Il sessismo della lingua e la femminilizzazione delle cariche

■ Come si formano i femminili delle professioni? Quando si formano i femminili con la desinenza in –a, in –essa o in –trice? ■ Cos’è il sessismo della lingua? ■ Meglio dire chirurgo o chirurga? ■ Meglio dire avvocato, avvocata o avvocatessa? ■ Meglio dire sindaca o sindachessa? ■ Meglio dire poliziotta o donna poliziotto? ■ Meglio dire la vigile o la vigilessa? ■ Meglio dire la sindaca o la sindachessa? ■ Meglio dire la presidente o la presidentessa?

In italiano, ma anche in altre lingue, il maschile è dominante sia nell’assegnazione del genere per i concetti neutri (il parlare, scalare una montagna è bello, il perché delle cose…) sia nel caso in cui un nome maschile e uno femminile si concordano con uno stesso aggettivo: prevale il maschile e nell’inferno dantesco Paolo e Francesca sono dannati.

Analogamente, quando diciamo che l’uomo (= l’essere umano) è bipede includiamo anche le donne. Si tratta del maschile generico (o non marcato).

Dal punto di vista grammaticale, perciò, non esiste una coincidenza tra il genere della parole e il sesso delle persone o animali che designano: la giraffa e la tigre, come la sentinella o la guida, sono nomi promiscui e non denotano il sesso degli esemplari, sono parole generiche, così come il mare, al maschile, non ha a che fare con il suo sesso: nella perdita del neutro che esisteva in latino le parole si sono trasformate in maschili o femminile senza ragioni logiche (vedi → “Il sesso dei nomi: il genere“).

Fatte queste premesse grammaticali, da qualche decennio è in atto un dibattito – che però è di tipo politico-sociale – sul “sessismo della lingua” che riguarda prevalentemente le professioni e le cariche sociali, un tempo egemonia maschile, ma sempre più aperte alle donne.

E allora si deve dire la ministra e l’architetta o prevalgono le forme al maschile anche per gli incarichi femminili?

La questione è attualmente aperta e al centro di controversie di non facile soluzione.

In Italia, uno dei primi libri a porre la questione è stato quello di Alma Sabatini (Il sessismo nella lingua italiana, 1987) pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, in nome della parità dei sessi, attaccava un uso della lingua che avrebbe creato discriminazioni nel non distinguere i generi.
Precedentemente, le rivendicazioni del femminismo e del ruolo della donna puntavano con orgoglio al fatto che anche le donne si potessero fregiare di un carica maschile, come quella di medico o di chirurgo, un tempo ricoperte da soli uomini. In proposito si può ricordare un vecchio indovinello che girava appunto negli ambienti femministi degli anni Settanta.

Indovinello
In seguito a un grave incidente stradale un ragazzo è fin di vita e viene trasportato d’urgenza in pronto soccorso, mentre il padre che era alla guida muore.
Nella sala operatoria arriva il chirurgo, e non appena vede il ragazzo, sbianca e chiede di essere sostituito da un collega: non si sente in grado di operarlo, perché quello è suo figlio! Ma com’è possibile, visto che il padre era deceduto poco prima nello stesso incidente?

Semplice: il chirurgo in questione era una donna, quindi la madre. Solitamente il quesito veniva rivolto dalle donne agli uomini, che se non individuavano la soluzione erano tacciati di vedute ristrette e sessiste. Oggi, invece, questa storiella che giocava sul maschilismo imperante rischia di diventare un’autorete, dal punto di vista del sessismo, perché sempre di più emerge la tendenza a indicare una donna come chirurga. Va detto che non tutte le donne sono favorevoli a questo tipo di femminilizzazione delle cariche, e per esempio tra gli avvocati la maggioranza delle donne attualmente preferisce presentarsi come avvocato, e anche se da marzo del 2017 per le donne è possibile richiedere all’Ordine degli Architetti il duplicato del timbro professionale con la dicitura ufficiale di “architetta” l’iniziativa non ha avuto molto successo.

È nota anche la posizione dell’ex ministro delle pari opportunità Stefania Prestigiacomo che aveva esplicitamente espresso la sua antipatia per il termine ministra.

