Il, lo e la: gli articoli determinativi

■ Quando si usa il/i e quando si usa lo/gli? ■ Si dice gli pneumatici o i pneumatici? ■ Si può scrivere l’Fbi? ■ Si può scrivere l’8 settembre? ■ Si dice il TAV o la TAV? ■ Perché si dice il jazz ma lo juventino? ■ Perché si dice i deodoranti ma gli dei? ■ Perché si dice il cherubino ma lo champagne?

Si chiamano determinativi perché indicano qualcosa di determinato: il cane indica “quel cane lì”, non un cane qualsiasi.

Se per il femminile non ci sono dubbi su quale articolo determinativo utilizzare – ci sono solo la per il singolare e le per il plurale – per il maschile nasce invece un problema: quando usare lo (al plurale gli) e quando il (al plurale i)?

Chi è madrelingua va a orecchio senza troppi problemi, di solito, anche se ci sono casi che si sbagliano frequentemente (per es. gli gnocchi e non i gnocchi) e per chi ha dubbi esistono delle regole semplici per non confondersi.

Lo (e gli), si usano davanti a:

● le parole che cominciano con vocale;
● le parole che cominciano con x e z;
● le parole che cominciano con s impura (cioè seguita da un’altra consonante e non da una vocale, per esempio studio);
● i gruppi di consonanti gn, pn e ps.

Dunque, si dice lo xilofono, lo zappatore, gli specchi. Ma soprattutto lo psicologo (al plurale gli psicologi), lo gnomo (gli gnomi), lo gnocco (gli gnocchi); lo pneuma, lo pneumatico o lo pneumotorace.

Il detto: “Ridi, ridi, che mamma ha fatto i gnocchi” è una forma popolare da evitare, è coretto gli gnocchi, e anche nel caso degli pneumatici è la forma più corretta, anche se “i pneumatici” è così diffusa che ormai passa per accettabile.

Il (al plurale i) si usa in tutti gli altri casi, dunque con le parole che cominciano in consonante (a parte quelle già viste): il bambino, il contadino, il dentista, il sogno (qui la s è seguita da vocale), il vigile.

ECCEZIONI!
L’unica eccezione è rappresentata dal plurale di il dio che diventa gli dei (anziché i dei come si dice invece negli altri casi: i deodoranti, i deambulanti…).
E poi c’è l’eccezione delle parole inglesi che cominciano con “w”: anche se si legge “u” (week-end, welfare) si associano all’articolo il e gli (e non a lo come le parole in “u”: gli uomini) e si dice il e i week-end, il e i whisky, come se si pronunciassero con la “v”. La stessa anomalia fonetica si ritrova nelle parole che cominciano con “sw”, dove la “w” è percepita come consonante e non come vocale, dunque si dice lo swing ma il suino, lo swap ma il suocero.

L’articolo con le parole straniere

Nel caso delle parole straniere la cui pronuncia diverge dal modo con cui scriviamo, di solito conta la pronuncia e non l’ortografia, perciò si dice lo champagne (come lo sciatore e non come il chierichetto), l’hotel e gli herpes (l’h è muta e quindi è come se queste parole cominciassero per vocale), il jazz, il jackpot, i jeans, il j’accuse (perché si pronunciano come parole che iniziano per g), mentre si dice lo junghiano, lo jodel, lo jugoslavo, lo juventino (perché si pronunciano come parole che iniziano per i). Per saperne di più vedi → “La pronuncia delle lettere” nella parte dedicata alle lettere straniere.

L’uso dell’articolo davanti alle sigle

Anche davanti alle sigle l’articolo pone qualche problema. In linea di massima si concorda con numero e genere della denominazione completa, per esempio si dice gli USA al plurale (sottintendendo gli Stati Uniti d’America) o la CEE (al femminile perché si sottintende la Comunità Economica Europea). Ma non è sempre così, a volte non è chiaro il genere delle sigle, e nel caso del o della TAV, per esempio, inizialmente si è diffuso il femminile perché era sentita come sinonimo della tratta dell’alta velocità. Ultimamente sta guadagnando terreno il TAV, razionalmente più corretto, visto che è la sigla di Treno ad Alta Velocità.

Tuttavia non sempre questi approcci razionali sono applicabili come una regola, e nel caso di Aids, per esempio, che significa Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita, si è affermato immotivatamente il maschile (l’Aids sta per lo Aids, che infatti è contagioso), forse perché sentito come sinonimo di virus. Per saperne di più vedi → “Sigle e acronomi” (e per l’uso dell’apostrofo degli articoli davanti alle sigle vedi il prossimo paragrafo).

L’apostrofo degli articoli: non si usa nel caso di gli e le

Quando una parola inizia per vocale:
lo e la si apostrofano sempre: l’animale, l’ermellino, l’istrice, l’opossum e l’uccellino (come la del resto: l’amaca, l’edera);
● invece, al plurale gli e le non si apostrofano: le elezioni, gli animali e mai “l’elezioni” o “gl’animali”.

Solo davanti alla i è possibile apostrofare gli, per esempio gl’imbuti, gl’italiani, ma è meglio evitarlo: nell’italiano moderno non è in uso e suona fuori luogo.
Per saperne di più vedi → “Apostrofo: elisione e troncamento“.

