è più adatto per le cose o gli animali. Ma va detto che queste forme sono sempre più disuso sia nel parlare, e poco frequenti anche nello scrivere (si ritrovano invece spesso negli scritti del passato e vivono nelle tabelle con le coniugazioni dei verbi).
Anche se queste forme sono grammaticalmente lecite, si tendono a evitare attraverso l’uso di sinonimi (es. ella era viene specificato: la ragazza/donna, Mariaera…) e per le persone si sostituiscono sempre più spesso con lui, lei e loro.

Per saperne di più → I pronomi personali e le le loro insidie.

Quando si usano i puntini di sospensione?

I puntini di sospensione si usano per indicare un elenco che può continuare, per lasciare il discorso in sospeso o per qualcosa che non viene espresso, e anche per indicare omissioni (…).

I puntini di sospensione si usano per indicare un elenco di esempi che può continuare (ho mangiato salame, prosciutto, mortadella, formaggio…), ma anche per lasciare un discorso in sospeso (non saprei…) o per marcare un’allusione che non viene esposta: con la faccia che si ritrova… (lascia intendere all’interlocutore di che faccia si tratti).

NB
Un errore frequente è quello di abusarne, in questo senso allusivo. Vanno usati con moderazione senza esagerare il loro prevalere sulla punteggiatura normale, il che si ritrova spesso nella scrittura in Rete, es.:

Sono andato al mare… c’era un sacco di gente… non si riusciva a trovare posto… ed è stato uno strazio…

è un periodo inaccettabile, stando alle buone regole della punteggiatura.

In editoria i tre puntini di sospensione si usano anche tra parentesi per indicare l’omissione di una parte di un testo citato: “Quel ramo del lago di Como (…) vien (…) a ristringersi”.

Per approfondire → I puntini di sospensione.

“Lui”, “lei” e “loro” possono essere soggetto?

Se un tempo “lui”, “lei” e “loro”, quando erano soggetto, erano sostituiti da “egli”, “ella” ed “essi”, oggi sono accettabili e in alcuni casi preferibili.

Un tempo si insegnava a non usare mai lui e lei come soggetto: così come me e te non possono essere soggetto (si dice io sono e non me sono), allo stesso modo lui (e lei) e il plurale loro erano consentiti nei casi fossero l’oggetto (guardo lui) o per altri complementi (parlo di lui, con lui, a lui…). Per il soggetto si prescriveva sempre egli/ella (dunque egli parla, non lui parla), e per il plurale essi/esse.

Nell’italiano corrente invece, soprattutto nel linguaggio diretto, queste formule sono sempre più diffuse, e sono state “sdoganate” anche da autori classici, a cominciare da Alessandro Manzoni che nei Promessi sposi usa frequentemente lui come soggetto: “Lui invece caccia un urlo”; “e lui allora continuò a raccontare altre di quelle belle cose…”.

Per saperne di più sui pronomi → Lui può essere soggetto al posto di egli?

Quando si fa una citazione virgolettata, il punto si mette dentro o fuori dalle virgolette?

In linea di massima, se si fa una citazione di una frase completa si include la punteggiatura, altrimenti la punteggiatura si lascia all’esterno. Nel caso del punto di domanda o di esclamazione si lasciano all’interno per conferire alla citazione la giusta intonazione.

In linea di massima, quando si cita una parola o una frase, la punteggiatura è posta all’esterno, per esempio: Dopo aver letto l’insegna “Ristorante”, fermai la macchina. Oppure: “Chi la fa l’aspetti”, si dice.

Però, nel caso dei segni d’interpunzione che riguardano l’intonazione, come il punto di domanda o quello esclamativo, si inseriscono all’interno, per conferire il tono di ciò che si cita: Mi disse: “Davvero?”. E in tal caso è bene aggiungere il punto fermo dopo le virgolette, perché il punto interrogativo che fa parte della citazione, seguito dalle virgolette, perde la sua forza di chiusura.

Quando invece la citazione include un periodo completo, indipendente e finito, si tende a lasciare la punteggiatura di chiusura all’interno delle virgolette, e non bisogna mettere un ulteriore punto successivamente: “Obbedisco.” Disse Garibaldi.

Naturalmente non sempre è possibile fissare delle regole rigide, e talvolta stabilire se una frase citata è chiusa o aperta è una scelta. Dunque è possibile anche scrivere: “Chi la fa l’aspetti.” Non c’è altro da aggiungere.
I
n ogni caso bisogna evitare la doppia punteggiatura: “Chi la fa l’aspetti.”.

Per approfondire l’uso della punteggiatura associata alle virgolette → Le virgolette.

Meglio scrivere “eccetera”, “ecc.” o “etc.”?

Meglio abbreviare “eccetera” in “ecc.” e non in “etc.”, e poiché queste forme sono un po’ burocratiche, in narrativa si possono evitare ricorrendo a soluzioni più eleganti e discorsive, come “e così via” o i puntini di sospensione.

Eccetera è una locuzione avverbiale che deriva dal latino et cetera, cioè “e altre cose” e per questo talvolta viene abbreviato in etc., ma non c’è bisogno di scomodare il latino, le norme editoriali delle case editrici preferiscono evitare questa abbreviazione, è molto più appropriato usare ecc. all’italiana, quando occorre.

Nei contesti discorsivi o in narrativa l’uso di eccetera non è sempre consigliabile (è un po’ “burocratico”, soprattutto se abbreviato), talvolta un e così via è preferibile e più adatto, oppure, per indicare qualcosa che continua si possono usare i punti di sospensione…

Tra gli errori da evitare c’è l’associazione di eccetera o ecc. ai puntini di sospensione, va sempre evitato (ecc…, eccetera….) si mette o l’uno o gli altri visto che sono equivalenti.

Vedi anche → I puntini di sospensione.

Cosa sono le “d eufoniche”?

Le “d eufoniche” sono le “d” apposte davanti ad “a”, “e” e “o” che diventano “ad”, “ed” e “od”.

Le “d eufoniche” sono le “d” apposte davanti alla preposizione “a” e alle congiunzioni “e” e “o” per evitare che l’incontro con una parola che comincia con vocale abbia una difficoltà di pronuncia e suoni male.

Un tempo erano molto diffuse davanti a qualunque vocale, ma oggi la forma “od” è praticamente decaduta (si tende a non usarla più nell’editoria) e nel caso di “ad” e “edsi usano solo ed esclusivamente davanti alla stessa vocale, dunque si scrive “ed era”, “foglie ed erba”, “ad avere”, “ad  amici”, ma mai “ed ovviamente”, “ed adesso”, “ad uno”…

Le poche eccezioni sono costituite da frasi fatte ormai entrate nell’uso come “ad esempio”, “ad ogni modo” e poche altre.

Per approfondire → E/ed, a/ad, o/od: quando usare le D eufoniche.

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