Comunque sia, nel 2007 è stata diramata una direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche) che invitava a usare un linguaggio non discriminante nei documenti di lavoro per favorire in questo modo una politica per le pari opportunità. Ci sono amministrazioni che hanno recepito la direttiva sin da subito, e altre che le hanno ignorate o contestate. L’Accademia della Crusca, qualche anno dopo, ha affiancato il Comune di Firenze nello stilare le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, perché il punto era quello di stabilire caso per caso come si potesse rendere il giusto femminile, che di volta in volta si può fare con la desinenza in –a, in –essa, in –trice
In questo modo, venendo a quanto è successo negli ultimi anni, l’uso di termini come ministra, sindaca, poliziotta anziché donna poliziotto e simili sono entrati non solo nei dizionari, ma anche nel linguaggio dei giornali e dei media, pur sollevando perplessità spesso anche da parte delle donne.

Passando alle questioni pratiche, da un punto di vista grammaticale le possibilità, in casi come questi, sono tre: si può dire il chirurgo, la chirurgo (ma questa soluzione non è in uso e stride, dunque è solo teorica, dal punto di vista grammaticale, ma è perfettamente lecita nel caso di parole in cui il maschile e il femminile sono uguali: la dentista, la pediatra, la analista…) o la chirurga, esattamente come si può dire la presidente della Camera, la presidentessa o anche il presidente della Camera Nilde Iotti. Qual è la scelta migliore?

Le risposte sono politiche e sociali, più che grammaticali, e ognuno rivendica le sue ragioni e sceglie il suo “stile”. Di fatto i dizionari da un po’ di anni hanno cominciato a inserire voci come ministra (nello Zingarelli del 1923 era definita voce scherzosa per indicare la moglie del ministro, a parte le accezioni storiche legate per esempio le sacerdotesse antiche ministre di qualche culto). E questa parola si sta sempre più affermando anche sui giornali, benché non in tutti e non sempre.

I femminili delle cariche attualmente più in voga

Fatte le dovute premesse, in questo momento di transizione e di dibattiti, non esiste una regola generale da seguire, e l’unica possibilità è quella di analizzare caso per caso qual è il giusto femminile e qual è l’alternativa più in uso con l’ausilio di un dizionario e anche a seconda dei contesti e delle proprie convinzioni. Il Devoto Oli riporta la voce ministra ma aggiunge che è più comunemente usato il maschile il ministro anche con riferimento a donna. Mentre nel caso di donna poliziotto recita che non è “da non incoraggiare” e il femminile riportato come più corretto è quello di poliziotta. Analogamente, anche molte forme in –essa sono ultimamente recepite come evocative di qualcosa di ironico o di spregiativo, come nota lo Zingarelli, per cui sarebbero da evitare forme come la presidentessa (meglio la presidente), la sindachessa (meglio la sindaca) o la avvocatessa, mentre nel caso di professoressa e studentessa, poetessa, dottoressa e principessa non c’è alcun problema.
In altri casi prevalgono le femminilizzazioni in –a, per esempio: la deputata, la ginecologa, o le altre forme tradizionali di femminilizzazione: la senatrice, la direttrice, la amministratrice; altre volte rimangono come scelta opzionale la notaia o il notaio Maria*** (così come per avvocato, architetto…).
In altri casi ancora, per esempio medica, soldata o ingegnera i femminili sono piuttosto rari, benché possibili.

Gli articoli davanti alle donne e ai nomi di sesso incerto

Un’altra questione riguarda l’utilizzo dell’articolo femminile davanti ai cognomi di donna, e già l’ex ministra del governo Monti, Elsa Fornero, aveva sollevato questo problema chiedendo di non essere appellata “la Fornero”, proprio in nome delle pari opportunità, visto che nessuno si sarebbe sognato di dire “il Monti”. In questi casi se si vuole evitare questo uso si può sempre aggiungere il nome (Loredana Bertè è una cantante, invece di “la Bertè”, oppue aggiungere altre apposizioni e qualifiche, per esempio “la cantante Bertè” (sulla questione vedi → “L’uso dell’articolo e la sua omissione” in cui si trova anche la questione dei nomi dal sesso incerto come soprano: “il soprano Maria Callas” o “la soprano”?).

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