Infine: ci sono casi in cui è possibile apostrofare l’articolo anche davanti ai numeri (per esempio l’8 settembre) o alle sigle che vengono pronunciate con una vocale anche se si scrivono con una conosonante perché prevale la pronuncia sull’ortografia, per esempio si trova spesso l’FBI (l’apostrofo, completamente scorretto dal punto di vista grammaticale, si giustifica con la concordanza con la pronuncia all’inglese “effebiài”, come una parola che inizia con la e).

Il plurale dei nomi latini

■ Le parole in latino si volgono al plurale? ■ Meglio dire i curriculum o i curricula? ■ I medium e i media sono la stessa cosa? ■ Meglio dire i corpus o i corpora? ■ Cosa sono gli anglolatinismi? ■ È giusto dire l’opera omnia al singolare anche se significa “tutte le opere”? ■ Perché si dice gli addenda o i desiderata al plurale?

I forestierismi (le parole straniere) non si volgono al plurale (vedi → “Il plurale dei nomi stranieri“), ma anche quelle latine, si possono trattare come forestierismi?

Anche se c’è chi sostiene ancora che nel latino sia buona norma declinare le parole al plurale (e quindi non considerarlo come i forestierismi perché sarebbe la nostra lingua madre), la maggior parte delle fonti e dei dizionari moderni seguono le regole degli esotismi.

La questione è aperta e dibattuta soprattutto nel caso di curriculum (decurtazione dell’espressione più completa e corretta curriculum vitae) che si trova spesso al plurale, curricula, come fosse uno sfoggio di cultura (i dizionari riportano perlopiù che è invariabile, e lo affiancano all’italianizzazione curricolo e curricoli). Stesso discorso si può fare per i corpora, molto diffuso al posto dei corpus che però si può dire anche al singolare (una raccolta di opere o di testi).

È vero, in latino i plurali sono questi, ma perché non si dovrebbe dire i curriculum o i corpus come si dice i referendum (e non i referenda) gli ictus, i lapsus, i rebus, i bonus, gli excursus, i raptus, i virus e gli album? Lo stesso discorso si può fare per gli anglolatinismi (cioè le parole latine che ci sono arrivate attraverso l’inglese) e che non si declinano: i monitor, gli sponsor, i forum, i focus, i campus, le tariffe premium… Insomma in queste declinazioni al plurale del latino manca una logica coerente con i tantissimi esempi che rimangono invariabili. Tuttavia, c’è chi preferisce fare una distinzione tra i latinsimi moderni o derivati dall’inglese, come negli ultimi esempi, che non si dovrebbero declinare, e quelli classici che invece sarebbero da concordare al plurale: lectio magistralis e lectiones magistrales, una prescrizione non riscontrabile per esempio nello Zingarelli che definisce lectio sostantivo latino invariabile.

La questione cambia per i latinismi entrati direttamente al plurale, e in questo caso non si volgono al singolare, per esempio gli acta (relazioni, compilazioni), gli addenda (cose da aggiungere), i desiderata (desideri, richieste) e anche l’opera omnia, letteralmente “tutte le opere”, plurale, anche se in italiano l’espressione si trasforma in sostantivo femminile singolare e si dice comunemente “l’opera omnia di Virgilio”.

Un caso a parte è quello di media (che ci è arrivato però dall’inglese) al plurale, ma un medium, al singolare, ha un altro significato (è un sensitivo che ha a che fare con il paranormale, e dunque al plurale si parla dei medium), anche se dopo il celebre motto del sociologo Marshall McLuhan (1911-1980) “il medium è il messaggio” si trova ormai anche al singolare con il significato di mezzo di informazione.

Che si scrivano al singolare o al plurale, è buona norma ricordare che le parole in latino (al contrario degli altri forestierismi dove è solo una scelta possibile) si dovrebbero sempre scrivere in corsivo (vedi → “Lo stile di un testo e l’uso del corsivo“), a meno che non siano così diffuse da essere assimilate alla stregua delle parole italiane (virus, album…).

Il plurale nei nomi stranieri

■ Come si fa il plurale dei forestierismi? ■ Tutte le parole straniere non si declinano al plurale? ■ Meglio dire mural o murales? ■ Al plurale si dice hater o haters?  ■ Al plurale è meglio dire crêpe o crêpes? ■ Che differenza c’è tra le parole straniere crude come “mouse” e quelle assimilate nel nostro sistema come “sauna”? ■ Le parole francesi si possono declinare al plurale? ■ Le parole spagnole si possono declinare al plurale? ■ Perché i jeans o le fake news si dicono al plurale?

Quando le parole straniere (i forestierismi) entrano nel nostro lessico possono essere adattate e assimilate, e in tal caso si comportano come le parole italiane, per esempio la parola sauna, che è una voce finnica, al plurale si volge in saune in modo normale.

Quando invece entrano nell’uso così come sono, in modo crudo senza adattamenti, la regola è che diventano invariabili nel numero, dunque non si volgono al plurale: i film e i computer (non si può dire films e computers all’inglese). Ciò vale anche per le parole di formazioni più recente, per esempio gli hater (e non haters, anche se la scelta migliore è forse usare le parole italiane: odiatori).

Le uniche eccezioni avvengono quando una parola entra nella nostra lingua già al plurale, per esempio i jeans (e in tal caso rimangono ugualmente invariabili perché non si può fare il singolare) o le fake news (in questo caso si dice una fake news, come in inglse, anche se in italiano abbiamo bufale, notizie false, contraffatte, manipolate…).

