■ Cosa distingue le vocali dalle consonanti? ■ Che differenza c’è tra vocali forti e deboli? ■ La J è una vocale o una consonante? ■ Perché alcune lettere sono considerate straniere? ■ Il numero dei fonemi è uguale a quello delle lettere dell’alfabeto? ■ Perché, per scrivere, i segni dell’alfabeto non bastano? ■ Nella scrittura si usano anche lettere di alfabeti diversi dal nostro?
L’alfabeto moderno è costituito da 26 segni o grafemi che seguono un ordine preciso, l’ordine alfabetico appunto, che permette di rintracciare facilmente ogni parola in un dizionario o in un indice analitico:
a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z.
Si possono dividere in vocali e consonanti.
Le prime (A, E, I, O, U ma anche y e j quando sono pronunciate come la i, se invece la j si pronuncia “g” come in jolly si comporta da consonante) si chiamano così perché derivano da voce: sono suoni sonori che si pronunciano con la voce e costituiscono la parte forte della sillaba.
Le consonanti si appoggiano alle vocali e si possono distinguere a seconda di come vengono articolate in labiali, linguali, dentali, palatali o gutturali. Ma queste distinzioni appartengono alla fonetica, non riguardano la scrittura (Per saperne di più → “Fonologia e fonetica“).
Vocali forti e deboli
A, E e O sono chiamate vocali forti, e I e U deboli. Questa distinzione serve per comprendere meglio la differenza tra dittongo e iato. Due vocali che si pronunciano con un’unica emissione sono dittonghi e di solito sono costituiti da 2 vocali deboli (es. pie-no, chiu-so) oppure dalla combinazione di una forte e una debole all’interno della stessa sillaba (es. fio-re). Lo iato è invece l’incontro di due vocali che si pronunciano con suono separato (po-eta, le-one, pa-ese, be-ato). Questa distinzione è importante anche per comprendere meglio la → divisione in sillabe.
Non è vero, come si dice spesso, che a ogni lettera corrisponde un solo suono, questa è solo una semplificazione. La “c” e la “g“, per esempio, possono essere dolci o dure, la “s” e la “z” sorde o sonore, le vocali “e” e “o” possono essere aperte o chiuse. Dunque i fonemi pronunciabili sono di più, come insegna la fonologia (per saperne di più → “La pronuncia delle lettere“). Viceversa, alcuni caratteri associano a una lettera anche un accento, grave o acuto (é e è) che è necessario utilizzare.
Per scrivere, però, non basta conoscere le lettere del nostro alfabeto! Ci sono anche grafemi di altri alfabeti in cui si può imbattere, come quello greco, per esempio alfa (α), beta (β) e così via fino a omega (in maiuscolo Ω è simbolo dell’ohm), oppure l’alef (א), la prima lettera dell’alfabeto ebraico, che si usa in matematica… Nei programmi di scrittura questi caratteri si trovano tra quelli speciali o tra i simboli. Ma esistono moltissimi altri caratteri presenti sulla tastiera, a cominciare dall’apostrofo, dalle lettere accentate (è, é) e dai segni d’interpunzione per finire con altri caratteri speciali che si usano comunemente come il percento (%), la e commerciale (&) e molti altri simboli che bisogna conoscere e padroneggiare (€, @, °…). Per saperne di più vedi anche → “Le norme editoriali“.
Le cosiddette lettere straniere
Solitamente, si dice che il nostro alfabeto sia costituito da 21 lettere più 5 straniere (j, k, w, x, y), ma non è propriamente vero. La “k“, per esempio, si trova nelle prime e più antiche testimonianze del volgare scritto (i Placiti cassinesi: “Sao ko kelle terre…”, cioè: so che quelle terre) ed era presente anche nei dialetti e nell’italiano arcaico. E lo stesso si può dire della “j lunga” (sempre più spesso pronunciata immotivatamente all’inglese, jay) molto diffusa fino al Settecento, ma sopravvissuta anche dopo (si trova in Pirandello che scriveva “jella”). Quanto alla “x”, a parte l’uso nei numeri romani, e l’esistenza di parole come xilofono, tra gli uomini che combatterono per l’unità d’Italia al seguito di Garibaldi non bisogna dimenticare che c’era anche Nino Bixio! La “y“, chiamata anche “i greca” era appunto presente nel greco, e solo la “w” ci è veramente estranea, anche se il suo uso come abbreviazione di “evviva” è attestato almeno dall’Ottocento.
Tuttavia, l’uso di queste lettere appartiene all’italiano antico e storico, e nel corso dei secoli sono decadute, il lessico dell’italiano moderno le ha escluse, e perciò quasi tutte le voci che contengono queste cinque lettere sono straniere. Poiché però l’italiano evolve (ed è evoluto) anche per l’interferenza delle altre lingue, queste lettere si possono considerare assimilate. Sono presenti e utilizzate sulle tastiere con cui scriviamo, e sono necessarie, visto che i dizionari monovolume registrano circa 5.000 parole straniere crude (cioè non adattate e riportate più o meno come si scrivono nella lingua di provenienza), a cui si possono aggiungere tantissimi nomi propri (da Tokyo a New York e da William Shakespeare a Johnny Depp).