Sono ammissibili le variazioni di singolare e plurale solo per eventuali parole che non sono entrate nel nostro lessico, ma rappresentano degli occasionalismi (per esempio nel caso di tecnicismi o termini specialistici non tradotti) che vengono riportati così come sono nell’originale, come una citazione, che può essere fatta sia con il singolare sia con il plurale a seconda dei casi, ma che è bene virgolettare (e anche affiancare dalla traduzione).

Questa regola non vale solo per gli anglicismi, ma anche per ogni altra lingua: i menu (francese), i lager (tedesco), i soviet (russo), gli yogurt (turco), i suq (arabo), i kamikaze (giapponese) i wok (cinese), i golem (ebraico).

Qualche eccezione si può trovare nel caso del francese, dello spagnolo e del portoghese, dove talvolta circola qualche plurale, anche se la regola del singolare invariabile vale comunque e non declinare queste parole è corretto. Però, a volte si può incontrare qualche francesismo al plurale come crêpes (oltre al singolare crêpe), così come per il portoghese è possibile imbattersi anche nei viados o nelle fazendas (o fazende) oltre che nei viado e nelle fazenda, mentre nel caso dello spagnolo i peone, i desaparecido, le telenovela, gli indio e i conquistador possono anche diventare i peones, i desapercidos, telenovelas, gli indios, i conquistadores e nel caso di murales, si usa raramente il singolare, mural, e si dice quasi sempre al plurale. Ma nonostante questi casi la regola di non declinare i forestierismi al plurale vive senza controindicazioni anche nei pochi casi in cui circolano delle eccezioni che sono solo possibili più che obbligatorie.

In linea di massima questa stessa regola vive anche per la parole latine, benché in certi casi vengano trattate in modo differente, come se al latino, che è considerata la nostra “lingua madre” fosse riservato un diverso trattamento (è una questione aperta: per saperne di più vedi → “Il plurale dei nomi latini“).

Il genere dei nomi stranieri

■ Come si fa a sapere se i nomi stranieri sono maschili o femminili? ■ Si dice il samba o la samba? ■ Skyline è maschile o femminile? ■ Perché si dice il rock (maschile) ma la techno (femminile)? ■ Perché diciamo la pallacanestro ma il basket/basketball?

Le parole straniere entrate a far parte della nostra lingua (i forestierismi) di solito non presentano molti problemi nell’attribuzione del genere, quando arrivano da lingue affini come il francese o lo spagnolo, e le cose tendono a coincidere con la lingua di origine, a parte poche eccezioni come per esempio il samba, in portoghese maschile, ma in italiano ammissibile anche al femminile, la samba, perché il fatto che finisca in –a inganna (anche se non è una regola grammaticale è una “regola istintiva”) e fa presumere che sia femminile: da qui l’uso inizialmente considerato errato, si è poi affermato come così diffuso che è ormai accettato.

La questione è più complicata per le lingue che hanno il neutro, come il tedesco. Di solito prevale l’analogia con l’italiano:  la sachertorte, perché è una torta, le delicatessen per analogia con delicatezze, il dobermann perché è un cane, ma poi ci sono eccezioni come il würstel, affermato al maschile anche se l’analogia sarebbe con salsiccia (ma forse è vissuto come simile a un salsicciotto o a un hot dog affermato al maschile).

Il problema principale riguarda le parole inglesi, semplicemente per il fatto che sono numericamente preponderanti su tutte le altre lingue: i circa 3.500 anglicismi riportati dai dizionari sono più di tutti i forestierismi delle altre lingue messe assieme.

Bisogna tenere presente che l’italiano tende ad assegnare il maschile per le categorie neutre (andare a scuola è bello, il mangiare, il come e il quando), e da un punto di vista statistico la maggior parte degli anglicismi è maschile. Ancora una volta, però, non ci sono regole precise, e si trova lo skyline ma anche la skyline, a volte percepito come simile all’orizzonte o al profilo (lo skyline cittadino) a volte assimilato letteralmente alla linea del cielo (ultimamente i dizionari riportano il maschile come la forma più affermata).

Le cose sono complicate soprattutto per gli anglicismi incipienti, cioè quelli nuovi che poi sviluppano il loro genere preciso solo nel tempo.

Email o emoticon, per esempio, oggi si sono stabilizzate al femminile, ma inizialmente si registrava una forte incertezza. E anche la parola film, oggi maschile, ha cambiato sesso, perché sino agli anni Trenta del secolo scorso si trovava al femminile, la film, per analogia con pellicola di cui era il sinonimo.

La tendenza ad assegnare un genere come quello del corrispondente italiano, insomma, non è sempre possibile a volte ci sono più opzioni (diciamo il party anche se dovremmo basarci sull’equivalente festa, o forse sottintendiamo ricevimento?) e a volte ci sono eccezioni imprevedibili: curiosamente diciamo la pallacanestro, con riferimento a palla, ma il basket (in inglese però si dice basketball, il basket è solo un cesto), mentre la pallavolo diventa il volley (anche se in inglese sarebbe volleyball). E ancora, diciamo Aids al maschile anche se la traduzione della sigla sarebbe Sindrome da ImmunoDeficenza Acquisita, forse perché sottintendiamo il virus (per sapere di più sul genere delle sigle → “Sigle e acronimi“).

In generale diciamo la station wagon e la spider, perché come per la Uno, la Tipo e la Cinquecento sottintendiamo (l’iperonimo) automobile. E allora i generi musicali sono per lo più al maschile, il jazz, il rock, il rap e il blues, ma se si sottintende la parola musica ecco che si parla della disco (music) o della techno e della trap. E così si ha la blacklist (da la lista) e si dice la workstation e la playstation per analogia con il “falso amico” stazione, che ha un suono simile, anche se un significato differente.

In sintesi, per gli anglicismi non ancora stabilizzati può essere difficoltoso concordarli con l’aggettivo nel giusto genere, quando oscillano, mentre per quelli stabilizzati e datati il dizionario è il punto di riferimento, in caso di dubbi.

Sigle e acronimi

■ Le sigle si scrivono tutte in maiuscolo? ■ Le sigle si scrivono con i punti di abbreviazione tra le lettere o meglio ometterli? ■ Quando scrivere le sigle solo con l’iniziale maiuscola? ■ Le sigle si possono scrivere tutte in minuscolo? ■ Che differenza c’è tra sigle e acronimi?  ■ Come si pronunciano le sigle? ■ Ci sono delle regole per stabilire se una sigla è di genere maschile o femminile? ■ Le abbreviazioni di avanti e dopo Cristo, si scrivono attaccate (a.C. e d.C.) o con lo spazio? ■ Cosa significano Ndr, Ndt e Nda?

Un tempo si tendeva a scrivere le sigle non solo tutte in maiuscolo, ma addirittura con i punti di abbreviazione per ogni lettera, ma questa consuetudine è caduta in disuso: una parola in maiuscolo all’interno di un testo spicca sul resto in modo pesante, se poi fosse spaziata e infarcita di punti, apparirebbe davvero mostruosa “bucando” la pagina al primo sguardo (es. S.M.S.). Dunque attualmente non bisogna usare il punto che si usa per le abbreviazioni, per esempio a.C e d.C. (cioè avanti Cristo e dopo Cristo, che si scrivono senza gli spazi).

Il genere delle sigle: maschili o femminili?

Le sigle o acronimi, sono formati dalle iniziali di più parole: la SIAE, (Società Italiana Autori ed Editori) che si riporta al femminile sottintendendo il significato esteso, così come si dice l’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) e gli USA (in italiano Stati Uniti d’America, ma l’acronimo deriva dall’inglese United States of America). Tuttavia, altre volte il loro genere, maschile o femminile, non segue questa regola e per esempio si parla di Aids al maschile anche se sarebbe la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita. In altri casi si assiste a delle oscillazioni, per esempio il (o la) Tav (lett. Treno ad Alta Velocità, dunque al maschile logicamente, ma sentito spesso come equivalente di linea ad alta velocità).

La pronuncia delle sigle

Alcune volte si possono pronunciare senza problemi, così come si scrivono, per esempio l’Avis (Associazione Volontari Italiani del Sangue), mentre altre volte si devono scandire lettera per lettera, e in questi casi si tendono ad apostrofare anche se iniziano per conosonante perché si segue la loro pronuncia, per esempio l’Fbi o l’Html.

Sigle o acronimi?

La sottile differenza tra sigle e acronimi, secondo alcuni, sta nel fatto che le prime sono formate dalle semplici iniziali delle parole, e non è detto che si possano sempre leggere come una parola, a volte si scandiscono lettera per lettera perché sarebbero impronunciabili, come nel caso di CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), mentre gli acronimi costituiscono di solito una parola pronunciabile come si scrive (es. RAI) e possono anche essere parole formate da elementi diversi dalle semplici iniziali, per esempio radar (dall’inglese RAdio Detection And Ranging). Tuttavia in linguistica questa distinzione non viene fatta.

Tutte in maiuscolo o solo l’iniziale?

Rimane aperto il problema di come scrivere le sigle, tutte in maiuscolo o solo con l’iniziale?

Secondo una normativa (UNI 7413, Acronimi, grafia e impiego, 1975) andrebbero scritte in maiuscolo, senza spazi tra le lettere e punti di abbreviazione. Ma questa prescrizione è un po’ datata e questa tendenza è sempre più in disuso.

Il consiglio che riportano tutti i manuali e le norme editoriali dei principali editori è di trattare le sigle più diffuse ed entrate nel linguaggio corrente come parole normali che si possono scrivere solo con l’iniziale maiuscola, per esempio Unesco, Fiat, Rai e via dicendo, o anche completamente minuscole nel caso di sigle entrate nel linguaggio comune come cd, sms, tv, pc o ufo e laser, così diffuse che si è perso l’etimo della sigla (rispettivamente Unidentified Flying Object e Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). E proprio tra le sigle editoriali capita di trovarle con la prima maiuscola (es. Ndr = nota del redattore), tutte in minuscolo (nda = nota dell’autore) e anche con i punti (N.d.T. = nota del traduttore).

Comunque, la scelta di scriverle tutte in maiuscolo è possibile (dunque si trovano esempi di HTML, Html e html a proposito del famoso codice delle pagine web) ed consigliabile per le sigle tecniche o di settore che non sono note a tutti, e in questi casi è buona norma affiancarle, tra parentesi, con la dicitura completa, per essere più chiari.

Caratteri speciali, simboli e faccine

■ Cosa sono i caratteri speciali? ■ Quando si devono usare i caratteri speciali? ■ Si possono sostituire i caratteri non presenti sulla tastiera come il trattino disgiuntivo con quello congiuntivo che è presente? ■ Si può scrivere E’ invece di È che non è presente sulla tastiera? ■ Cosa significa il simbolo © del copyright? ■ Cosa significa il simbolo ® dei marchi registrati? ■ Che differenza c’è tra il copyright © e il marchio registrato ®? ■ Cosa sono le losanghe? ■ Che cosa significa il simbolo di paragrafo §? ■ Cos’è la cediglia francese? ■ Cos’è la dieresi? ■ Che differenza c’è tra dieresi e Umlaut? ■ Cos’è la tilde? ■ Würstel si scrive con la u e la dieresi o senza?

Oltre ai caratteri che si trovano sulla tastiera, può capitare che ne occorrano altri che non sono presenti (come il trattino lungo, le virgolette caporale…).

Nei programmi di videoscrittura questi ultimi si trovano di solito tra i caratteri speciali o i simboli, e includono per esempio molte lettere straniere che possono ricorrere quando si scrive, nel caso di nomi o citazioni da altre lingue.

Tra i più frequenti si possono ricordare:

● la cediglia francese (ç) che davanti alle vocali rende dolce la pronuncia della “c“, e non è elegante sostituirla con una normale c, dunque meglio citare correttamente l’Académie française e non (francaise);
● la n spagnola combinata con la tilde (ñ) che conferisce un suono equivalente al nostro gn (es. il fenomeno climatico El Niño);
● la dieresi (¨ ) che caratterizza alcune vocali per esempio del tedesco (in tedesco si chiama Umlaut) e che ricorre in varie parole, come Würstel. Anche se è consuetudine traslitterarle nel nostro sistema quando sono di uso comune (scriviamo più sbrigativamente wurstel e crauti) è meglio non farlo quando si fanno citazioni precise;
● ci sono poi lettere di altri alfabeti, come quelle dell’alfabeto greco che ricorrono per esempio in matematica, alfa (α), beta (β) e così via fino a omega (in maiuscolo Ω è simbolo dell’ohm), oppure l’alef (א), la prima lettera dell’alfabeto ebraico…

Tra i simboli che è bene conoscere si può citare la c cerchiata del copyright (©), letteralmente il diritto di replica, cioè di eseguire delle copie di un’opera d’ingegno, che grosso modo corrisponde al diritto d’autore. Si può scrivere anche utilizzando le parentesi, per esempio: (C) 2019 nome***, e deve essere sempre seguita dalla data in cui l’opera è stata composta (per tutelarne la paternità da quel momento) o pubblicata e dal nome di chi ne detiene i diritti: ha lo scopo di dichiarare la proprietà intellettuale di un autore oppure o di riproduzione di un’opera di ingegno da parte di una società che l’ha acquisita.

Nel caso dei brevetti industriali o dei marchi (che non sono opere di ingegno), la proprietà e i diritti esclusivi di utilizzo di ciò che è registrato si esprimono con ®, il marchio registrato o con , letteralmente trade mark, cioè un marchio depositato o in attesa di registrazione, che si possono indicare anche tra parentesi (R) e (TM).

Ci sono poi molti altri caratteri che si trovano nei libri, per esempio le losanghe (♦) cioè i rombi che si possono utilizzare come i pallini  (●) o a volte i quadratini (■) per marcare graficamente delle porzioni di testo o degli elenchi, oppure il simbolo § che, soprattutto in passato, indicava i paragrafi dei capitoli. E poi le frecce che si possono utilizzare per i rimandi (→), e ancora un gran numero di simboli matematici √, ≠, ±…
Di volta in volta, poiché non sono presenti direttamente sulla tastiera bisogna cercare questo tipo di segni tra i simboli e i caratteri speciali.

Tra i caratteri speciali ci sono anche il trattino disgiuntivo lungo, e la “È” che serve per il maiuscolo della voce del verbo essere “è“. Quando si scrive bisogna usare questo apposito carattere che non va sostituito con l’apostrofo (E’), una forma scorretta, perché apostrofo e accento sono due segni diversi.

Le faccine

Con i caratteri si possono anche creare dei disegni, e per esempio nel linguaggio della Rete si possono trovare le faccine, emoticone (emoticon in inglese) che si usano per dare un tono alle frasi, per esempio la faccina sorridente, in inglese smile 🙂, quella triste 🙁, l’occhiolino 😉, il bacio :-*… anche se ormai i programmi traducono automaticamente queste faccine fatte con i caratteri in simboli grafici colorati.
Esistono anche faccine che invece di essere espresse orizzontalmente sono composte come si guardano: =^.^= e queste composizioni si possono spingere oltre la scrittura fino a vere e proprie creazioni artistiche fatte con i caratteri ASCII (il codice standard americano per lo scambio delle informazioni). Esistono poi anche veri e propri disegni codificati, persino animati, che si possono inserire direttamente nei testi.

Ma tutte queste nuove espressioni comunicative vivono in Rete e non si possono importare nella scrittura formale. Inserire le faccine in un libro è assolutamente fuori luogo: non si usa ed è di cattivo gusto.

Tuttavia, agli inizi del Novecento, Luigi Pirandello, anticipando le faccine dell’era internettiana scriveva:

“Le mie sopracciglia parevano sugli occhi
due accenti circonflessi ^ ^.” (Uno, nessuno e centomila).

Divisione in sillabe

■ Come si va a capo? ■ Nell’andare a capo si può dividere una sillaba? ■ Quali sono le regole per andare a capo? ■ Il CQ si può spezzare in due sillabe o appartiene a una sola? ■ Si può andare a capo lasciando l’apostrofo da solo sull’ultima riga? ■ Come si va a capo con le parole con la S seguita da consonante come pesca? ■ Le regole di sillabazione dell’italiano valgono anche per le lingue straniere? ■ Quali sono esempi di parole monosillabe? ■ Quali sono esempi di parole bisillabe? ■ Quali sono esempi di parole trisillabe? ■ Quali sono esempi di parole polisillabe?

Le regole di divisione in sillabe della nostra lingua (quelle che servono per andare a capo nel giusto modo) sono state fissate nel 1969 (norma UNI 6461-97) dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione che disciplina le norme di tutti i settori industriali. Ma sono così complicate da ricordare e imparare che è meglio consultare un dizionario in caso di incertezze.

Perciò le linee guida per la divisione in sillabe riassunte di seguito non fugheranno ogni dubbio, ma permettono perlomeno di orientarsi.

Quando si va a capo non si può mai dividere una sillaba, e le parole si possono dividere in:

● monosillabi (è, voi, );
● bisillabi (ca-ne, gat-to);
● trisillabi (mac-chi-na, cer-biat-to);
e polisillabi che hanno quattro o più sillabe (ma-sti-ca-re, con-si-de-re-vol-men-te).

Una consonante semplice seguita da vocale, dittongo o trittongo costituisce un’unica sillaba (se-ra), così come una vocale iniziale seguita da una sola consonate è una sillaba (o-do).

In caso di vocali consecutive, se non siete sicuri di trovarvi di fronte a uno iato (incontro di due vocali divisibili perché di solito rappresentano due emissioni di fiato differenti: poe-ta) o a un dittongo e trittongo (indivisibili: voi, miei) andate sempre a capo con una consonante e mai con una vocale (pie-no e mai pi-eno), eviterete di sbagliare.

Tenete poi presente che le consonanti doppie si dividono sempre in sillabe diverse (dop-pio) e che il cq è come fosse una doppia consonante (ac-qua).

Non si deve mai dividere un gruppo di consonanti che cominciano per s (pe-sca) e di solito quando una sillaba contiene la lettera s, questa va sempre a capo (perciò: pa-sta e mai pas-ta).

Anche i digrammi (es. ch, sc) e i trigrammi (es. sci, gli) non si dividono mai e di solito formano una sillaba insieme alla vocale che li segue (chie-sa, fi-glio).

Evitate di andare a capo con l’apostrofo, è davvero brutto, almeno quanto eliminare l’elisione e aggiungere una vocale (lo apostrofo) per far tornare i conti come si insegnava un tempo.

Un’ultima avvertenza: attenzione alle parole straniere! Non sempre seguono le regole della divisione in sillabe della nostra lingua. E poiché ormai ci sono programmi di scrittura che fanno la sillabazione automatica, se li avete installati e li utilizzate fate sempre attenzione a impostare la lingua italiana, e non per esempio quella inglese!

L’alfabeto e il falso mito delle lettere straniere

■ Cosa distingue le vocali dalle consonanti? ■ Che differenza c’è tra vocali forti e deboli? ■ La J è una vocale o una consonante? ■ Perché alcune lettere sono considerate straniere? ■ Il numero dei fonemi è uguale a quello delle lettere dell’alfabeto? ■ Perché, per scrivere, i segni dell’alfabeto non bastano? ■ Nella scrittura si usano anche lettere di alfabeti diversi dal nostro?

L’alfabeto moderno è costituito da 26 segni o grafemi che seguono un ordine preciso, l’ordine alfabetico appunto, che permette di rintracciare facilmente ogni parola in un dizionario o in un indice analitico:


a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z.

Si possono dividere in vocali e consonanti.
Le prime (A, E, I, O, U ma anche y e j quando sono pronunciate come la i, se invece la j si pronuncia “g” come in jolly si comporta da consonante) si chiamano così perché derivano da voce: sono suoni sonori che si pronunciano con la voce e costituiscono la parte forte della sillaba.
Le consonanti si appoggiano alle vocali e si possono distinguere a seconda di come vengono articolate in labiali, linguali, dentali, palatali o gutturali. Ma queste distinzioni appartengono alla fonetica, non riguardano la scrittura (Per saperne di più → “Fonologia e fonetica“).

Vocali forti e deboli
A, E e O  sono chiamate vocali forti, e I e U deboli. Questa distinzione serve per comprendere meglio la differenza tra dittongo e iato. Due vocali che si pronunciano con un’unica emissione sono dittonghi e di solito sono costituiti da 2 vocali deboli (es. pie-no, chiu-so) oppure dalla combinazione di una forte e una debole all’interno della stessa sillaba (es. fio-re). Lo iato è invece l’incontro di due vocali che si pronunciano con suono separato (po-eta, le-one, pa-ese, be-ato). Questa distinzione è importante anche per comprendere meglio la → divisione in sillabe.

Non è vero, come si dice spesso, che a ogni lettera corrisponde un solo suono, questa è solo una semplificazione. La “c” e la “g“, per esempio, possono essere dolci o dure, la “s” e la “z” sorde o sonore, le vocali “e” e “o” possono essere aperte o chiuse. Dunque i fonemi pronunciabili sono di più, come insegna la fonologia (per saperne di più → “La pronuncia delle lettere“). Viceversa, alcuni caratteri associano a una lettera anche un accento, grave o acuto (é e è) che è necessario utilizzare.

Per scrivere, però, non basta conoscere le lettere del nostro alfabeto! Ci sono anche grafemi di altri alfabeti in cui si può imbattere, come quello greco, per esempio alfa (α), beta (β) e così via fino a omega (in maiuscolo Ω è simbolo dell’ohm), oppure l’alef (א), la prima lettera dell’alfabeto ebraico, che si usa in matematica… Nei programmi di scrittura questi caratteri si trovano tra quelli speciali o tra i simboli. Ma esistono moltissimi altri caratteri presenti sulla tastiera, a cominciare dall’apostrofo, dalle lettere accentate (è, é) e dai segni d’interpunzione per finire con altri caratteri speciali che si usano comunemente come il percento (%), la e commerciale (&) e molti altri simboli che bisogna conoscere e padroneggiare (, @, °…). Per saperne di più vedi anche → “Le norme editoriali“.

Le cosiddette lettere straniere

Solitamente, si dice che il nostro alfabeto sia costituito da 21 lettere più 5 straniere (j, k, w, x, y), ma non è propriamente vero. La “k“, per esempio, si trova nelle prime e più antiche testimonianze del volgare scritto (i Placiti cassinesi: “Sao ko kelle terre…”, cioè: so che quelle terre) ed era presente anche nei dialetti e nell’italiano arcaico. E lo stesso si può dire della “j lunga” (sempre più spesso pronunciata immotivatamente all’inglese, jay) molto diffusa fino al Settecento, ma sopravvissuta anche dopo (si trova in Pirandello che scriveva “jella”). Quanto alla “x”, a parte l’uso nei numeri romani, e l’esistenza di parole come xilofono, tra gli uomini che combatterono per l’unità d’Italia al seguito di Garibaldi non bisogna dimenticare che c’era anche Nino Bixio! La “y“, chiamata anche “i greca” era appunto presente nel greco, e solo la “w” ci è veramente estranea, anche se il suo uso come abbreviazione di “evviva” è attestato almeno dall’Ottocento.

Agricola di Tacito, ediz. del 1805: l’uso della i lunga era normale.

Tuttavia, l’uso di queste lettere appartiene all’italiano antico e storico, e nel corso dei secoli sono decadute, il lessico dell’italiano moderno le ha escluse, e perciò quasi tutte le voci che contengono queste cinque lettere sono straniere. Poiché però l’italiano evolve (ed è evoluto) anche per l’interferenza delle altre lingue, queste lettere si possono considerare assimilate. Sono presenti e utilizzate sulle tastiere con cui scriviamo, e sono necessarie, visto che i dizionari monovolume registrano circa 5.000 parole straniere crude (cioè non adattate e riportate più o meno come si scrivono nella lingua di provenienza), a cui si possono aggiungere tantissimi nomi propri (da Tokyo a New York e da William Shakespeare a Johnny Depp).

La pronuncia delle lettere

■ Come si pronunciano la E e la O? ■ Che cosa sono la Z sorda e sonora? ■ Che cosa sono la S sorda e sonora? ■ Come si pronunciano le lettere straniere? ■ Come si pronuncia la J? ■ Che differenza c’è tra la E aperta e chiusa? ■ Che differenza c’è tra la O aperta e chiusa? ■ Cosa sono digrammi e trigrammi? ■ Come si pronuncia il digramma SC? ■ Perché aglio e glissare si pronunciano diversamente?

La pronuncia delle 7 vocali

Le vocali si pronunciano solo con la bocca, ma se quelle dell’alfabeto sono  A, E, I, O, U (e possono includere anche il suono di y e j quando sono pronunciate come la i), le loro emissioni non sono cinque, bensì sette: i, é, è, a, ò, ó, u.

A, I e U hanno una sola pronuncia possibile, almeno in italiano (in francese, per esempio, ci sono due pronunce della u, aperta e chiusa), ma la “E” e la “O” sono due grafemi che hanno ognuno due fonemi (= suoni) possibili:

possono essere pronunciate aperte o chiuse: la pèsca (con la e aperta) è un frutto, mentre la pésca (con la e chiusa) è quella dei pesci; le domande da pórci (con la o chiusa) non sono la stessa cosa delle domande da pòrci (con la o aperta), cioè da maiali.

La pronuncia di consonanti, digrammi e trigrammi

Anche le consonanti possono avere più pronunce:

la s” e la “z possono essere pronunciate in modo sordo (o aspro), senza vibrazione delle corde vocali – come nel caso di sala, rosso, pazzo, zucca e zampa – e sonoro (o dolce) che implica il passaggio di una sonorità attraverso la laringe, come: rosa, sbaglio, zanzara, zero, azienda e azzurro.

In altri casi la pronuncia delle lettere cambia a seconda di come si combinano con le altre.

Digrammi e trigrammi

I digrammi corrispondono a un unico suono espresso da 2 lettere davanti a vocale, e sono 7:
ci + vocale (suono dolce: ciabatta);
ch + i/e (suono duro: chiesa);
gi + vocale (suono dolce: giada);
gh + i/e (suono duro: ghette);
gl + i (suono dolce: mogli); però in alcuni casi come glicine le lettere si pronunciano separatamente come nelle altre vocali, con la g dura, dunque non sono un digramma e diventano due suoni (come glassa e gleba);
gn + vocale (suono dolce: gnomo);
sc + i/e (suono dolce: scende); davanti alle altre vocali non è più digramma, sono due suoni distinti (scatola).

I trigrammi corrispondono a un unico suono espresso da 3 lettere davanti a vocale, e sono 2:
gli + vocale (aglio);  
sci + vocale (sciocco); sciatore non è invece un trigramma, perché la i si pronuncia, e dunque sono due suoni diversi.

La “c” e la “g” possono essere dure (o aspre), quando sono seguite da “a”, “o”, “u” “he” e “hi” (casa, chiave, ghette) e dolci quando sono seguite da “e” e “i” (cinema, gelato). L’unione di due lettere + una vocale a volte può infatti corrispondere a un solo suono (digramma), per esempio nel caso di ch o anche sc.

Il fonema “sc” è pronunciato duro se seguito da “a”, “o”, “u” “he” e “hi” (scatola, schiavo) e dolce in presenza di “e” e “i” (scelta, scienza, scivolo).

Tra le eccezioni c’è scervellarsi o scentrato dove la “s” è pronunciabile anche staccata dalla “c”, per dare risalto alla “s” (che deriva dal latino ex con valore privativo, cioè senza cervello, fuori centro), anche se alcuni dizionari preferiscono la pronuncia meno “a senso” come in scelta.

Il “gl” quando è seguito dalla “i” si pronuncia dolce: figlio, figlia, figlie o tagliuzzare, ma ci sono le eccezioni dure, che non formano un trigramma (cioè la pronuncia di gli + vocale in un solo suono), ma vengono scandite seaparatamente:

negligente, sigli (voce del verbo siglare), glissare (cioè sorvolare, dal francese glisser), glicine e glicemia e i loro composti (glicerina, glicemico, ipoglicemia) che derivano dal greco glykeròs che significa “dolce” (da cui glucosio). Lo stesso avviene nei derivati di glisso (incidere) tra cui glittica (tecnica di incisione) o glittografia.

E anche davanti alle altre vocali il gl è solo la combinazione di due distinte consonanti e si pronuncia duro: gleba, inglese, negletto, glassa, glottologia, glucosio.

La “q”, sempre seguita dalla “u” (tranne in soqquadro), si pronuncia come la “c” dura, anche quando è raddoppiata dal “cq”; mentre nei casi precedenti uno stesso grafema corrisponde a più fonemi, in questo caso avviene il contrario: una sola pronuncia per due segni grafici differenti.

La “h” in italiano è muta (non corrisponde a un fonema), viene usata solo per rafforzare e distinguere alcune forme verbali (ho, ha, hanno o in rare interiezioni come ahi, ahia, ahimè), oltre che per i suoni duri di “c” e “g” (chiesa, ghiaia), e si può far sentire aspirata solo per alcune parole straniere (per esempio hard).

La pronuncia delle cosiddette lettere straniere

Anche se (tranne la “w” e la “y” presente nel greco antico) non sono propriamente “straniere” (vedi “L’alfabeto e il falso mito delle lettere straniere“):

● la “j” (si chiama i lunga, e non “jay” che corrisponde alla pronuncia inglese come se fosse la sola) ha una doppia pronuncia: si può leggere a volte come una “i” quando la derivazione è dall’italiano, per esempio Jacopo, Jolanda, Juventus, ma anche junior, ex Jugoslavia e juta. Oppure, quando si tratta di parole straniere, la pronuncia dipende dalla lingua: nel caso di Gustav Jung si pronuncia i, alla tedesca, e lo stesso nel caso di perestrojka, in cui ha valore di vocale; diventa invece g dolce nelle parole di derivazione inglese come jet, jazz, jeans, jukebox o jolly, oppure giapponesi come judo o jujitsu. Nel caso del francese, si pronuncia dolce e aspirata come in bonjour, julienne, enjambement, j’accuse e abat-jour; un suono simile a quello di alcune parole arabe come mujaeddin.
● la “k” si legge sempre come una c dura;
● la “w” si pronuncia v nelle parole italianizzate (Walter, Wanda, wafer) e nella lingua tedesca (Wagner, walzer), mentre in inglese si pronuncia u (week-end, download, welfare, western e whisky). Tuttavia, il “water” si pronuncia con la “v”, perché è una parola entrata da tanto tempo per via scritta che si è affermata con la pronuncia all’italiana;
● la “x” si pronuncia cs (xilofono, xenofobia, ex, box, excursus) e talvolta come una doppia ss (taxi, pronunciato alla francese è tassì);
● la “y” si pronuncia i (yogurt, yeti, yuppy e New York), ma in alcune parole inglesi può pronunciarsi anche ai, come nel caso di dry o di style.

Vedi anche:
→ “Quando l’accento cambia il significato
→ “La pronuncia della O può cambiare il significato
→ “La pronuncia della E può cambiare il senso alle parole
→ “La dizione corretta di E, O, S e Z
→ “Dubbi di pronuncia
→ “L’accento: le differenze tra parlare e scrivere”.

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